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Opposizioni su "Crash"


di Mario Fabiani


"Viviamo insomma all'interno di un enorme romanzo. Allo scrittore in particolare è quindi sempre meno necessario inventare il contenuto fantastico del proprio romanzo. L'invenzione fantastica essendo già Data, il suo compito è l'invenzione della realtà."


"Crash" è o no fantascienza? Ricordo che, ai tempi abbastanza remoti in cui facevo parte del comitato di redazione di una sfortunata rivista con lo stesso nome, si favoleggiava e si polemizzava sulla questione di come collocare il romanzo ballardiano più trasgressivo, se nel "mainstream" o nella SF d'avanguardia. Credo che tutto sommato la questione sia rimasta irrisolta, e per anni quest'opera per certi versi fondamentale è rimasta non tradotta nel nostro paese, lasciando dubbi così anche sulla sua eventuale collocazione editoriale.

Alla fine "Crash", a diciassette anni dalla sua prima pubblicazione in lingua originale, ha visto la luce presso Rizzoli, editore non specializzato, e una citazione promozionale in quarta di copertina, riportata paradossalmente da "Science Fiction Magazine", lo definisce "un capolavoro della letteratura apocalittica contemporanea".

Ora, io non so se esista una "letteratura apocalittica contemporanea", e nemmeno mi interessa insistere in un tentativo di catalogazione tutto sommato inutile. Penso sia necessario in questo caso, e non mi dispiace ammetterlo, mettere da parte la querelle su "cosa è la fantascienza", con tutti i relativi abbozzi di modelli più o meno generici ed onnicomprensivi. Non dico, è chiaro, che non si debba comunque ricercare una definizione o un modello; tutto il lavoro del critico spesso si riduce a questo. Si tratta soltanto di riflettere sul particolare immaginario di uno scrittore che si autodefinisce "di fantascienza", e che probabilmente rappresenta molto per la letteratura contemporanea di qualsiasi genere.

In quest'ottica la citazione dello stesso Ballard dalla prefazione a "Crash" è abbastanza significativa. Il crescere di complessità del mondo esterno e dell'universo dei segni rendono difficile, se non impossibile, una visione del mondo univoca e non problematica. Nel mondo delle deviazioni comunicative e dell'occultamento del vero, un vero sempre più impalpabile, lo scrittore non è più padrone del proprio potere, non è più l'entità onnisciente che riporta le regole di un universo ben definito.

Diventa solo testimone del proprio disorientamento. In un'altra parte della prefazione, Ballard afferma: "Sento che, in certo qual modo, lo scrittore non sa più nulla. Lo scrittore non ha più una posizione morale: offre al lettore i contenuti del proprio cervello, sotto forma di una serie di possibilità di alternative fantastiche".

Ecco allora la fantascienza, la rappresentazione del famoso spazio interno portato come manifesto della narrativa ballardiana. Qui non ha più nessuna importanza la collocazione spazio-temporale degli avvenimenti narrati (la sf è narrazione del futuro?) né la presenza di elementi non riconducibili all'esperienza del lettore. Ha importanza invece il carattere speculativo dell'esperienza letteraria, la possibilità di costruire un universo-laboratorio di analisi in cui i meccanismi psicoanalitici si attuano fino alle estreme conseguenze, e chi racconta mette a nudo le proprie personali ossessioni forgiando il mondo ad immagine dell'unica cosa che può esplorare senza timori di mistificazione: la propria mente.

Ecco dunque in cosa consiste "l'invenzione della realtà" di cui lo scrittore parla nella citazione.

