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Omaggio a J.G. Ballard: in memoriam?


di Roberto Sturm


Credo che parlare di un autore come Ballard sia un compito particolarmente difficile quanto ingrato. Per quanto ci si sforzi di riunire la sua vasta produzione in un unico genere, ci si accorge subito che ciò non è possibile a causa delle diverse peculiarità ed enormi sfaccettature di questo autore.

Fin dai suoi esordi, quando si propose come esponente di punta della "new wave", corrente affermatasi nei primi anni sessanta e che, senza dubbio, contribuì a modificare il modello tradizionale della narrativa di fantascienza, Ballard si impose all'attenzione dei lettori come un autore sui generis.

E, come tale, per l'estroso scrittore inglese, non esistono vie di mezzo: o piace o non piace. Su questo credo siano tutti d'accordo.

Ma lo spunto per queste brevi note mi è stato fornito da Eugenio Ragone, dalla sua relazione tenuta il 1 maggio scorso all'ltalcon di San Marino e provocatoriamente intitolata: Omaggio a J.G. Ballard -In memoriam.

Non posso dire di conoscere bene Ragone: so per certo, però, che è un appassionato molto preparato, serio e intelligente. Dico intelligente perché la provocazione, l'ironia e l'autocritica sono doti che non gli mancano.

Ritengo, tra l'altro, che in un piccolo mondo come quello dei fan di fantascienza che a volte sfiora il ridicolo per la serietà con cui si prende, Ragone, assieme a pochissimi altri (Catani e Vegetti, i primi "veterani" che mi vengono in mente), dovrebbe essere assunto ad esempio di come sia possibile fare ironia e provocazione nell'estremo tentativo di coinvolgimento degli appassionati acritici.

Purtroppo il traffico mi ha impedito di arrivare in tempo alla relazione di Ragone nell'unico giorno in cui, quest'anno, sono stato presente alla Convention. Ma durante il pranzo, l'amico De Rosa mi ha raccontato, evidentemente divertito, che Ragone aveva affermato che il Ballard prima maniera, lo scrittore che entrava nella narrativa sperimentale pura attraverso una fantascienza assai al di fuori dei canoni tradizionali, era passato recentemente a miglior vita, a quella della narrativa commerciale che gli avrebbe garantito bei soldoni per una vecchiaia tranquilla. Il tutto condito con una sorta di cerimonia funebre semi-seria e semi-ufficiale con tanto di foto dello scrittore e cero acceso sotto.

Pur divertito (e non scandalizzato!), dall'ironia sempre pungente e decisa di Ragone, non mi sento di condividere la sua posizione sul mio scrittore preferito.

Ora, non so quali opere Ragone inserisca nella definizione di produzione più recente dell'autore inglese, ma scandagliando dall'86 in poi non ho trovato personalmente materiale che giustificasse una presa di posizione così decisa.

Sono partito dal 1986 perché da quell'anno le opere di Ballard hanno cominciato ad essere pubblicate dalla Rizzoli, uscendo dalle collane specializzate di fantascienza della Mondadori che collocavano le opere di Ballard in un ambito ben definito, spesso, etichettato dal grande pubblico come sottogenere.

Dalla ristampa di Hello America, la Rizzoli è passata attraverso Il giorno della creazione, Crash, La mostra delle atrocità, La gentilezza delle donne, per terminare con la recente e ottima antologia Febbre di guerra, in cui sono presenti racconti che spaziano dal 1979 al 1989.

Oltre a qualche ottima ristampa (Storia segreta della terza guerra mondiale), l'antologia contiene veri piccoli capolavori come Febbre di guerra, Amore in un clima più freddo e L'enorme spazio, tanto per citare i primi titoli che mi vengono in mente.

Questa raccolta rappresenta un tipico esempio della versatilità di Ballard, con racconti che spaziano dallo sperimentale all'ortodosso "ballardiano".

Altre due opere sono state pubblicate da Anabasi (piccola casa editrice milanese che però si sta affermando con la pubblicazione di opere di indubbio valore), e cioè Un gioco da bambini e L'isola di cemento.

Credo che in nessuna di queste pubblicazioni si possa notare un vistoso calo di stile e contenuti, anche perché parte di queste opere sono state tradotte diversi anni dopo la loro pubblicazione in lingua originale a causa della censura editoriale italiana che riteneva troppo sperimentale (e quindi non adatta al mercato italiano) un certo tipo di narrativa.

L'esempio più eclatante è senz'altro Crash, approdato in Italia una ventina d’anni dopo la pubblicazione in lingua originale.

Che poi L'impero del sole, opera autobiografica dell'autore inglese in cui narra gli anni della sua adolescenza a Shangai mentre imperversava la II guerra mondiale sia stata portata sullo schermo, e con grande successo, da Spielberg, non credo gliene si possa fare una colpa.

La gentilezza delle donne continuum de L'impero del sole, narra la vita di Ballard dal suo ritorno in Inghilterra, ma soprattutto offre uno spaccato su quegli anni sessanta/settanta che tanto hanno condizionato l'evolversi dell'intera società.

Da questi avvenimenti veramente accadutigli, Ballard ha largamente attinto a situazioni e fatti per ispirarsi ai suoi futuri racconti e romanzi, Chi conosce almeno un po’ questo autore non farà fatica a riconoscerli.

Insieme a Crash, anche La mostra delle atrocità rappresenta un tipo di letteratura così sperimentale (d'avanguardia?) e così trasgressiva che ha indotto, come dicevo, le case editrici italiane (e non solo) ad aspettare tempi più maturi, Sempre secondo le loro logiche di mercato, s'intende.

