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Oscure regioni/2


di Luigi musolino, "Memorie dal futuro" n. 5, ed. Wildboar, 2015, 10,00 €, 162 pagg.


Seconda parte di questa raccolta del musolino, la prima delle quali abbiamo già commentato, prosegue a raccontare di vicende legate a figure del folclore popolare, che, però, qui, non sono mai, come invece erano nella maggior parte nell’altra, su babau per spaventare i bambini.

Come forse ricorderete, ogni racconto tratta di uno di questi miti popolari di una particolare regione.


-"Les abominations des altitudes" (pagg. 9-24)-la regione è la Valle D’Aosta, e la leggenda di cui si dice non poteva che essere una riguardante la montagna.

Viene trovato un uovo nero che, il proprietario di un albergo dice essere dei Dahù, "Il Dahù è una creatura della tradizione folcloristica valdostana, ma presente in diverse culture ed epoche lungo tutto l’arco montano europeo, dalle Alpi ai Pirenei. Viene descritto come un buffo animale simile al camoscio, con le zampe più corte da un lato del corpo, per muoversi agevolmente sui pendii." (pag. 18).

Ma l’uomo che ne ha trovato quell’uovo, e il diario del quale il protagonista sta leggendo in un bivacco, con suo padre, dopo averne ritrovato il corpo congelato senza quasi vestiti, man mano capisce che c’è molto di più.

Quell’uomo, un francese, racconta che, dopo averlo accidentalmente trovato in un sito megalitico, non era più riuscito a liberarsene, per quanto facesse per sbarazzarsene, di averne subito l’influsso malevolo in forma di incubi terribili, e di aver deciso, in ultimo, che l’unica maniera per riuscire a farlo era quella di restituirlo ai suoi proprietari.

Ma il risultato di quel suo tentativo lo avevano, ora, sotto gli occhi.

Il finale, poi, precipita velocemente in un orrore oltre l’umano, con il protagonista che, visto il padre uscire nella tormenta e svanire, essere colto da un dolore atroce per poi, riuscito a trascinarsi fino al bivacco… rimanerne prigioniero, come intrappolato in uno spazio-tempo fuori dal Reale, raggelante nella sua immobilità.

Davvero buono, fa salire gradualmente la tensione, insinuando la paura, per poi, appunto, arrivare ad un finale direi ottimo.


-"Febbre" (pagg. 25-31)-la regione è il Lazio, e si racconta di come un ragazzo, andato in un paesino in provincia di Frosinone per le vacanze estive, si trovi ad avere una forte febbre dopo aver fatto all’amore, selvaggiamente, con una ragazza che aveva incontrato.

E di come questa febbre, invece di diminuire, aumenti, fino a dargli l’impressione di bruciare; ma poi, quando la proprietaria della stanza nella quale abita gli dirà che quella ragazza era la Pantasema, che, quando arriva la fine dell’estate, viene bruciata, perché possa rinascere, e gli conficcherà il termometro in un occhio, capirà che, la sua, non è decisamente una febbre normale.

Brucerà, questa volta davvero, con la Pantasema, che sarà solamente un fantoccio, ma "… non sentiva più alcun calore, né rimpianto… Solo un senso di pace e frescura, l’indistinta speranza che il suo sacrificio, la follia di quella notte, avesse davvero un significato." (pag. 31).

Anche questo buono, narrato in un’ottima prosa, ha, però, direi, un difetto; quel conficcare il termometro nell’occhio mi è sembrato davvero una forzatura, probabilmente per renderlo un po’ più horror, ma che stona un po’.


-"Vagiti" (pagg. 32-50)-la regione è la Toscana, e vi si racconta di una giovane coppia di sposi, felici, lei incinta.

E della Marroca, "… gommosa, una sanguisuga/lumaca/verme fuoriuscita dai deliri di uno zoologo." (pag. 46).

Una leggenda della zona di Arezzo, un qualcosa che, come aveva raccontato il fratello del marito quando erano piccoli, "Vive negli scarichi, nei pozzi, nei fossati, nelle fogne, e può strisciare dappertutto… Cattura piccoli animali, li inghiotte e li digerisce piano piano, mentre sono ancora vivi." (pag. 41).

Che è andata a stare proprio nella loro fossa biologica, catturando un gatto che, imputridito, ha attirato l’attenzione dei loro nasi.

Solamente che, poi, è anche sbucata fuori dal water mentre la moglie vi era seduta sopra, e ha… preso, il feto.

Tutto ciò è raccontato facendo si che sia l’oscillazione fra spiegazione razionale/rassicurante e irrazionale/allarmante ad esserne la protagonista.