L'elaborazione di questi "paesaggi interiori" appare in tutte le opere più famose di Ballard, da "Vermilion Sands" a tutto il "ciclo delle catastrofi". Proprio a quest'ultima serie di testi l'autore ricollega "Crash", riconoscendo come unico elemento variante la natura dell'evento catastrofico: immaginaria nelle precedenti opere, reale e istituzionalizzata nel romanzo in questione. La zona del disastro è in questo caso molto più vicina all'esperienza diretta del lettore, non necessita di inferenze proprie del genere SF, ed è questo che rende "Crash" apparentemente così poco legato al detto genere. Ma l'universo del romanzo, così come accadeva negli altri testi, non risponde a regole spazio-temporali proprie della "fantascienza catastrofica", regole speculative riguardanti ciò che si presume essere la situazione del reale. Ciò che preme a Ballard è il modellare i suoi scenari fino a renderli teatro mentale, in cui il simbolismo è la principale chiave di lettura. Ecco quindi che l'intera azione di "Crash" si svolge in un ambito spaziale estremamente ristretto, conchiuso anche se in sé stesso dinamico: l'area autostradale di svincolo accanto ad un grande aeroporto. Un'area di passaggio, una di quelle zone del tessuto cittadino normalmente rimosse dalla coscienza collettiva. Una zona che assume senso solo se inserita in una logica di collegamento tra la città e l'esterno, le due grandi e oppositive entità spaziali che regolano molte relazioni psico-culturali. Una vera e propria zona morta che l'autore isola in una serie di memorabili visioni rivelatorie di possibili significati occulti.

Significati che sono possibili solo in quanto l'ambiente è estraniato dalla propria funzione per assumere connotati di specchio della psiche dell'osservatore. La narrazione, fortemente soggettivizzata è naturalmente funzionale a questo, escludendo volutamente e completamente la figura del narratore onnisciente. Il mondo che appare al lettore è sempre e comunque quello dei protagonista/autore Ballard, mondo che peraltro è l'unico passibile di descrizione ed analisi.

È qui che si estrinseca la straordinaria abilità di Ballard nel descrivere in maniera straniata e carica di simbolismi, scenari di incredibile squallore e artificialità. Sono anzi proprio queste caratteristiche negative a donare a queste zone l’esplosiva carica di perversità rimossa che le fa assurgere a "spazio interno".

Una visione per tutte, che coglie il protagonista mentre osserva le auto ferme in un ingorgo autostradale:

"Osservando attentamente quell'area silenziosa, mi resi conto che l'intera zona abbracciante il paesaggio della mia vita era adesso limitata da un orizzonte artificiale continuo, formato dalle barriere soprelevate e dalle massicciate delle autostrade e dal loro complesso di rampe d'accesso e svincoli. E i veicoli sottostanti si trovavano accerchiati da questo complesso come da pareti di un cratere largo miglia e miglia.

Il silenzio durava. Qua e là un guidatore, a disagio nella trappola dei raggi ardenti del sole, si muoveva da dietro il volante; e io ebbi improvvisamente l'impressione che il mondo si fosse fermato. Le ferite ai ginocchi e al torace erano radiofari sintonizzati su una serie di trasmittenti in funzione, e portavano i segnali, a me sconosciuti che avrebbero rimesso in moto quell'immensa stasi e ridato ai guidatori la libertà di procedere verso le destinazioni reali stabilite per i loro veicoli - paradisi dell'autostrada elettrica."

La macchina, le strade, il cemento, l'acciaio, in una parola l'artificiale in tutte le sue forme, è senza alcun dubbio il primo degli elementi portanti che sottendono al testo. E, nella più classica delle strutture oppositive, l'altra linea di sviluppo è rappresentata dal sesso, come espressione più pura e diretta dello stato naturale. Un'ennesima incarnazione del rapporto dialettico su cui si basa il novantanove per cento della SF, dunque, ovvero natura vs cultura?

Ovviamente a livello profondo l'opera segue questo modello, ma ciò che più interessa sono, come di consueto, i livelli più superficiali, capaci di caratterizzare in maniera più concreta e specifica il testo.

Innanzitutto è utile delineare due situazioni dinamiche che attribuiscono ai due poli, organico/meccanico, uomo/macchina, valenze in parte assimilabili.

