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Psycho!


di Luca Colombo


Ovvero tutto quello che avreste sempre desiderato sapere su James Graham Ballard e non avete mai osato chiedere, e che se anche l'avete chiesto delle risposte non si capiva un CENSURA


J. G., l'uomo che ha portato la psicanalisi nella fantascienza, non è del tutto sconosciuto in ambito extra-SF, ma tanto per cambiare balza all'attenzione del grandissimo pubblico per qualcosa che con la science fiction c'entra come la marmellata di fichi con lo zampone di Capodanno (di solito si dice "come i cavoli a merenda" ma quest'immagine della marmellata mi pare assai più efficace), cioè con la trasposizione cinematografica del racconto autobiografico della sua infanzia, "L'Impero del Sole", ad opera del solito Spielberg.

Difatti il Nostro, che non racconta palle, è nato per davvero a Shanghai nel 1930, dove ha anche fatto la muffa in un campo d'internamento giapponese dal '41 fino al '46, quando si è trasferito a Londra.

Quivi (bella parola, la userò più spesso) si dedica allo studio della psicoanalisi e, dopo le consuete traversie che caratterizzano il debutto di ogni scrittore che si rispetti, si lancia nella mischia col romanzo The Wind from Nowhere (Il Vento dal Nulla, Mondadori).

Corre l'anno di grazia 1961, e mamma fantascienza festeggia l'ingresso in società di un altro di quei veri scrittori capaci di fare qualcosa di più che raccontare una storia.

The Wind From Nowhere in realtà non è un romanzo rivoluzionario, legato com'è al filone della narrativa catastrofica inglese, soprattutto alle opere di Wyndham (di cui ricordiamo ad esempio IL Giorno dei Trifidi): è il racconto di come la civiltà umana venga distrutta da un impossibile vento che di giorno in giorno cresce in velocità, fino a spazzare via letteralmente l'uomo dalla superficie terrestre. È un vento impossibile, inesplicabile, non c'è spiegazione, non esiste rimedio; semplicemente il vento comincia, distrugge, ed infine scema senza un perché, senza un responsabile od una causa.

Le scene nelle quali Ballard comincia a mostrare il suo talento sono proprio quelle che andranno a caratterizzare la sua produzione futura: la descrizione del crollo lento, inarrestabile, malinconico della civiltà è realizzata con agghiacciante freddezza, ma le immagini dei palazzi scoperchiati e del collasso dei grattacieli possiedono un intrinseco pathos.

Tutto questo perché naturalmente allo psicanalista Ballard non interessano le persone ma i simboli, ed i capolavori della tecnologia rappresentano meglio le conquiste della civiltà di quanto non lo faccia la semplice moltitudine degli umani.

Le medesime tematiche, sviluppate e portate a maturazione, si ritrovano in The Drowned World (Deserto d'Acqua, Mondadori), il primo romanzo pienamente ballardiano.

Qui la catastrofe è più lenta e graduale: l'innalzamento della temperatura su scala mondiale porta ad un innalzamento del livello dei mari, finché quasi tutto il globo si trasforma in un sistema di lagune ed acquitrini.

È come se il tempo scorresse velocemente all'indietro: nel giro di due generazioni il clima (e con esso la flora e la fauna) torna alla situazione del Triassico.

La vicenda si svolge tra i palazzi semisommersi di una capitale europea (probabilmente Londra) e la giungla lussureggiante che lentamente la divora, mentre i protagonisti consumano il loro tempo tra i velleitari tentativi di far rivivere il cadavere della civiltà dei consumi e la fatalistica accettazione della fine dell'umanità.

Alla fine sarà proprio il protagonista, colui che sente la propria memoria genetica risalire al Triassico imperante, la figura vincente.

Egli infatti va a perdersi volontariamente ed irrimediabilmente nella giungla che avanza, ma paradossalmente è l'unico psicologicamente sano, in quanto unico a comprendere la realtà e ad adattarvisi; mentre gli altri che fuggono la palude e si affannano a cercare di tenere in piedi un simulacro di civiltà non sono altro che dei disadattati.