La scena dell’aborto spontaneo/rapimento da parte della Marroca è molto ben realizzata, molto forte, emotivamente.


-"Il carnevale dell’uomo cervo" (già in "Il carnevale dell’uomo cervo e altri racconti", ed. Wild boar, 2012, che abbiamo già commentato; pagg. 51-61)


-"Nato con la camicia" (pagg. 62-88)-la regione è il Friuli, e vi si racconta di un beneandante, il cui "… compito è smuovere gli ingranaggi, mettere a posto le cose e mantenere gli equilibri…" (pag. 66), che, però, per essere stato troppo schernito, e di più, per la sua malformazione fisica, è passato dalla parte della buia contrada, i Marci, quelli dalla parte del Male, "… anche se quella visione dicotomica delle cose era riduttiva. Non esistevano Bene e Male. Solo Ordine e Caos e un debole Equilibrio." (pag. 68).

Che si sta vendicando di coloro che lo avevano irriso scagliando loro addosso… fulmini. Che li inceneriscono. Da un cielo terso.

Il caso, ovviamente, fa impazzire chi vi tenta di indagare; e il medico legale che doveva effettuare le autopsie dei cadaveri fulminati, viene ucciso dal nanetto malvagio, il malandante. Che vuole recuperare la sua "camicia", quel lembo di pelle in più nel quale era nato, e che gli dava controllo sui suoi poteri.

Ma il fantasma del patologo torna ad avvertire il commissario che sta indagando, che si scopre un benandante inconsapevole, e che sconfigge del mostro.

Detta così, mi rendo conto, potrebbe sembrare… una boiata.

Ma, al solito, è raccontato molto bene, anche se, effettivamente, ha una trama forse un po’ troppo… arzigogolata.


-"Intersezioni" (pagg. 89-95)-la regione è l’Umbria, e vi si racconta di un uomo, disperato per il fallimento della sua ditta, che decide di suicidarsi.

Solamente che la pallottola, per quanto si sia sparato in bocca, forse non ha fatto quello che doveva fare; è che vede gli gnefri, "… folletti della Valnerina, burloni, scavezzacollo dei boschi, il cui massimo divertimento è spaventare lo sprovveduto viandante." (pag. 91).

Ma, oltre la leggenda, capisce, portato dal contatto con quegli esseri nel loro mondo, parallelo al nostro, ma invisibile, questi si pasciono della nostra paura. Basilarmente.

Tutta la disperazione, la paura, appunto, degli Uomini è, per loro, qualcosa da degustare con profondo piacere.

Col poco di coscienza che gli rimarrà riuscirà a spararsi un altro colpo.

Ma chissà…

Ancora una volta molto buono, mi pare voler significare che non valga la pena, di suicidarsi, perché, in fondo, non sappiamo nulla di che cosa ci sia, dopo la morte, se ci fosse, qualcosa.

Magari, appunto, di là, c’è un orrore neppure paragonabile anche alla più profonda disperazione che potremmo provare in vita.


-"Smeraldo" (pagg. 96-116)-la regione è il Veneto, ed è un racconto di sf orrorifica, diversamente dagli altri.

Vi si racconta, infatti, di una bambina che, sola, vagando per gli ampi spazi desolati del Polesine si imbatte… in un alieno.

L’homo saurus, come verrà poi chiamato.

E sarà un incontro fra due solitudini, che porterà ad un’amicizia tanto incredibile quanto bella.

Che durerà negli anni.

Fino a quando il Mostro non verrà scoperto, e fatto diventare cavia perché pare abbia il dono dell’immortalità.

E allora la bambina, diventata donna, deciderà di uccidersi; perché, quel mostro, le aveva detto che lui non sarebbe morto mai, se non quando fosse morta lei.

Forse il migliore, fino ad ora, è davvero toccante, commovente, e scritto, se possibile, ancor meglio degli altri.


-"A caccia" (pagg. 117-127)-la regione è la Basilicata, e si racconta di due amici, cacciatori, di cui uno, però, tradisce l’altro con la moglie; ma anche molto di più.

Per gran parte del racconto, infatti, si pensa che quello di cui si sta leggendo, un’atroce vendetta, sia unicamente per quel tradimento.

Ma, poi, sarà che l’amico tradito era niente di meno che un dupi minaro, ".. la versione lucana del Lupo Mannaro. Il licantropo della Basilicata." (pag. 124).

Che, non sopportando più di reprimere l’essenza del suo vero essere, ha deciso di fare, di quel suo amico, un suo simile; con lui aveva rapito anche la moglie fedigrafa, che aveva poi lasciato andare.

Quando si trasformerà (era stato morso, da quell’amico-licantropo), diventerà una belva assetata di sangue, del sangue di lei.