Analizziamo dunque i rapporti che intercorrono tra i vari personaggi della storia, innanzitutto i principali: il protagonista Ballard, la moglie Katherine, Vaughan, ma anche le relazioni tra questi e altri attori secondari, come Helen Remington, Gabrielle, ecc. Si assiste indubbiamente ad un disgregarsi dei valori morali comuni: nessuno dei rapporti e delle differenziazioni istituzionali, moglie/marito, etero/omosessuale, ha più alcun valore soggettivo per nessuno dei personaggi coinvolti, che non fanno nessun sforzo (così come non lo compie l'autore) per giustificare i propri comportamenti devianti e non risentono di alcuna conseguenza psicologica dovuta ad un condizionamento morale che sembra venire completamente meno. La sola logica comportamentale è quella della soddisfazione del proprio io, l'esplosione senza remore di una sessualità totale che è propria dell'inconscio ed è istituzionalmente repressa.

Parallelo, e complementare a questo universo di carnalità primordiale, impone la propria presenza un mondo puramente tecnologico, quello delle automobili e delle distese stradali, della dinamica complessa e in sé inconoscibile della circolazione del traffico. Il microcosmo in cui Ballard e gli altri si trovano a vivere, nella sua natura fondamentalmente chiusa e circolare, viene ad assumere una connotazione dinamica auto-significante. I movimenti delle auto sui cavalcavia e attraverso gli svincoli, i sorpassi e i rallentamenti, assumono la stessa caratteristica di auto-soddisfazione narcisistica che incarnano le evoluzioni emotive e sessuali dei protagonisti umani.

Le sembianze artificiali delle automobili e la dinamica dei movimenti meccanici diventano quindi non solo simbolicamente ma oggettivamente prolungamento ed amplificazione dei corpi e degli atti sessuali, proponendosi non più come antagonisti, ma come possibili elementi di una fusione organico-inorganico foriera di possibilità inesplorate. È sufficiente leggere una sola delle terrificanti descrizioni di rapporti sessuali contenute in "Crash" per rendersi conto dell'enfasi che l'autore/protagonista mette nel delineare i contorni di questa possibile sintesi. È finalmente qui messa a nudo la valenza profonda della macchina come simbolo di potenza fisica e amplificazione illimitata dell'io. L'antagonismo natura/cultura è qui risolto in termini psicoanalitici con un procedimento lucido-razionale, laddove la stessa cosa avviene in molta letteratura di SF spesso in maniera dei tutto involontaria e inconscia. Per rendersi conto di ciò basta esaminare la vasta branca della SF che tratta di robot e cyborg, entità di per sé stesse estremamente perverse, in quanto sì massime espressioni della cultura scientifica razionale, ma anche estrinsecazioni del desiderio inconscio e irrazionale di onnipotenza psicofisica-sessuale, quindi legati a doppio filo allo stato di natura. Proprio per questo la macchina assume spesso connotati di (auto)distruzione e morte (il robot che si ribella, il cyborg che impazzisce) in quanto in qualche modo esplica ed innesca in maniera esplosiva un conflitto morale insanabile.

Data questa chiave di lettura, "Crash" sembrerebbe configurarsi come opera profondamente amorale e trasgressiva; improbabile proponitrice di perverse unioni uomo/macchina. In realtà, "Crash" è trasgressivo solamente in quanto evidenzia strutture profonde proprie della civiltà delle macchine, e quindi della quasi totalità della SF, che di questa civiltà si fa portavoce. In ogni modo non stupisce il fatto che quest'opera abbia spaventato alcuni editori (solo nel nostro paese, peraltro), data la lucidità feroce e la precisione analitica con cui descrive atti sessuali di ogni genere nel loro rapportarsi alle dinamiche dell'universo artificiale che sottende tutto lo svolgersi dell'azione. A questo proposito, è d'obbligo citare un'altra affermazione di Ballard nell'introduzione:

"In tutto il libro ho usato l'automobile non solo come simbolo sessuale, ma come metafora totale della vita dell'uomo nella società odierna. Come tale, il romanzo ha un ruolo politico nettamente distinto dal suo contenuto sessuale, sebbene mi piaccia pensare che questo sia il primo romanzo pornografico basato sulla tecnologia. In un certo senso la pornografia è la forma narrativa a più alto contenuto politico. Poiché tratta, nella più insistita e crudele delle forme, del nostro reciproco sfruttamento." (il grassetto è mio).

