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Un viaggio misterioso alle sorgenti dell'uomo


di Oreste del Buono


"Cuor di tenebra", il capolavoro di Joseph Conrad, è stato preso come punto di partenza da tanti scrittori e registi: il viaggio fluviale verso il mistero della vita e della morte ha ispirato molti, dal grande scrittore svedese Olof Lagercrantz (In viaggio con «Cuore di tenebra») al grande regista americano Francis Ford Coppola (Apocalypse Now) ma nessuno ha saputo riscriverlo, rinarrarlo in assoluta autonomia dal modello, come J.G. Ballard, il grande scrittore di fantascienza inglese, rivelatosi narratore senza etichette con "L'Impero del Sole", il libro di memorie diventato fonte romanzesca dell'omonimo film di Steven Spielberg, e confermatosi più che mai voce suggestiva della letteratura mondiale con «Il giorno della creazione» (The Day of Creation, l987), mandato recentemente in libreria nella traduzione di Giuseppe Settanni dalla Rizzoli.

«Sogni che evocavano grandi fiumi fluivano di notte, nello spazio tra memoria e desiderio, come fotogrammi di un film rimasto incompiuto e dimenticato. Un'ora prima dell'alba sobbalzai nel mio giaciglio, dentro la roulotte in riva al lago disseccato, destato dall'eco di un’immane corso d’acqua. Vicinissimo, pareva essere venuto a inondare l'oscurità e il suo fremito sommesso traversava le sottili pareti di compensato ripercuotendosi dentro la mia testa. Steso sul lacero materasso, tentai un'analisi equilibrata della situazione, in bilico com'ero tra le promesse e le minacce implicite in questo invisibile fluire ... »: è l'incipit de «Il giorno della creazione». A parlare è il dottor Mallory che aspetta che arrivi un aeroplano al campo d'aviazione abbandonato di Port-la-Nouvelle, dove è cominciata la storia che narrerà nelle pagine seguenti.

Port-la-Nouvelle è (o comunque, è stata, nella fantasia di Ballard) una sperduta e insignificante cittadina della Repubblica Centroafricana, ai confini tra il Ciad e il Sudan, presa nella morsa di una feroce lotta tra i gendarmi del capitano Kagwa e i guerriglieri del generale Harare, una lotta addirittura sfacciatamente sprovvista di qualsiasi logica plausibile e di qualsiasi significato ammissibile.

Medico, con troppi fallimenti alle spalle, il dottor Mallory ha creduto per un poco di poter fornire una qualche giustificazione alla sua apparizione da quelle parti con il rendere operante e utile l'ospedale locale.

Ma un'incursione di guerriglieri ha distrutto l'ospedale e ha privato il dottor Mallory della sua confusa giustificazione. Non volendo, però, cedere di nuovo alla rassegnazione del fallimento, si è inventato un'ulteriore occupazione o meglio, per l'esattezza, un'ulteriore chimera.

Quella di rintracciare i corsi d'acqua sotterranei che non possono non esistere sotto l'arida crosta desolata della terra, di attingere dalla falda celata nelle profondità del deserto l'acqua destinata a irrigare le progettate comunità agricole per le quali i burocrati dell'Istituto Agronomico avevano stanziato nel passato ingenti fondi. I lavori erano stati abbandonati, ma il dottor Mallory ha deciso di continuarli a modo suo, anche senza il conforto del minimo risultato e con la crescente consapevolezza di non potere ostinarsi a lungo a simulare quella vana ricerca. Ma proprio quando sta per convincersi a sgomberare il campo e non certo nei punti dove il suo studio e la sua applicazione gli facevano sognare di rinvenire l'acqua, ecco l'acqua comincia a venir fuori a capriccio da sotto le radici di un albero secolare che cercava di cancellare con un bulldozer per rendere più agevole la pista di atterraggio all'aeroporto, più o meno fantasma.

Il dottor Mallory s'infuria per essere stato contraddetto da un elemento così labile e traditore. Invece di esultanza concepisce un vero odio per il rigagnolo che ha preso a serpeggiare dove son avrebbe dovuto essere. Ma il rigagnolo s'ingrossa, diventa un fiume, e un fiume che promette o minaccia di diventar sempre più grosso, uno sbaglio sempre più pericoloso, una garanzia di delusioni e di catastrofi. La nuova chimèra del dottor Mallory diventa allora la necessità di distruggere il fiume per così dire da lui inventato inconsapevolmente di cui ha ottenuto la concessione dalla gendarmeria locale e le registrazione della National Geographic Society a Washington come fiume Mallory. Mallory contro Mallory, insomma una lotta suicida contro la mostruosa, nel senso di meravigliosa, creatura della sua obnubilata fantasia. Proprio perché il fiume porta il suo stesso nome, il dottor Mallory è sempre più ansioso di distruggerlo.

Il tentativo di creare uno sbarramento di ghiaia consolidato per mezzo di tronchi, nel punto più stretto del fiume, di farne defluire l'acqua arrestata attraverso brecce in una bassura diboscata dove l'aria torrida dovrebbe evaporarla, con le fiamme di cento galloni di gasolio per prosciugare le ultime pozze stagnanti, fallisce, però, miseramente.

Al dottor Mallory non resta che risalire il suo fiume sino alla sorgente. Dato che là dove lo ha tirato fuori da sotto le radici dell'albero secolare il fiume dispone già di troppe forze, occorre colpirlo all'origine.

Parte, dunque, il dottor Mallory con un bizzarro equipaggio di irregolari su una scassata carretta che si chiama Salammbo e penetra e avanza in un sogno, contrastato dalla pigra corrente d'ambra sotto la volta vegetale simile al mobile rosone di una cattedrale assediata dal calore. Il viaggio risulta eterno, ma non monotono.

L'equipaggio, infatti, è infido, ogni suo componente è tormentato da una qualche ossessione personale. Nessuna ossessione, però, può superare quella del dottor Mallory, anche se i colpi di scena e di mano si intensificano via via che il viaggio, con Salammbo o senza Salammbo, per fiume o per terra, si avvicina alla meta.

«Abbracciai con lo sguardo lo spettacolo di quell'umido paesaggio, il letto di un immenso lago che una volta copriva l'intero altopiano. Chiaramente, doveva essersi prodotto nel recente passato un movimento tettonico lungo una profonda linea di faglia; la conseguente frattura del letto e delle pareti del bacino aveva svuotato il lago e dato vita al Mallory prima facendo defluire l'acqua attraverso la falda sotterranea che affiorava vicino al campo d'aviazione di Port- la-Nouvelle; e poi lungo l'alveo dello stesso Mallory.

Nondimeno - ne ero ancora convinto - io avevo creato il fiume ...».

Parafrasando, Olof Lagercrantz alle prese con il suo Conrad, andare in viaggio con «Il giorno della creazione» è una straordinaria esperienza, non solo di lettura, la vita addirittura di una grandiosa e commovente metafora, il ritorno alla non partenza o alla partenza per il nulla.






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