C'era una volta Andy Warhol, un millennio fa
di Enzo Di Mauro
Il titolo sa di vademecum ovvero somiglia a una cosa precocemente invecchiata. Invece gli articoli, le note, i saggi, le memorie raccolte da Ballard abitano luoghi, modi e nomi lancinanti del Novecento come se già il secolo appena trascorso (l'unico che conosciamo, ripete l'autore di «Crash», mentre del nuovo non sappiamo niente) fosse perdita, lutto, desiderio e nicchia calda dove approdare. Il Novecento dunque, come padre o come figlio, oppure come spazio domestico di ferite ancora aperte, grandezza e miseria, banalità e profondità. In altre parole, Ballard ha composto un lungo epitaffio da lanciare verso il futuro; un gesto di riconoscenza e di fedeltà.
Da Scott Fitzgerald a Freud, da Graham Greene a Dalì, da Conrad a Hopper, da Robert Capa a Hitchcock, da Miller a Mae West, da Elvis a Joyce da Marlon Brando a Burroughs, da Durrell a Kurosawa, da Warhol a Kafka, da Shanghai (dove l'autore è nato nel 1930) a Londra (dove vive). Ballard costruisce inoltre una sorta di autobiografia intellettuale sempre con un'attenzione ostinata tuttavia al «troppo umano».
È un aspetto cruciale, misterioso e ambiguo di questi scritti. Un libro, una mostra, un film sono le occasioni che permettono a Ballard (oltre all'esercizio di un giornalismo culturale di nobile fattura) di comunicare al lettore un sentimento straziante e una dolorosa coscienza, come appunto di chi sa o crede di sapere (pasolinianamente) che col Novecento «qualcosa di umano è finito».
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