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Io e Ballard, un lungo dialogo sulla vita


di Matteo Persivale


C'era una volta un giovane medico che amava i libri di J.G. Ballard e che aveva scritto un romanzo. Voleva sapere che cosà ne pensasse, il suo eroe, dì quel dattiloscritto: così glielo spedì, senza troppe speranze di ricevere una risposta. Perché, insomma, quanta posta - e quanti manoscritti avrà mai ricevuto un autore famoso in tutto il mondo?

«Invece tre giorni dopo mi arrivò una lettera. Di J.G. Ballard. "Chiami il mio agente a questo numero", diceva. "Penso che il suo libro possa essere pubblicato". Fu così che trovai un agente e un editore. E che James Ballard diventò mio amico».

La voce del professor Jonathan Waxman, oggi docente di oncologia all'Imperial College Hospital di Londra (la più grande facoltà di medicina d'Europa), luminare della cura dei tumori alla prostata, è gentile ma segnata dalla commozione: da quel giorno cominciò un'amicizia strettissima e trentennale, diventata un delicatissimo rapporto tra paziente e medico quando, nel giugno del 2006, a Ballard fu diagnosticata la forma più letale di tumore alla prestata, con metastasi ("Circa un terzo dei tumori alla prostata si rivelano letali; nel suo caso, tragicamente, non c'erano dubbi – o speranze - di alcun tipo. E lui lo sapeva»).

Ballard - morto l'altroieri mattina a Londra - ammise poi che la sua autobiografia, I miracoli della vita, uscita l'anno scorso nel Regno Unito e due mesi fa in Italia (Feltrinelli), non sarebbe mai stata scritta senza le terapie - l'affetto - dell'amico dottore: «È grazie a Jonathan Waxman che ho trovato la forza di scrivere questo libro».

«Andò proprio così - racconta il professor Waxman al Corriere, al telefono dal suo studio londinese - lo gli ripetevo: devi continuare a scrivere, non puoi permettere alla malattia di fermarti, hai sempre scritto, da quando eri ragazzo. È la tua vita. Riuscì a finire l'autobiografia e cominciammo insieme anche un altro libro, intitolato Conversazioni con il mio medico: il senso,- se ne ha uno – della vita. Erano i nostri dialoghi, perché tra di noi parlavamo proprio di tutto: non mi era mai capitato di trovare qualcuno con cui avessi una completa identità di vedute sulle cose importanti, e anche su quelle meno importanti. Vede, chi non l'ha conosciuto, chi non ha avuto la fortuna di essere circondato dalla sua sollecitudine, dal suo affetto, dalla sua considerazione per i sentimenti altrui, non può sapere che cosa significhi essere stato amico di Ballard. Un uomo che perse la moglie a 34 anni, e da quel momento dedicò la vita ai suoi figli, allora bambini. Senza aiuti. Si alzava presto, preparava loro la colazione, li vestiva, li portava a scuola in macchina. Poi tornava a casa, si versava un bicchiere di whisky, e solo allora cominciava a pensare ai suoi libri. All'ora di andare a prendere i bambini a scuola posava la penna e diventava di nuovo papà a tempo pieno. James Ballard era una persona così. Lo so che si dice sempre bene di quelli che non ci sono più ... ma la sua unica vera preoccupazione era il benessere di quelli che amava. La letteratura era un'altra cosa. Anche dopo la diagnosi, anche quando il male lo colpì con una durezza che, le assicuro, fu estrema, la sua prima preoccupazione era non creare disturbo... né alla sua famiglia, né al suo medico. Ora io non credo che Conversazioni con il mio medico: il senso - se ne ha uno - della vita verrà mai pubblicato: non c'è abbastanza materiale, solo appunti e poco di più.

Quel che rimane è più un progetto di libro che un'opera incompiuta: il male era davvero a uno stadio troppo avanzato per permettergli di lavorare ancora. Ai lettori restano comunque tutti gli altri libri di questo scrittore straordinario. A chi di noi ha avuto il privilegio di conoscerlo, però, resta anche il ricordo del suo sorriso».






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