James G. Ballard
di Mario Tosi
Medico, aviatore, poi famoso scrittore, ora solitario scrittore inglese. Per trent'anni ha avuto molto seguito nel Mondo del romanzo del sovrannaturale, più che di fantascienza. Adesso la celebrità di James Graham Ballard si è estesa anche al grande pubblico dopo il successo dei film di Spielberg tratto dal suo libro L'Impero del sole e l'ultima regia di David Cronenberg tratta sempre dall'ultimo romanzo, Crash. La sua passione per lo scrivere mise fine alla sua carriera di studente di medicina. Ovviamente non aveva ancora ben chiaro nella mente che genere di scrittore sarebbe diventato: fece vari mestieri per guadagnarsi da vivere e comperarsi il tempo per pensarci. Negli anni Cinquanta il Canada offriva l'addestramento da pilota come contributo alla Nato, perciò lo stesso Ballard andò in Canada per sei mesi. Fu proprio lì a Moses Jaw Saskatchewan, in un deposito di autobus, che scoprì le riviste di fantascienza. Quando lasciò l'aviazione nel lontano 1957, andò direttamente a lavorare per una rivista scientifica e appena il suo primo romanzo fu pronto per essere pubblicato, nel 1963, Ballard abbandonò tutti i suoi vari lavoretti e si mise a fare lo scrittore a tempo pieno. I suoi libri parlano tutti (o quasi) di spedizioni in terre sconosciute e in un certo senso i suoi voli di fantasia lo tengono fuori da tutto: A Londra è famoso perché non accetta mai gli inviti, non si mescola con gli altri scrittori ed evita accuratamente le luci della ribalta. Anche se Ballard scrive quasi sempre di giovani nella morsa delle ambizioni e delle ossessioni, lui non sembra "trascinato” in nessuna direzione. Per vent'anni mito di un pubblico raffinato e d’élite, poi autore di best-seller con L'Impero del sole, Crash, Il giorno della creazione, si ribella al ghetto della science-fiction. Lui ha sempre privilegiato lo spazio mentale a quello cosmico, i personaggi archetipi, le figure alla mercé di private ossessioni, l'architettura dei sogni e degli incubi, i paesaggi apocalittici, le immaginazioni realistiche miste alla poesia della fine del mondo. Fantascienza o grande letteratura? Forse le due definizioni non sono in contrasto. Come Kurt Vonnegut, come Doris Lessing, il chiaroveggente Ballard si muove a cavallo tra fantasia e realismo, tra il romanzo ossessivo e l'esplosione di sogni e alienazioni. L'immaginazione quindi è l'unica chiave per penetrare il mistero della vita. Lo avevano intuito i pittori surrealisti, Magritte, Max Ernst, Dalì: la verità sotto le apparenze può solo essere trovata penetrando la realtà col proprio sogno, ricreando il mondo con la fantasia finché non acquista un senso. Con l'ultima uscita, Cocaine Nights - pubblicato da Baldini & Castoldi -, lo scrittore inglese ci fa ancora credere come lui rimanga sempre il maestro riconosciuto del romanzo psicologico "ossessivo", un esploratore dello spazio interno all'uomo che è interessato alla superficie delle cose come punto di partenza verso l'ignoto.
Lei da scrittore di fantascienza è diventato futurologo. Quali sono state le previsioni più azzeccate fatte da scrittori di fantascienza?
«Il caso forse più eclatante è quello di Cyrano de Bergerac che nel Seicento scrisse un racconto in cui parlava di razzi con cui andare sulla Luna. La bravura non sta tanto nell'anticipare specifiche tecnologie, quanto nell'ispirare i tecnici e gli scienziati e indirizzarli verso nuove scoperte. Tutti i grandi scienziati spaziali, da Von Braun in poi, da giovani sono stati ispirati da Wells».
Qual è secondo lei la vera definizione della fantascienza?