Tanto per dare un'idea dello scoperto simbolismo freudiano del Nostro basta citare una delle scene-chiave: il protagonista si immerge nelle calde acque della laguna che copre Londra, ed entra nel Planetario sommerso. La sua immersione diventa un tuffo nella memoria atavica del mare come culla della vita e contemporaneamente negli abissi inconsci della mente alla ricerca dei simboli materni, uterini.

La cosa più sorprendente di tutto ciò è che quando, lette queste pagine, andate a guardare la foto del risvolto di copertina, beh Ballard vi fissa con una faccia da salumiere che impressiona per la sua apparente sanità mentale.

Del resto proprio il Nostro è il fondatore di fatto della ormai celeberrima (e per alcuni ormai decotta) corrente fantascientifica detta New Wave, che pone come obiettivo l'esplorazione dello spazio interiore, pscichico, contrapposto allo Spazio oggettivo, interplanetario, della SF tecnologica.

La "quadrilogia della fine del mondo" si completa tra '65 e '66 quando escono The Burning World (Terra Bruciata, Mondadori) e The Cristal World (Foresta di Cristallo, Mondadori). In realtà si dovrebbe parlare di trilogia, visto che i parallelismi, nello sviluppo della trama e soprattutto nello stile, isolano un po’ il romanzo d'esordio dai tre successivi, come d'altronde mostrano anche i titoli originali.

Se il mondo Drowned, annegato, mostrava la reazione della mente umana di fronte al ritorno al passato, la vicenda del mondo Burned, bruciato, ci pone di fronte ad un ambiente che la mente umana non ha ancora conosciuto su scala globale (e quindi futuro), dove la siccità ha trasformato la Terra in un immenso deserto sabbioso, lunare; chiude il ciclo il mondo Cristal, cristallizzato, in cui una misteriosa malattia trasfigura, congela la vita e la condanna all'eterno presente, al non-tempo del regno minerale. E sempre la dicotomia è tra i 'sani' che cercano di tenere in piedi ciò che rimane della società umana ormai sconfitta, ed i 'pazzi' che invece alla nuova realtà si sanno adattare; in mezzo di solito sta il protagonista, restio a cedere al 'richiamo della foresta' che viene dalla memoria genetica dei suoi neuroni, ma nel contempo conscio della fine della civiltà tecnologica e consumista.

Se l'ampio respiro narrativo di un romanzo permette a Ballard di sviluppare poeticamente le formidabili e decadenti immagini di relitti e città deserte, suoi paesaggi psicologici prediletti, la brevità della forma narrativa del racconto scaglia nella mente del lettore, un'idea pura, un ago di nuda ed agghiacciante consapevolezza di quanto si cela sotto l'apparente tranquillità del singolo e della società.

In assoluto infatti il racconto più spaventoso che abbia mai letto è proprio uno di Ballard, The Drowned Giant (parimerito con Descending di Thomas Disch, devo dire): nessuna immagine gradguignolesca, niente alieni assetati di sangue o morti viventi, no, ci sono modi infinitamente più sottili per costringere a pensare .... per fare paura.

In breve la trama: il cadavere di un gigante annegato viene trovato arenato sulla spiaggia ... e non succede niente: i gitanti vi salgono per farsi fotografare, i bambini ci giocano, qualcuno vi incide nomi e slogan ... lentamente il gigante viene sezionato e macellato da cacciatori di souvenir e produttori di cibo per cani fino a ridursi ad uno scheletro abbandonato sul bagnasciuga.

Non a caso la vicenda si svolge (o meglio non si svolge) sulla spiaggia, punto d'incontro tra la sabbia (simbolo, come si è detto, del futuro) ed il mare (che rappresenta invece il passato): centomila tavole rotonde sull'argomento "l'indifferenza che mina la società contemporanea" non riusciranno a farvi provare la medesima inquietudine; ed è da qui che si distingue un narratore da uno scrittore, un tecnico della parola da un artista.

