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Le ossesioni private dello stregone Ballard


di Martin Amis


Il mio primo incontro con J. G. Ballard risale agli anni dell'adolescenza. Era amico di mio padre e fu mio padre a incoraggiarlo ai suoi esordi letterari, definendolo «l'astro della fantascienza post-bellica». Ballard era un uomo affascinante, con un viso pieno ed espressivo e uno sguardo intenso, e parlava in tono graffiante accentuato da marcate cadenze, ma non di sarcasmo si trattava, bensì di fervore. L'amicizia tra i due non sopravvisse all'interesse crescente di Ballard per lo sperimentalismo, che mio padre definiva un modo per «rincoglionire il lettore». Tuttavia, il piacere di incontrare Jim in seguito non venne mai meno. Era un uomo di eccezionale simpatia e affabilità, nonostante l'incredibile bizzarria della sua immaginazione.

Immaginazione che era stata plasmata dalle esperienze belliche a Shanghai, quando fu interato in un campo di prigionia giapponese. All'epoca aveva tredici anni e si adattò alla vita del campo come «a una gigantesca famiglia di straccioni». Alla sua formazione non contribuì unicamente la vita di prigionia, bensì soprattutto lo scarso valore attribuito alla vita umana, di cui vide testimonianze in tutta la sua infanzia. Mi raccontò di aver assistito, a cinque metri di distanza, al massacro di alcuni cinesi a bastonate, e ogni mattina, quando veniva condotto a scuola in una limousine americana, vedeva le strade riempirsi di nuovi cadaveri. Poi arrivarono i giapponesi. Diceva Ballard: «I popoli democratici non hanno idea della quotidiana brutalità che regna in alcuni Paesi orientali. No, non ne hanno la più pallida idea. E forse è meglio così”.

È interessante notare che i suoi due romanzi più famosi siano stati entrambi trasformati in film: L'impero del sole, da Steven Spielberg (un artista fondamentalmente ottimista, che non ha però mai paura di affrontare i lati più oscuri delle tematiche storiche), e Crash, da David Cronenberg un regista assai più tenebroso, specializzato nel realizzare film dalle opere che meno si prestano alla trasposizione cinematografica). Crash è il romanzo più tipico della produzione di Ballard, permeato dall'ossessione pornografica per le vittime degli incidenti stradali. Questo ci ricorda che la parola «ossessione» deriva dal latino «obsidere», che significa «assediare». E Ballard era assediato dalle sue ossessioni. Scenario e atmosfera per lui si equivalevano. Era scarso il suo interesse per gli esseri umani nel senso convenzionale (e scarsissimo il suo orecchio per i dialoghi): per lui tutto passava inesorabilmente, spietatamente, attraverso lo sguardo.

L'impero del sole - il suo più grande successo - apparve quasi un insulto per i fedeli ammiratori. Il romanzo, estremamente realistico, malgrado l'ambientazione e le vicende bizzarre, sembrava voler tradire il culto di cui era oggetto l'autore.

I suoi fan capirono che l'«Impero» (così lo chiamava lo scrittore) svelava i condizionamenti e le deformazioni cui era stata sottoposta l'immaginazione di Ballard: in un certo senso, il libro era la spiegazione naturalistica della sua genesi. Per gli ammiratori (per quanto illogica la loro delusione), era come uno stregone che sveli i trucchi della sua magia.

Ballard aveva esordito come scrittore di fantascienza duro e puro. I suoi primissimi racconti, su tematiche correnti come la sovrappopolazione, il degrado sociale e via dicendo, sono tra i migliori del genere. Ma il genere non gli bastava.

