Fantaghirò bella e impassibile
di Giovanni Mariotti
Angelica ama Tarabas, che ama Fantaghirò, che ama Romualdo: non e forse lo schema delle tragedie di Racine? Questa catena di amori è invece al centro del quarto episodio di «Fantaghirò», di cui lunedì scorso è andata in onda la prima puntata.
Dagli sterminati magazzini della letteratura, dello spettacolo e della fiaba gli autori di "Fantaghirò" hanno tratto quello che ritenevano utile; hanno attinto all'Ariosto, a Tolkien, al Verdi del «Rigoletto», persino a Racine, come ho cercato di mostrare, e (a detta di chi ha visto in anteprima la seconda puntata) a Sofocle e al personaggio di Edipo.
Si può restare perplessi di fronte a quest'elenco di materiali eterogenei; eppure, nonostante la sovrabbondanza di ingredienti, «Fantaghirò» è leggero, fluido, ricco di grazia. Se gli estensori dei più antichi libri di fantasy (visto che ho usato la parola fantasy, ne approfitto per segnalare che è appena uscito da Adelphi uno dei capolavori assoluti del genere: «Il racconto dei racconti» di Giambattista Basile, nella traduzione bellissima di Ruggero Guarini) si rifacevano alla tradizione popolare, oggi gli autori di fiabe mescolano al deposito della storia infantile e del fumetto gli echi della letteratura alta; la Musa dei nuovi favolisti è la disinvoltura, e nulla è più nutriente, per la fantasia, delle contaminazioni che essa alimenta. Uno spettacolo come "Fantaghirò", destinato a un pubblico di bambini e ragazzi, consente agli attori di calcare sul pedale della buffoneria senza diventare fastidiosi. È il caso di due attrici, Brigitte Nielsen e Ursula Andress, da cui nessuno si è mai aspettato finezze interpretative, e che tuttavia, nelle parti delle streghe Nera e Xellesia, hanno dato vita a un duetto divertente (come divertente è stato Mark de Jong nella parte di Re Tohor). Quanto ad Alessandra Martines, con la sua snella silhouette-ermafrodita, è il contrassegno e il sigillo di "Fantaghirò", non tanto come attrice (la sua fissità è impressionante) quanto come segno grafico: insomma, come pezzo di design.
Un tempo le favole raccontavano la lotta fra due realtà irriducibili: il Bene e il Male; in apparenza, questo è anche il tema di "Fantaghirò", salvo che i malvagi, per l'influenza esercitata su di loro dalla protagonista, vedono svaporare a poco a poco la loro crudeltà, e diventano adepti, più o meno riluttanti, del Bene: curioso compromesso tra il manicheismo delle fiabe e quel rousseauismo (quella convinzione, cioè, di una fondamentale bontà della natura umana) che da due secoli, è, a onta di tutto, un tratto ineliminabile della sensibilità.
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