Altro capolavoro ballardiano è The Ultimate City, in cui l'autore da fondo a tutto il suo lucido repertorio di simbolismo: qui un giovane transfuga da una noiosa comunità postindustriale rimette in moto un quartiere di New York abbandonata, attirando altri giovani e conducendo in pochi giorni la sua personale parodia della civiltà dei consumi alla medesima rutilante gloria di luci automobili e juke-box, ed alla medesima ingloriosa fine tra piramidi di televisori e cattedrali di lavatrici.

Nei racconti di Ballard troverete gran copia di città deserte, relitti di aerei dell' ultima guerra, rottami di satelliti, navi abbandonate, troverete spesso pazzi o subnormali che si rivelano poi personaggi vincenti, mentre i "normali" collassano di fronte ad un ambiente che non è più il loro.

È una specie di elogio della follia: colui che ai nostri occhi è un folle, un anormale, altro non è che colui che è psicologicamente sintonizzato su un mondo emotivo diverso dal nostro. Quando il nostro mondo svanisce le prospettive si ribaltano, e noi diveniamo gli anormali, il vecchio modello di umanità sostituito dal modello nuovo, il Neanderthal soppiantato dal Cro-Magnon. L'evoluzione non si ferma, e la nostra vanagloriosa civiltà è solo un prodotto intermedio.

J. G. Ballard è uno scrittore dalla prosa asciutta e concisa, alieno da forme narrative stravaganti o sensazionali. Ma proprio l'apparente casualità del linguaggio, la sua quotidianità, rendono ancora più grandiose e potenti le forme simboliche: l'Autore (questo è un altro di quelli che si meritano la maiuscola) non descrive i paesaggi da incubo dei grandi alberghi abbandonati sulla Costa Brava, si limita a far notare che "le altre stanze erano state tutte chiuse a chiave, con gli scuri serrati: il tempo vi era rimasto come incapsulato, con il loro malinconico contenuto di spray, forcine e tubi di lozione contro le scottature del sole abbandonati da migliaia di turisti scomparsi." (Da Low Flying Aircraft, Il Pastore Aereo, Mondadori Urania 717).

Sono visioni inquietanti, come le piazze deserte di certi quadri di De Chirico, come la solitudine di Milano in Agosto; è il trionfo del valore simbolico su quello funzionale (frase stupenda, quando mi è venuta in mente l'ho scritta di getto, se per caso mi viene in mente anche cosa può voler dire vi faccio un fischio) dell'Inconscio sul Conscio, della libera follia sull'oppressa razionalità.

Tante volte, lo ammetto per primo io che sono un ballardiano doc, la lettura del Nostro (soprattutto nei romanzi) risulta un po’, come dire ... laterizia. Però i racconti li dovete leggere: sono generalmente brevi; sempre acuti, sempre in grado di lasciare quell'amaro in bocca che li rende indimenticabili e che indica che ci hanno costretto a pensare, ad usare il nostro cervello.

E, credetemi, in quest'epoca della quale i posteri ricorderanno Mike Bongiorno e Pippo Baudo, non è davvero poco.

Ah, porca zozza, quasi dimenticavo: i romanzi citati li trovate tutti insieme nel volume dedicato a Ballard de I Massimi della Fantascienza (Mondadori); per quanto riguarda i racconti io li ho pescati su Urania (717 La Civiltà del Vento, 764 Il Gigante Annegato, 779 la Zona del Disastro).

Il racconto di Disch che ho citato da qualche parte sopra appartiene ad una antologia apparsa al solito su Urania (750 La Signora degli Scarafaggi).

Dopo averli letti forse troverete anche voi una sinistra poesia ed un fascino struggente e delirante nei cimiteri d'auto, negli stabilimenti balneari abbandonati ....






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