«La fantascienza è quel ramo della letteratura che si occupa della reazione umana ai cambiamenti scientifici e tecnologici. E poiché la vita umana è stata sempre soggetta a drastici cambiamenti provocati dal progresso scientifico e tecnologico, la fantascienza ha il grande merito di educare la gente ad accettare questi cambiamenti».
Ma, per esempio, nel suo caso, nei gusti letterari e nel modo di scrivere lei non sembra voler affatto cambiare.
«Ha indubbiamente ragione. E questa è la mia più dolorosa contraddizione.
Nel 1939 scrissi un romanzo sui robot (lo, Robot) e molti scienziati che lavorano oggi sui robot mi hanno detto di essere stati stimolati da quel libro. Ecco, io preferisco che i miei libri siano da stimolo alla scienza e alla tecnologia».
Quando ha cominciato a scrivere e perché?
«Ho pubblicato la mia prima storia in una rivista di fantascienza nel 1957. Scelsi la fantascienza perché all'epoca il mondo letterario inglese era dominato da romanzi molto conservatori, molto borghesi e molto provinciali. Tutto cambiava, meno la letteratura, nostalgica e conservatrice. Mi sembrò che la fantascienza fosse la miglior forma di letteratura cui potessi dedicarmi».
Lei è sempre stato uno scrittore raffinato, difficile, d'élite. Però il suo più grande successo commerciale, arrivato con L'Impero del sole, guarda caso è anche il suo primo romanzo non di fantascienza.
«Quando ancora oggi leggo i rendiconti e scopro che L'Impero del sole ha venduto in Gran Bretagna 420 mila copie, cioè più di tutti i miei precedenti romanzi messi insieme, che devo dire? Mi salvo con l'ironia e lo humour britannico: L'Impero del sole avrebbe dovuto essere il mio primo romanzo, non l'ultimo».
Bisogna quindi rinnegare la fantascienza per essere accolti fra gli scrittori "seri"?
«Anche molti altri miei romanzi non erano di fantascienza. Crash per esempio, oppure High Rise, o Concrete Island, li chiamerei piuttosto di letteratura immaginifica o, sotto altri aspetti, surreale. Anche The unlimited dream company, che Anthony Burgess scelse come uno dei 99 migliori romanzi del nostro secolo, è piuttosto una fantasia religiosa. Eppure tutti i miei romanzi vengono posti nel calderone della fantascienza. Per comodità: per pigrizia, per paura. Io credo molto nella fantascienza, è una grande letteratura. I giovani amano e leggono fantascienza, ed è importante raggiungere i giovani lettori».
Lei prima parlava di Surrealismo: che rapporto può avere uno scrittore come lei con questo movimento?
«Io credo che il Surrealismo sia la più grande impresa di immaginario del nostro secolo. Grazie alla sua forza innovativa sono riuscito a trasformare i miei incubi in sogni e i miei sogni in scrittura.
Anche se in modo indiretto. Sono in grado di ricordare non solo il sogno della scorsa notte, ma tutti quelli che ho avuto. Tuttavia non ho mai scritto attingendo a quei ricordi onirici, è la realtà che va reinventata e dunque violentata, è il mondo esterno che ora va quantizzato ed erotizzato, come se fosse un nuovo corpo di cui abbiamo acquistato coscienza.
È tempo di pornografia materica: un frullatore può celare più potenziale erotico di un bel seno. In fondo la specie comincia ad assomigliare più al design degli oggetti che produce».
Che cosa pensa del sesso e della violenza?
«Credo che le vecchie perversioni sono già morte. Le fantasie di un uomo che veste in pelle la propria donna e la frusta sono un retaggio del passato. Non è più la carne che deve interagire con la carne, ma il soggetto con l'oggetto: è un concetto che va oltre Sade o Masoch e persino Hitler. Passiamo più tempo con l'inorganico e alla donna e all'uomo sentiamo là necessità di unire una certa dose di "metallicità", poiché essa è in un certo senso onesta. Il soggetto non lo è, mentre la violenza si. La ricerca dell'onestà è la ricerca dell'identità. Sono convinto che la violenza svolgerà negli attuali anni Novanta il ruolo che il sesso svolse negli anni Cinquanta e Sessanta, anche se molti possono deprecarlo».
