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Addio a James G. Ballard profeta della modernità


di Matteo Persivale


L'anno scorso, già condannato dal tumore alla prostata e alle ossa che lo ha ucciso ieri mattina, J. G. Ballard in un'intervista al Guardian (pubblicata in Italia dal Corriere) aveva ricordato che «classificare Crash alla stregua di un romanzo di fantascienza significa metterlo lì e non pensarci più. Si può dimenticare».

E il modo peggiore per ricordare Ballard, che da vivo fu censurato (La fiera delle atrocità bandito negli Usa l'esempio più celebre, ma anche tutti i guai piovuti su Crash, prima sul libro e poi sul film girato da David Cronenberg) e sovente stroncato per partito preso da una critica non sempre in buona fede, è quello di considerarlo uno scrittore di fantascienza, una specie di cappellaio matto che stornava storie spesso vietate ai minori che parlano di mondi impossibili e lontani dal nostro.

Perché in realtà come hanno notato i suoi critici più attenti James Graham Ballard, nato il 15 novembre 1930 nella zona angloamericana di Shanghai, prigioniero bambino dei giapponesi, medico mancato (a Cambridge studiava da psichiatra ma lo interessavano di più le autopsie, e comunque capì subito che da medico non avrebbe mai avuto tempo di scrivere), aviere della Raf in Canada, piazzista di enciclopedie, pubblicitario, vedovo a 34 anni, scrittore di bestseller è stato, al netto della fantasia prodigiosa delle sue invenzioni, un narratore del presente - quasi un giornalista. Se la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, Ballard perseguiva la descrizione, l'analisi (e la previsione) della realtà con altri mezzi - quelli dell'immaginazione.

Non collega di Ray Bradbury e Arthur C. Clarke ma discepolo di Jonathan Swift e George Orwell: perché è stato proprio Ballard che, dopo aver annusato un po’ di surrealismo e di pop-art e aver dato un'occhiata ai primi televisori, raccontò quella che adesso i sociologi chiamano la «società mediata»; e dopo aver visto i primi centri commerciali Oltreoceano - indispensabili per servire quei quartieri suburbani nei quali visse tutta la vita adulta, precisamente a Shepperton, estrema periferia ovest di Londra - si rese conto che «la pubblicità rimpiazza la politica; nasce una nuova forma di democrazia».

A Ballard bastò dare un'occhiata a Ronald Reagan nel 1968, quand'era fresco governatore della California, dodici anni prima della sua elezione alla Casa Bianca, per scrivere un letale, subito bollato come «scandaloso» (il titolo in effetti è con parolaccia) saggio, Why I Want to Fuck Ronald Reagan, finto rapporto medico nel quale si descrive la potenza sessuale dell'ex attore, simbolo di quella nuova politica rimpiazzata dalla pubblicità che Ballard aveva capito prima di tutti gli altri (lo scrittore, amatissimo da Baudrillard come dai ragazzacci del cyberpunk e da grandi della musica leggera come Joy Division e Radiohead, fu peraltro genuinamente affascinato dalla signora Thatcher, della quale appoggiò con il consueto humour - «il lodevole tentativo di americanizzare l'Inghilterra»).

Dal suo primo grande libro Il mondo sommerso (Feltrinelli), del 1962, si capisce che Ballard è un apocalittico sui generis – la fine del mondo è vista con interesse, non con terrore (il mondo come gabbia, vero tema ballardiano). La fiera delle atrocità (Feltrinelli), 1969, è la raccolta di racconti e frammenti che l'ha reso famoso, un narratore che cambia continuamente nome ma non cambia la sua ossessione - per la morte di Marilyn e l'omicidio Kennedy - «L'incidente d'auto più famoso del mondo» lo definirà quattro anni dopo in Crash (Feltrinelli) dove una setta di fanatici degli incidenti d'auto ricrea le morti più famose come fosse performance art, il sogno è quello di schiantare la propria auto contro quella di Liz Taylor in una sorta di rito sacrificale della celebrità, e il protagonista si chiama «James Ballard».

E poi L'impero del sole (Feltrinelli) del 1984 (da cui il film di Spielberg) sulle sue esperienze di ragazzino inglese nel campo di prigionia nipponico durante la guerra; Cocaine Nights (Feltrinelli), il suo Delitto e castigo, i racconti (pubblicati integralmente in Italia da Fanucci), Fine millennio: istruzioni per l'uso, la raccolta completa degli articoli giornalistici (Baldini Castoldi Dalai): sempre nella diffidenza di tanti critici e del salotto buono della letteratura inglese.

Salotto che lui irrideva con le battute fulminanti - «Diana, così libera e matta, lei era una di noi: non come i tedeschissimi Windsor», «La letteratura è una branca della neurologia»; «Se Cristo tornasse sulla Terra, morirebbe in uno scontro d'auto»; «Riuscii a sopravvivere all'educazione in un collegio privato in Inghilterra soltanto grazie all'esperienza di anni passati sotto arresto a Shanghai».

Il suo umanissimo elogio della follia come forma di libertà per raccontarci, ancora una volta, che è il mondo il nostro campo di prigionia.






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