Ballard, la strage degli innocenti: i bambini uccidono
di Renato Barilli
J.G. Ballard, sessantenne scrittore di lingua inglese, appartiene a una categoria non molto comune nel nostro Paese; e il tratto discriminante sta proprio nello strumento linguistico, che molti narratori di altre nazioni sanno usare in modi limpidi e puliti, laddove i nostri autori sono tormentati da un eterno dubbio in proposito, ossessionati dalla paura che usare un linguaggio comunicativo sia venir meno a un obbligo estetico. Del resto, una lingua comunicativa, nel nostro Paese, è stata conquistata relativamente tardi, e a lungo i narratori italiani si sono trovati sbilanciati tra un livello "basso", dialettale, e uno alto, di preziosità letteraria.
Una conseguenza di tutto ciò è che, da noi, certi "generi" trovano a stento dei validi cultori, e sono appunto i filoni in cui i significati prevalgono decisamente sulla veste linguistica: i racconti in chiave allegorica, le utopie, i "gialli", la fantascienza, magari anche i romanzi-verità, pronti per una traduzione cinematografica; ne deriva anche una nostra carenza quanto a figure di scrittori professionali, di buoni mestieranti.
Ballard invece illustra a meraviglia, nel bene e nel male, tutte queste capacità che riescono così ardue ai suoi colleghi italiani. La prova viene da Un gioco da bambini, racconto tanto limpido nella comunicazione quanto arduo da classificare nel genere, ma sicuramente iscritto nell'ambito di quei temi tanto poco frequentati dalle nostre parti: il thrilling, l'utopia, magari rovesciata di segno, l'apologo edificante-moralista.
Il personaggio che narra in prima persona, e che, come si conviene ai "gialli", appartiene alla polizia in qualità di esperto psichiatra, ci introduce a un orrido fatto di cronaca: al Pangbourne Village, perfetto quartiere residenziale per gente facoltosa nei pressi di Londra, composto di dieci villini provvisti di ogni comfort, in una mattinata del 1988 tutti gli abitanti adulti sono stati uccisi nel giro di pochi minuti. Sorprende subito l'esattezza, la pulizia, si potrebbe dire, con cui i vari crimini sono stati compiuti: a ciascuno la sua morte, vuoi con armi da fuoco, vuoi con schiacciamento a mezzo di auto, vuoi con folgorazione nella vasca da bagno o sotto la doccia mediante il classico espediente di scagliare nell'acqua un elettrodomestico. Altro dato stupefacente: le morti hanno colpito solo gli adulti (proprietari, domestici, autisti), non i tredici ragazzini, misteriosamente scomparsi. Da qui una ridda di ipotesi (il maniaco, la banda indemoniata, i servizi segreti, e così via), che il narratore elenca, perfettamente aiutato da quel suo linguaggio burocratico, pronto per un rapporto investigativo.
Ma certo il lettore minimamente avveduto non tarda a intuire l'orrida verità: gli assassini sono stati i figli stessi, stanchi della perfezione asfittica che quei genitori facoltosi gli imponevano, accontentando, anzi, prevenendo ogni loro desiderio. Una volta tanto, sembrava quasi che il luogo magico di ogni perfezione e felicità si fosse realizzato sulla terra, cessando di essere un'utopia, ovvero un non luogo; e allora quel gruppo di adolescenti ha deciso di rovesciare il pendolo, di praticare la "non utopia", di riportare la realtà a un suo giusto grado di rischio. L'autore stesso ci suggerisce di leggere il loro delitto in chiave di contestazione, come se ci trovassimo in presenza di una banda Baader Meinhof minorile, ma altrettanto spietata.
Per un attimo questa perfetta quanto agghiacciante situazione di mistero sembra squarciarsi, gli investigatori trovano casualmente la più piccola tra gli scomparsi, Marion Miller, otto anni, ma in stato di choc, cosicché non se ne trae alcun lume. La bambina insiste solo a ripetere con le labbra un sibilo e a compiere con le mani il gesto di chi inserisce una spina. Ovviamente il lettore, che ha già mangiato la foglia, comprende a volo che la bambina è rimasta ossessionata dal movimento con cui ha inserito nella spina l'asciugacapelli, prima di scagliarlo nella vasca, sibilante, ronzante, e di uccidere così il pur amato padre. Ma i suoi compagni, più maturi e induriti nell'azione, interverranno prontamente con abile impresa di commando, dileguandosi con lei nel mistero, da cui tuttavia il narratore non dubita, torneranno per altre incursioni, volte a riportare il caos nella vita superorganizzata della società consumistica. E in fondo, un po’ di caos lo avremmo desiderato anche noi, nel cosmo linguistico troppo ordinato di Ballard, pur ammirando l'efficienza della sua narrazione.
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