Seguirono quattro romanzi apocalittici - Vento dal nulla (1961), Il mondo sommerso (1962), Terra bruciata (1964), Foresta di cristallo (1966) - >nei quali il mondo viene distrutto da vento, acqua, fuoco e mineralizzazione. Poi giunse il suo periodo violento, con La mostra delle atrocità, nel 1969. Due racconti danno il tono all'intera raccolta: Il lifting della principessa Margaret e Ecco perché voglio fottere Ronald Reagan. La fase cemento-e-acciaio si prolunga con Crash (1973), L'isola di cemento (1974) e Il condominio (1975). Il periodo successivo è racchiuso in un altro titolo: Mitologia del futuro prossimo (1982). Lavorava ancora in quest'ultimo ambito quando è sopraggiunta la morte (fanno eccezione le commoventi memorie , I miracoli della vita, pubblicate lo scorso anno). Gli ultimi romanzi - tra cui Cocaine Nights e Super Cannes - trattano dell'attivismo violento delle multinazionali e delle élite privilegiate in un futuro prossimo di stampo assai diverso.

In questi ultimi romanzi Ballard fa sfoggio di tutte le sue intuizioni sciamaniche. Si chiedeva: quale effetto ha l'ambientazione moderna sulla nostra psiche - il flusso ininterrotto delle autostrade, l'architettura degli aeroporti, la cultura dei centri commerciali, la pornografia e la tecnologia? La risposta alla domanda punta verso una perversione che assume le più svariate forme mentali, tutte estreme. Quando si staccò dalla fantascienza, Ballard disse che respingeva lo spazio cosmico a favore dello «spazio interno». E questo è rimasto il suo campo di indagine. Ballard sarà ricordato come il più originale scrittore inglese dell'ultimo secolo. Diceva che gli scrittori erano «squadre di un'unica persona» che avevano bisogno dell'incoraggiamento della folla (ovvero dei lettori). Ma sarà ricordato anche come unico nel suo genere: nessuno infatti gli assomiglia, neppur lontanamente. È stato un'eccezione.

Pochissimi ballardiani (quasi esclusivamente di sesso maschile) hanno commesso la follia di tentare di emularlo. Ballard è inimitabile. Ha esercitato però una notevole influenza per la meravigliosa scioltezza della prosa e le improvvise, straordinarie espansioni delle immagini.

Ballard era un convinto sostenitore dell'etica flaubertiana, e cioè che gli scrittori devono imporre ordine e regolarità alla loro vita, per poter essere scatenati e sinistri nella loro opera. Viveva in una villetta bifamiliare a Shepperton, con una Ford Escort rosso pomodoro nel parcheggio adiacente al giardino. Per scrivere un profilo su di lui, nel 1984, mi presentai a casa sua alle 11 del mattino e le sue prime parole furono «Whisky! Gin! Vodka!». Mi raccontò che lo venivano a trovare dei «fan di Crash», mettiamo dalla Sorbonne, e si aspettavano di vederlo emergere da un miasma di acido lisergico e pedopornografico. E invece si trovavano davanti un signore gioviale, felice e soddisfatto di abitare in periferia. Nel 1964, durante una vacanza, la moglie Mary morì improvvisamente e Ballard si ritrovò ad allevare da solo i loro tre bambini. Mi rivelò che all'inizio, per farlo, aveva bisogno di mandar giù un whisky ogni ora, dalle nove del mattino in poi. E gli ci volle molto tempo per riuscire a spostare il drink dopo le sei di sera. Gli chiesi se era stato difficile, e mi rispose: «Difficile? Come la battaglia di Stalingrado». Ma tutto lasciava intendere che era sempre stato un padre attento e amoroso.

L'ultima volta che ho visto Ballard, tre o quattro anni fa, ero in compagnia di mia moglie, con Will Self e Deborah Orr. Abbiamo cenato insieme, c'era anche la sua compagna degli ultimi quarant'anni, Claire Walsh. Nel ristorante mi confessò che gli restavano «un paio d'anni di vita». Me lo disse con il suo coraggio istintivo, ma senza riuscire a nascondere la profonda tristezza di un uomo che amava la vita con tanta passione.






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