Ancora decisamente buono, l’idea di far trasformare il racconto, repentinamente, da normale a horror, è un’ottima trovata.


-"Un selvaggio" (pagg. 128-139)-la regione è il Trentino, e si si racconta dell’Om pelos, una leggenda che vuole che esista un uomo che si sia talmente allontanato dalla civiltà da essere diventato un selvaggio, appunto: "Si è immerso così tanto nella Natura che la Natura si è impossessata di lui, consumandone l’intelligenza, ma sviluppandone la forza, la capacità di nascondersi e provvedere alle necessità basilari." (pagg. 129-130); e si esprime solamente a grugniti.

Il protagonista è un uomo stressato dal lavoro che incontra, in una "pausa sigaretta", un dirigente che gli racconta, appunto, di questa leggenda.

Che, il giorno seguente, si suiciderà.

O, almeno, sembrerà averlo fatto.

Poi, infatti, ogni cosa inerente a ciò scompare, lasciando il protagonista in un incubo dickiano nel quale la realtà sembra essere stata distorta per incastrarlo. Il paradiso del paranoico.

Diventerà, allora, proprio un Om pelos, e fuggirà, ormai incapace di relazionarsi con la civiltà, braccato come la belva che è diventato.

Ovviamente ci sarebbe moltissimo da dire, sulla frustrazione da lavoro, sul desiderio di tornare ad una condizione più umana; e sulla pulsione dell’Es a prendere il sopravvento, scrollandosi di dosso ogni convenzione sociale.

Comunque, mi è sembrato un racconto eccessivamente privo di una coerenza interna, nella trama; non si capisce per nulla perché tutti quelli attorno al protagonista dovrebbero inscenare la farsa di non saper nulla del suicidio, e come sia che diventi un selvaggio così rapidamente.

L’idea era buona, ma poteva essere sviluppata molto meglio.


-"Soltanto una povera vecchia" (pagg. 140-156)-la regione è la Liguria, e si racconta di una vecchietta che viene portata in un ospizio, dopo essere stata trovata a vagare nuda, ed essere miracolosamente sopravvissuta.

Di lei si dice che sia "… una bagiùa... le streghe liguri…" (pag. 144); ma non riesce neppure a superare la prima notte, là, che già muore.

Ma gli altri ospiti dell’ospizio sono irrequieti, in particolare uno, che era stato un poeta.

E quando uno del personale, andato a casa a riposare, esce per passeggiare un po’ per digerire, vede un’orda di gatti che si dirigono molto, troppo, ordinatamente proprio verso l’ospizio; aveva anche ricevuto una telefonata, da là, a cui non aveva fatto a tempo a rispondere, e, poi, nessuno aveva risposto.

Li segue, quei gatti, e saranno andati proprio là, dove lo attende una scena spaventosa; gli altri del personale massacrati, e i tre vecchietti impantanati in un’orgia infernale.

Quello che era stato un poeta, in realtà, non ci sarà più, sarà stato posseduto dallo spirito della bagiùa, che avrà promesso, agli altri "Un po’ di morte in meno." (pag. 156).

Dopo aver massacrato anche quegli, se ne involeranno in cielo.

Sempre buono, dal crescendo di terrore ben orchestrato, mi è sembrato però che l’elemento fantastico vi sia un po’ troppo rimarcato, con questa strega che torna dalla morte, richiama i gatti, si impossessa di un corpo, svuotandolo, sottomette altri vecchi, massacra e se ne invola.

Senza che vi sia un qualche elemento che stemperi, renda più quotidiano il tutto.


Abbiamo dunque visto che, basilarmente, la qualità della scrittura del musolino è davvero ottima, così come, spesso, innestata in trame dalla costruzione complessa, quasi (vedi "Nato con la camicia") sempre ben condotte.

C’è poi quel "Un selvaggio", dalla trama, invece, senza coerenza interna, dalla successione degli eventi eccessivamente accelerata, immotivata; per quanto dica di una cosa molto importante come l’alienazione da lavoro, qui portata alle sue estreme conseguenze, come buona abitudine del racconto fantastico.

E "Smeraldo", come ho detto il migliore, anche dopo la lettura dei rimanenti; poeticissimo, commovente, come ho detto, e, poi… di sf (anche).

E che è poi l’unico nel quale non si racconti di una qualche figura del folclore, ma della nascita, di un mito popolare.

In conclusione, davvero un’ottima raccolta, fra primo e secondo volume, che fa ben sperare su una futura ottima riuscita dell’autore.

Il volume è completato da una "Introduzione" di Alberto Panicucci (pagg. 7-8).






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