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Ballard: le sfaccettature del diamante


di Domenico Gallo


Il singolare diamante che costituisce la narrativa ballardiana si è mosso, si è ancora inclinato, diffondendo nuove luci e nuovi riflessi pur rimanendo sostanzialmente immutato. Continua, infatti, la fuga esasperata dalle orme codificate della SF e questo nuovo Hello America è una nuova strada assolata e solitaria come quelle di Easy Rider e di Sugarland Express.

L'ambiente è ancora quello della catastrofe, seppure limitata alla sola America, con le sue ripercussioni nell'inconscio dei protagonisti, con la mutazione delle dinamiche di gruppo che si adattano alle nuove condizioni, con il progressivo ripresentarsi dei caratteri primordiali resi evidenti dalla perdite di significato della realtà oggettiva.

Lo sviluppo del romanzo non può stupirci tanto è coerente con The drowned world e con The Crystal world; c’è questa catastrofe che non è più l'oggetto sensazionalistico dei romanzi inglesi, ma un tramite per studiare le reazioni dell'uomo, c'è l'indecisione se immergersi o meno nel nuovo ambiente, se evolversi con esso oppure cristallizzarsi in un altro tempo della coscienza, ed infine c'è la scelta quasi obbligata, avventurosa, di vivere le nuove percezioni che la catastrofe offre.

In Hello America abbiamo un gruppo eterogeneo che torna nell'America deserta portandosi con sé nostalgie e progetti solipsistici, implicazioni psicologiche e predestinazioni (incentrate sul ricongiungimento di Wayne con il padre), tocca questo nuovo continente, lo spia, prende confidenza, lo risale con titubanza da New York fino a Washington, poi decide di attraversare il deserto, compiendo la mitica traversata dei pionieri verso ovest, arrivando in una giungla equatoriale che si richiama con evidenza al Neo-Triassico di The drowned world compiendo così un percorso a ritroso verso le origini della vita, qui sembra di essere arrivati alla meta, ma è una meta puramente geografica, perché qui entrano in conflitto tra loro le varie esigenze psicologiche che vengono a raggrupparsi attorno ai poli costituiti da Wayne (il protagonista, gli occhi del romanzo) e dal folle Manson, ma a vincere non è l'uomo, quanto il cavallo su cui gli enti metafisici della catastrofe e del tempo aveva puntato.

Come vediamo si riscontra in Hello America il concorso di elementi già usati da Ballard in opere precedenti quali il paesaggio, il decadimento tecnologico, le caratterizzazioni dei personeggi, la follia, l’accavallarsi delle percezioni temporali (come la ricreazione di Las Vegas).

In particolare si evidenzia la stretta connessione tra Hello America e The ultimate city. Al di là degli elementi esteriori quali gli alianti e la loro costruzione, l’esaurimento delle risorse energetiche, i rottami delle macchine, le città abbandonate, gli animali dello zoo liberi per la città, l’uso della rete televisiva a circuito chiuso da parte del piccolo tiranno, ci interessa di più approfondire il discorso sulla citta morta e la sua momentanea resurrezione e sull’evoluzione dei rapporti tra i personaggi.

In entrambi accade che il protagonista si impegni a "riaccendere" la città abbandonata per quanto illusoria possa essere la sua opera cercando di riproporre il tempo perduto, simulando una vitalità del tutto fittizia. Ma in che rapporto stanno l'evoluzione e la catastrofe con la città e la sua vita effimera? In entrambi i casi la desolazione faticosamente respinta ritorna con la prorompenza della conclusione di una tragedia distruggendo in pochi attimi i sogni nostalgici di chi, rifiutando la nuova oggettività, si era opposto all'evoluzione naturale. A questo punto prende consistenza la figura dello psicopatico in continua ed instabile tensione tra una indefinibile realtà interiore e l'entrata in sintonia con le nuove oggettività.

Per i personaggi si può notare un'evidente compenetrazione reciproca tra Hello America e The ultimate city, vale a dire che Wayne, Manson oppure Steiner si comportano come Olds, come Buckmaster, come Halloway, in una mescolanza delle caratteristiche psicologiche.

Riguardo allo stile notiamo una narrazione lenta, precisa, ricamata, specificata nei minimi particolari in modo quasi ossessivo ricollegandosi a quel neo-barocco di Vermillion Sands specialmente nel primo capitolo La costa d'oro, in cui i personaggi hanno la visione di New York come se fosse ricoperta da impalpabile polvere d’oro.

In relazione a quell’uso del mito moderno, culminato in The atrocity exhibition, ritroviamo in Hallo America il presidente Kennedy e tutti gli altri capi di stato americani, Frank Sinatra, Dean Martin, Judy Garland, John Wayne" Marilyn Monroe, inquadrati dall’epitaffio finale: "I vecchi sogni erano morti. Manson e Topolino, Marilyn Monroe appartenevano all’America del passato, ...").






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