Il suo nuovo romanzo, Cocaine Nights (Baldini & Castoldi), analizza proprio questo sconcertante paradosso ...
«È un mio personale ritorno al futuro, in cui viene analizzata in chiave antropologica la nostra attuale società occidentale. Ciò che io analizzo è una possibile estremizzazione del nostro modello sociale e culturale, arrivato non solo alla fine del XX secolo, ma al desolante e inutile capolinea. Dove il benessere materiale e l'opulenza tecnologica si intrecciano con i crimini efferati e con i perversi rapporti di necessaria convivenza».
Nel romanzo cerca di dare una definizione del nostro secolo ...
«Lo vedo come il matrimonio della ragione e dell'incubo. Penso ancora alla bomba atomica, ai campi di concentramento nazisti, alla Russia di Stalin, alla caduta del Muro di Berlino, alla distruzione ecologica del Paese. Il mio ultimo libro vede l'ormai XXI secolo come una grande Olimpiade con gare e scontri molto violenti, ma stilizzati, programmati».
Che rapporto ha con il cinema?
«Ho un particolare rapporto col cinema; in teoria “so” d'essere interessato a un tipo di cinema raffinato, ma in pratica sono affascinato dai registi che hanno elaborato un certo concetto di «epica», come John Ford, Sam Peckinpah, Sam Fuller, Robert Wise, Robert Aldrich, Don Siegel».
Cosa pensa dell'ondata-ritorno di film di fantascienza come Guerre Stellari?
«Mi piacciono quando sono fatti bene. Gli ultimi stranamente tendono a essere eccezionali dal punto di vista tecnologico, ma piuttosto infantili da quello del contenuto e della trama, il che va bene se sono fatti per quel bambino che si nasconde in ognuno di noi. Il problema oggi è che la maggior parte dei film sono in realtà effetti speciali. Penso a George Lucas, soprattutto. Rivedendo la serie Guerre Stellari mi è sembrato - ancora oggi - che il cinema tornasse indietro invece che andare avanti. Con gli ultimi remake, invece, si torna indietro all'inizio del secolo, indietro all'inizio del cinema, quando la gente pagava pochi penny per andare a vedere sullo schermo treni, navi, cascate, e usciva spaventata ed eccitata per la novità. Non c'era storia, c'erano solo gli effetti speciali dell'epoca. Oggi con la fantascienza e gli ultimi film legati al genere spesso è la stessa cosa».
Blade Runner le è piaciuto?'
«No, per niente. Non riuscivo a sopportare quel clima di soffocamento. Ha fatto di meglio Jean-Luc Godard venticinque anni fa con Alphaville».
Non salva nessuno?
«Sì, gli artisti. Cioè Spielberg oppure l'australiano George Miller. Mad Max 2, per esempio, per me rimane ancora un capolavoro. Ho sicuramente dei cult-movie, ma bisogna pescarli negli anni Cinquanta. Ultimatum sulla terra, per esempio, oppure L'invasione degli ultracorpi. Poi più avanti Il pianeta proibito o Il dottor Stranamore, vivo, vero, vitale, niente a che vedere con quell'altro film di Stanley Kubrick da tutti osannato, 2001 Odissea nello spazio: freddo, noioso, odioso. Comunque sia, il mio cult movie rimane sempre Radiazione BX distruzione uomo. E anche molti episodi della serie televisiva Ai confini della realtà. È così che io intendo una sceneggiatura forte, piena di intrecci, niente viaggi spaziali e storie dei giorni nostri. È una serie che si vede ancora oggi, resiste al tempo, ed è tutta in bianco e nero».
[ Indietro ]
Articoli per bibliografie e saggi sulla sf italiana Copyright © di IntercoM Science Fiction Station - (398 letture) |