Nella nota dello stesso Ballard in calce al racconto Ecco perché vorrei fottere Ronald Reagan presente ne La mostra delle atrocità possiamo leggere che "( ... ) il racconto convinse l'editore Doubleday nel 1970 a mandare al macero la prima edizione americana di La mostra delle atrocità ( ... ) La novità (per quell'epoca) di una star di Hollywood che si metteva a far politica e diventava governatore dello stato della California faceva si che Reagan avesse avuto molto spazio nella TV inglese.

Ascoltando i suoi discorsi di destra, nei quali fustigava in tono sarcastico il governo centrale spendaccione e infestato dalla burocrazia, vedevo un personaggio più rozzo e ambizioso, più simile a quel brutale boss della malavita che aveva interpretato in un film del 1964, The Killers, la sua ultima apparizione hollywoodiana.". E non mi sembra il caso di aggiungere altro.

Il giorno della creazione (pubblicato in Inghilterra nell'87 e in Italia nell'88) può, e credo a pieno diritto, inserirsi nel filone dell'esasperazione delle ossessioni dell’individuo come esternazione del disagio interiore. È la storia di Mallory, un medico che per restituire dignità alla propria esistenza va in una sperduta cittadina centrafricana per lavorare nell'ospedale locale.

Quando l'ospedale viene distrutto da un’incursione dei guerriglieri Mallory sembra ritrovarsi al punto di partenza. Ma successivamente un trattore sradica un albero antichissimo, da cui scaturisce l'acqua, dando il via alla sua ossessione. E così comincia il lungo viaggio del medico alla ricerca della misteriosa sorgente del fiume, viaggio che è anche il percorso interiore del dottore, un viaggio dove realtà e sogno si fondono, dove Mallory, sotto certi aspetti, riscoprirà se stesso.

Dei libretti pubblicati da Anabasi credo che Un gioco da bambini rappresenti un ottimo esempio di come un certo genere di narrativa possa travalicare censure editoriali e pregiudizi dei lettori che etichettano i vari tipi di letterature. Secondo Nardini, nella sua recensione sull'IASFM, "Un gioco da bambini si legge come un thriller, debitore - nella macabra precisione di certi dettatagli - più al cinema "nero", vecchio e nuovo, che alla tradizione del giallo inglese. Ma è un thriller tutto ballardiano, a cominciare dalla risonanza che si instaura tra la psiche dei personaggi e lo spazio abitativo nel quale sono inseriti e che finisce per diventare il vero protagonista della vicenda''.

Secondo il mio parere, il romanzo risulta anche un'analisi del rapporto genitori-figli nella nostra società basata sul benessere individuale, con genitori che razionalizzano, analizzano, programmano il loro rapporto con i propri figli, soffocandoli e togliendo al rapporto stesso quell'istintività e impulsività di cui i bambini hanno bisogno. È da questa considerazione, dal fatto cioè che il benessere dei bambini nella società moderna viene pagato da essi con l'assenza di libertà intesa come mancanza di improvvisazione, come impossibilità di soddisfare i propri impulsi, che Ballard parte con un romanzo che, lentamente, assume nelle sue diverse pieghe differenti significati.

Ne L'isola di cemento, uscito a giugno per Anabasi, ma scritto da Ballard nel 1974, ritroviamo l'incidente stradale come forma di trasgressione, come punto culminante di un ultimo orgasmo della società moderna, dove le proiezioni mentali dei personaggi, più o meno inseriti o disadattati, prendono forma nel paesaggio circostante, un'isola spartitraffico in una intersezione tra tre autostrade, dove Maitland, un architetto della classe borghese tradizionale, con una moglie, un figlio, una amante e una Jaguar simbolo del suo status sociale, finisce in seguito a un incidente provocato dalla sua deliberata inosservanza dei limiti di velocità.

Le ferite riportate gli impediscono di scalare la scarpata che lo divide dall'autostrada ma Maitland scopre, lentamente, che l'isola è autosufficiente ed è abitata da due altre persone, un ex acrobata idiota e una ragazza dal passato misterioso, forse prostituta, sicuramente dedita alle droghe leggere e con pendenze giudiziarie che la inducono a non aiutare Maitland a ritornare nella società "civile".

Il progressivo disfacimento delle convinzioni e delle convenzioni di Maitland, l’elemento apparentemente "normale" all’inizio della storia, coincide con il lento percorso inverso dei due personaggi "disadattati". Una metafora del disagio interiore degli abitatori della nostra società tardo-industriale, con tutti i suoi riti, mode e convenzioni. Ma le chiavi di lettura potrebbero essere molteplici, a cominciare dallo strano rapporto che si instaura tra i tre protagonisti.

E non è un caso che, alla fine, per cause diverse, sia proprio il solo Maitland a rimanere nell'isola spartitraffico, quell'isola di cemento che sente di sua esclusiva proprietà e per cui ha combattuto una sottile guerra psicologica con gli altri due.

Ora, io non so che cosa pensi di tutto questo Ragone, ma forse su di una cosa siamo d'accordo: il primo Ballard, il teorizzatore dell'inner space, delle (auto)biografie e percorsi interiori, ha abbandonato lo "spazio interno" per intraprendere anche viaggi verso l'esterno senza perdere (e qui sta la differenza di opinione fra me e Ragone) quella maturità e originalità artistica che ne hanno fatto un esempio unico nel campo della narrativa mondiale. Virtù che ne fanno uno dei rarissimo scrittori di fantascienza capaci di presentarsi a un pubblico più ampio.

Per concludere, una questione che non è mai stata risolta: ma Ballard è o no uno scrittore di fantascienza?

Vedremo se qualcuno abboccherà all’amo.






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