Riapre il parco dei dinosauri ma fa rimpiangere Spielberg
di Maurizio Porro
Come volevasi dimostrare, il cinema non fa che ricopiarsi. Per colpa del preistorico Dna del sangue dell'atavica zanzara, da cui nel '93 il geniale mago Spielberg resuscitò i dinosauri del suo Jurassic Park, oggi il parco dei sadici divertimenti riapre per l'ennesimo sequel fotocopia diretto (si fa per dire) da Colin Trevorrow, la cui opera prima dall'allarmante titolo Safety Not Guaranteed, è da noi sconosciuta.
In questo quarto capitolo della saga, che lascia brutti ricordi legati a un film del 2001, accade tutto ciò che deve accadere nella civiltà del divertimento con terrore omologato, con l'elemento sorpresa ai minimi termini e il fattore incredulità spinto al top. Perché gli umani assetati di dollari e potere, come sempre ci ha bisbigliato nella sua opera Spielberg, hanno creato per Jurassic World, dove piccini visitano il mondo animale del passato in sfere roteanti, una terrificante nuova creatura ancestrale, in realtà un ibrido genetico che sta al passo con polemiche dei tempi, l'Indominus Rex.
Chris Patt (divo emergente che viene dai telefilms, poi passato per i Guardiani della galassia e già prenotato per i remakes di I magnifici 7 di Fuqua e Indiana Jones) è qui un addestratore, ex militare non solo per psicologia, di quattro Velociraptor che dovrebbe controllare con un microchip, obbligando i bestioni a stare nei loro spazi. Ma ogni piccino con pop corn, terrorizzato, in sala sa da subito che non sarà così, aspetta solo che appaia in gigantesche tre dimensioni la prima grande zampa bisognosa di pedicure. Col viril eroe la manager Bryce Dallas Howard e i suoi due raccomandati nipotini, gli indomiti Zack e Gray, che si trovano a dover fronteggiare piedoni e caviglie rugose, la pappagorgia a sbalzi, gli occhi assonnati alla Bronson-Cage, e gli arti grinzosi del regno animale del passato.
Inseguendo, sono passati 22 anni dal primo film coi miracoli della Lucas, i prodigi della Computer graphic (mostri al computer ma con mimi a segnare i movimenti, a dare un'impronta umana a quella bestiale ... ), i cine paleontologi, con Spielberg sempre producer, hanno riesumato le creature spaventose ma non antipatiche ai più per sfruttamento marketing. Ricompare omaggiato anche il T-Rex originale maleducatamente paragonato dall'autore al vecchio Burt Lancaster; ma, la scrivo io no la scrivi tu, tutti si sono dimenticati della sceneggiatura, ridotta a un canovaccio di banalità seriali senza la garanzia degli effetti speciali di Stan Winston oggi scomparso né del compianto scrittore Michael Crichton, padre del romanzo che allora le major di Hollywood si disputarono per Tim Burton, Joe Dante e Richard Donner.
Molto rumore, anche musicale (Williams, co autore di Steven), urla, passi pachidermici amplificati. 'Tutto noiosamente previsto.
Voto: 5
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