È chiara in questa dichiarazione l'ambivalenza, e in un certo senso la contraddizione, che sta alla base dell'opera: nel descrivere il proprio "spazio interno", l'autore non compie solamente un'operazione psicanalitica nei confronti delle proprie pulsioni e di quelle del lettore. Se così fosse, il testo perderebbe molte delle proprie potenzialità. In realtà il procedimento presuppone semplicemente una reinvenzione dell'esperienza del reale attraverso ciò che lo scrittore presuppone essere l'unico dato di riferimento: la propria dinamica psichica. Ciò che se ne ricava è comunque una visione del mondo.

Così come una visione del mondo (e, come giustamente fa notare Ballard, particolarmente precisa), per quanto possa apparire scandaloso, è quella che si ricava dai testi pornografici, espressamente dedicati all'estrinsecazione e alla soddisfazione egocentrica delle fantasie sessuali represse del lettore.

Ed è importante qui puntualizzare che ciò che all’autore interessa in "Crash" è appunto di esprimere la natura profondamente egocentrica e prevaricatrice degli atti sessuali che descrive. Atti in cui a trarre piacere è sempre e comunque un solo soggetto: gli altri attori sono ridotti a oggetti, solo sfruttabili in quanto possibili fonti di soddisfazione. E ciò è coerente rispetto alla logica meccanicistica di questi rapporti, la scomparsa degli elementi identificativi dell'umano come partner sessuale, a favore dell'elemento tecnologico, inerte, esclusivamente funzionale.

La simbologia è cosi scoperta e voluta, a differenza di quella propria di un normale romanzo porno, da rendere le connotazioni negative molto evidenti.

Proprio a causa di ciò si può tranquillamente affermare che "Crash" è opera dal forte rigore morale. Nel momento stesso in cui descrive le deviazioni del proprio mondo, l'autore ne prende le distanze. Le analizza razionalmente e le esorcizza, come nel più classico dei procedimenti psicoanalitici.

Rimane comunque da prendere in considerazione l'elemento pregnante dell'opera, quell'elemento che ne ha anche ispirato il titolo: il "Crash", lo scontro, l'incidente, la catastrofe.

Come è evidente anche da numerosi altri testi ballardiani, il tema della distruzione è centrale alla visione del mondo dello scrittore inglese. È comunque utile notare che si tratta sempre, coerentemente, di autodistruzione: è il protagonista/attore/autore implicito che si cancella, provocando così, e non viceversa, la, cancellazione del mondo.

Nel caso di "Crash", l'autodistruzione è la naturale conseguenza del desiderio di onnipotenza proprio dei protagonisti e del loro conseguente agire immediato. Il raggiungimento della massima soddisfazione sessuale e del massimo potere fisico coincide inevitabilmente con una compenetrazione totale di elementi organici e meccanici che fissi in una conformazione statica funzionale ed eterna i contorni della perfetta fusione.

Non per niente Vaughan, il vero protagonista a livello profondo della storia, passa il suo tempo a prendere fotografie di vari incidenti stradali alla ricerca della conformazione ideale da riprodurre in quello che già dall'inizio sa che sarà il proprio incidente, la definitiva consacrazione del proprio io che si compirà con lo spargimento onnicomprensivo delle proprie sostanze vitali (sangue, sperma) sul mondo. Nella simbologia sessuale delle analogie tra l'organico e il meccanico, e nella particolare configurazione del microcosmo automobilistico in cui si svolge l'azione, l'incidente stradale rappresenta la trasgressione estrema, la perversione finale. Nella dinamica della circolazione, lo scontro rappresenta allo stesso modo la sublimazione del movimento e l'espressione eternata dell'atto, la fotografia dell'unione finale.

È utile qui sottolineare la natura circolare dell'evolversi dinamico della storia, che segue un discorso dai connotati spazio-temporali esclusivamente derivanti dalle evoluzioni psichiche di Ballard. Tutto ha inizio e fine in un incidente stradale, evento che assume sia il ruolo di illuminazione scatenante le pulsioni inconsce dei protagonisti, sia quello di celebrazione finale del desiderio di onnipotenza sessuale degli stessi.

