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Hello, America


di Aldo Trivellato


Nel novembre ‘82 si è inaugurato a Orlando in Florida il Centro EPCOT (Experimental Prototype Community of Tomorrow), megacomplesso di quarantatre miglia quadrate, un'esposizione mondiale del miracolo elettronico. In EPCOT, piccolo mondo razionale ed ordinato governato da un computer centrale che programma centinaia di macchine ambulanti, i vari padiglioni (finanziati da 25/50 milioni di dollari ciascuno) esibiscono meraviglie tra cui gli audio-animatrons, giganteschi ologrammi, o i robots di Benjamin Franklin e Thomas Jefferson che raccontano la storia degli U.S.A., o ancora una copia al naturale della torcia della statua della Libertà che si innalza fiammeggiando.

L'EPCOT nasce da un progetto di Walt 'Disney, ed è la realizzazione della sua visione utopistica di un mondo lucido e razionale, pragmatico e governato dalla libera impresa; nel corso degli anni è diventato per i progettatori il tentativo di dare un'immagine attraente del futuro, distraendo e sorprendendo i visitatori.

Di riflesso, la meraviglia che suscita l'EPCOT ha l'odore della cancrena che corrode ideologicamente e fisicamente il sistema capitalistico. In EPCOT la duplicazione è il pezzo forte: oltre ai simulacri di Franklin e Jefferson, i robots ambulanti ricoperti di pelle artificiale e plastica (tra cui il Yul Brinner di Westworld) , addirittura una fetta di piazza San Marco con tanto di Palazzo dei Dogi, il campanile, e le due colonne con San Teodoro e il Drago.

L’EPCOT sembra insomma essere la puntuale realizzazione di una caratteristica fondamentale del sistema occidentale: la riproduzione indefinita, il simulacro.

Già da tempo infatti, ad ogni livello del sociale, la produzione seriale ha lasciato il posto alla riproduzione mediante modelli, siamo quindi ben al di là del pericolo sottolineato da Benjamin della perdita dell'originale; è il sistema che giunge allo sterminio simbolico, allo smarrimento di ogni referente e e quindi s'approssima alla propria fine, essendo ormai incapace di stabilire qualunque comunicazione (Benjamin: il sistema s'impone la tecnica come medium, il medium come messaggio) esattamente nel momento in cui esprime il massimo sforzo (l'era delle comunicazioni) di socializzare e comunicare.

Questa linea di confine tra la perfezione tecnologica raggiunta e l’autodistruzione, è continuamente analizzata da Ballard, che non solo profetizza l'imminente disastro del sistema, ma ne sottolinea l'implodere nella catastrofe, un procedimento interno che giunge a compimento (è il nichilismo denunciato da Nietzsche nel mostrare che l'impraticabilità della via occidentale non nasce da forze contrarie, non è un evento casuale, ma un processo fondamentale giunto a maturazione).

La catastrofe, la situazione che sfugge di mano, è in Ballard il ribellarsi della natura al dominio bimillenario della scienza, natura che incatenata, si sottrae alle catene della ragione, ridiventa libera di essere ciò che era per coloro che iniziarono a filosofare (fysis, ciò che si dischiude lasciando apparire ciò che vuole, e dischiudendosi sorprende), prima di essere tradotta in 'natura' dal pensiero occidentale/cristiano, e ridotta a cosa impotente alla mercé della potenza dell'uomo.

La catastrofe, catartica, liberatoria, rivela lo sconosciuto, va al di là del mondo sensibile, ed è usata da Ballard per esplorare la psiche umana, lo spazio interno; ne è tipico esempio il racconto The voice of the steel, dove la catastrofe colpisce il corpo di Norman, il protagonista, nello scarico di rottami di Glasgow:

"Norman osserva senza la minima partecipazione emotiva. La sua coscienza si apre in veloce dissolvenza. Le pupille si fanno strada nella promiscuità meccanica di corpi di lavatrici, camion, scavatrici, utensili, auto, la montagna viva - cercano un segno. Unico. I tessuti dei suoi organi si estinguono per necrosi. Cremisi, frange gialle e azzurre di fuoco, la sua coscienza si allarga fino a mangiare il corpo."

La narrazione prosegue poi all'interno dell'avamposto, ma penso di essere più vicino al vero dicendo che prosegue all'interno della mente di Norman; in effetti l'altro protagonista, Jason, rivela essere nient'altro che una proiezione olografica:

"Niente di quanto succede fuori di qui mi può sembrare reale. Io stesso sono l’espressione di una simulazione. C'è un programma dentro al computer, tu ed io in questa situazione priva di vita, prove di reazione. Dischi con causa ed effetto, ed altre reazioni complesse, come se fosse vero: la nostra vita è stata composta in una banca di informazioni."

Il racconto si conclude in modo da rapportarsi all’inizio, riconducendo il narrato in una struttura circolare, la catastrofe che colpisce il protagonista pare annullare, fondere simbolicamente e fisicamente Norman e l'acciaio.