Come appartenenti ad una setta segreta, accomunati dall'esperienza illuminante e deviante dell'incidente stradale, gli attori di "Crash" celebrano il rito del sacrificio finale (incredibilmente emblematica la scena dello spargimento del seme nel cimitero delle auto) alla divinità meccanica. Come i personaggi marchiati di Dick (ai quali tra l'altro ci rimanda la figura, di Gabrielle), che nella contaminazione fisica con la macchina perdono le proprie connotazioni umane per diventare super-entità prive di controllo morale, così i protagonisti di Ballard, nel tentativo di fondersi con gli elementi meccanici che li circondano, devono rinunciare alla propria normale esistenza regolata da principi eticosociali istituzionalizzati per entrare nella sfera dell'agire non mediato, privo di inibizioni. Ciò è evidente nella stessa dinamica psichica del protagonista Ballard, che coincide con quella del testo: egli perde sempre di più i propri connotati di essere sociale per entrare in una dimensione solipsistica nella quale l'unica cosa veramente importante è la soddisfazione dei propri istinti meccanicosessuali. In quest'ottica deviata tutto il mondo diventa per lui una palestra in cui sperimentare le proprie perversioni. Le fantasie e l'azione si fondono, mentre i connotati della fisicità umana si deformano dolorosamente per avvicinarsi il più possibile al connubio con l'artificialità. Fondamentale è qui la simbologia delle ferite come nuove fonti di piacere nell'unione con gli organi meccanici delle auto; così come il rapporto con Gabrielle, storpia che con le sue protesi e la sua carne deforme è l'incarnazione di un’ipotesi di congiungimento causata, ancora una volta, da un incidente stradale. Un’ipotesi ancora imperfetta, dato che la perfezione è raggiungibile solo con l'incidente mortale, la catarsi definitiva.

L'auto-distruzione di Vaughan, e la prevista analoga fine di Ballard e di Katherine, nonché dei personaggi secondari della storia, rappresenta naturalmente anche un suggello morale alle vicende narrate. Del resto l'autore non nasconde, anche nella prefazione, le sue intenzioni in questo senso. La sua condanna dell'universo tecnologico come pericoloso mezzo di espansione distruttiva degli istinti repressi umani è chiara. Ciò che stupisce e lascia agghiacciati è, ancora una volta, la lucidità e la precisione con cui Ballard compie il lavoro di dissezione del suo "spazio interno" mostrandoci qualcosa che assomiglia in modo inquietante a quelle che potrebbero essere le nostre ossessioni più profonde.

Come appare chiaro, la significazione complessa di un testo come "Crash" non si esaurisce nell'enunciazione non certo originale del malessere derivante dall'onnipresente frattura natura/cultura, cosa che purtroppo sempre più frequentemente si verifica nelle opere SF. I livelli superiori di lettura sono numerosi ed estremamente interessanti: queste quattro righe rappresentano solo l'inizio di una possibile analisi che non può esaurirsi in un saggio di poche pagine.

Rimarrebbe ancora da parlare, solo per citare un possibile argomento, della mitologia iconico-sessuale dei personaggi famosi che vengono citati nell'opera (Elizabeth Taylor, Ronald Reagan, ecc.), ma è d'obbligo per ora accantonare questa come le altre innumerevoli ipotesi di lavoro possibili. Si è trattato per me di un doveroso omaggio a un autore storico, di quei tre o quattro (ma forse esagero) che hanno fatto grande la fantascienza. Tutto questo rende ancora più amara ed 'inevitabile la constatazione del fatto che la SF più intelligente in Italia è sempre l'ultima ad essere pubblicata. Qui ci troviamo di fronte ad un caso veramente paradossale, soprattutto se si pensa al livello medio di ciò che viene tradotto ultimamente. Naturalmente qualcuno potrà sempre obiettare: "ma siamo sicuri che "Crash" sia SF?" ...






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