In Hello, America (1981), la catastrofe è già avvenuta; l'America viene abbandonata (dopo una crisi energetica che l'ha piegata spiritualmente ed economicamente), e le popolazioni si riversano in Europa.

Un governo centralizzato europeo decide di sbarrare lo Stretto di Bering, deviando quindi varie correnti marine, col risultato di rendere fertili le terre dell'Europa settentrionale, e di trasformare in un deserto la costa orientale degli Stati Uniti.

Un secolo dopo, la spedizione "Apollo" attracca nel porto di New York incagliandosi nella statua della Libertà, semisommersa.

Qui Ballard inizia una lenta e puntuale demolizione dei miti americani: sono le torri gemelle del World Trade Center, effigi del sistema capitalistico nell'orgia della duplicazione, che si ergono ancora ma solo sulla sabbia; acquista un valore ancora più simbolico il fatto che in un primo tempo i protagonisti scambino questa sabbia per polvere d'oro:

"Il tappeto d'oro, che sembrava ricoprire la città con un tesoro al di là dei sogni dei conquistadores era solo un’illusione. ( ) Wayne si rese conto di trovarsi in mezzo a un deserto di sabbia, un deserto di cruda polvere bronzea arroventata da un sole implacabile. ( ) il bagliore dorato che li circondava serviva a ricordare loro gli errori, gli equivoci, le aspettative sbagliate."

O ancora, viene parafrasata da Wayne e la spedizione, nell'attraversare il Gran Deserto Americano, la corsa verso l'Ovest dei pionieri: questa volta non si tratta di conquistare un territorio, ma del tentativo da parte dei componenti della spedizione di riconquistare in se stessi la volontà e la forza di far rinascere l'America.

Così Wayne alla ricerca di questa volontà intraprende una sorta di viaggio interiore all’interno del deserto:

"È evidente ormai che il deserto è entrato nelle nostre menti, e ora vediamo ogni cosa in termini di cenere e sabbia. Il paesaggio del Kansas è un elaborato accostamento di zeri interiori, un insieme di numeratori psicologici misteriosi. Qui è possibile uccidere un uomo con un gesto distratto, o vedere confermata la propria divinità nei contorni di una duna."

e, nel deserto la spedizione incontra gli '"indiani" americani direttamente discendenti dai pochi rimasti nel continente; riuniti in tribù dai nomi di Dirigenti, Burocrati, Divorziate, costituiscono una curiosa risposta simbolica all’America scomparsa, nell'uso di cravatte, penne stilografiche, giacche grigie, come simboli di appartenenza alla tribù, restituendo quindi l’ambivalenza del simbolo ai vestiti e al corpo.

Al termine del deserto Wayne trova una foresta equatoriale, ma soprattutto Manson, nel quale crede di poter vedere la concretizzazione del sogno di far nascere un impero Panamericano con capitale Las Vegas rivitalizzata. Manson sceglie come propria sede l'albergo che era di proprietà del miliardario Howard Hughes, ricrea spettacoli con i simulacri di Sinatra, Judy Garland, in lui il recupero e il riciclaggio dei miti dell'America perduta diviene una rivoluzione dialettica che ha la concretezza di un fantasma.

L'America lucida e razionale sintetizzata nel centro EPCOT è l'aspirazione del folle Manson (non a caso gli audio-animatrons assomigliano così tanto alle gigantesche proiezioni olografiche di Gary Cooper, Joe Luis, con le quali Manson 'spettacolarmente' si impone), e anche la volontà di divenire presidente di Wayne è corrosa dall'aspirazione di far rinascere la 'vecchia' America, quella delle Cadillac, delle Case Bianche, dei presidenti sorridenti od hollywoodiani.

Presto Wayne se ne rende conto:

"Signor Manson, si è trattato solo di fantasie!

Questi sogni erano già morti cent'anni fa. Non abbiamo fatto altro che costruire il più grande orologio di Topolino del mondo."

Ma la follia dì Manson fa già naufragare il sogno Panamericano, e non è ancora un caso che siano proprio i simulacri dei presidenti degli Stati Uniti (prima anch'essi impegnati, come i due dell'EPCOT, a recitare dichiarazioni di indipendenza e frasi storiche) a costituire il plotone di esecuzione del presidente Manson.

Hello, America sembra essere letteralmente il saluto (che ha il sapore del necrologio) a quell'America che produce l'EPCOT, i Pershing e i Cruise, a quel sistema in generale che affinando le proprie metodologie, affila la propria spada di Damocle.


MATERIALI


- John Headline: La galassia Disney, in Totem, n. 23, ottobre 1982

- J.G. Ballard: La voce dell'acciaio, in Frigidaire, n. 23/24, novembre 1982

- J.G. Ballard: Hello, America (Ultime notizie dall'America), Urania n. 908, Mondadori

- Antologia della critica, volume I, J.G. Ballard, Intercom Press, 1981

- Umberto Galimberti: Heidegger Jaspers e il tramonto dell'Occidente, Ed. Marietti

- Walter Benjamin: L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Ed. Einaudi

- Jean Baudrillard: Lo scambio simbolico e la morte, Ed. Feltrinelli






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