Recensione di Mirko Tavosanis a "Naufragio su Giri"
Testo avventuroso senza troppe pretese, Naufragio su Giri è forse proprio per questo una delle cose più leggibili che Urania ci abbia propinato ultimamente... come del resto è successo per un altro dei fascicoli migliori, La scacchiera del tempo di Hayford Peirce. Meglio comunque dei Serling, dei Bloch e dei Boucher d'annata che Lippi somministra in dosi non proprio omeopatiche.
Per quel che riguarda poi il prodotto in sé, la ricetta è semplice. Prendiamo un pianeta i cui abitanti abbiano poteri psi incredibili (mentre il resto della galassia ne è sprovvisto). Prendiamo una civiltà che si è completamente basata su questi poteri, ma è rimasta ad una tecnologia primitiva. Aggiungiamo all'impasto due esploratori d'origine terrestre, un principe indigeno sfortunatamente destinato alla morte in quanto quasi completamente privo della capacità di regnare, ed assimilabile quindi alla casta sottomessa dei witling. Mescoliamo vigorosamente il tutto, spruzzando ogni tanto un po’ di cattivoni e di congiure per tenere fluida la cosa, quindi lasciamo raffreddare e serviamo in tavola: il romanzo è fatto.
Come I mondi dell'ignoto di Bob Shaw, che vedremo tra un istante, anche questo fascicoletto di Vernor Vinge gioca con l'applicazione di concetti elementari di fisica ad una civiltà tecnicamente preindustriale. Solo che, mentre l'autore inglese non riesce a sostenere che raramente il suo gioco, ed è costretto a trovate sempre meno credibili per far andare avanti la trilogia, Vinge mette in tavola onestamente tutte le sue carte. Allo stesso modo di altre opere di Vernor Vinge, quali ad esempio Il mondo di Grimm ed il dittico di Quando scoppiò la pace (tutte uscite su Urania dal 1985 in poi), a parte alcuni presupposti, la narrazione è fondata sulla graduale scoperta delle implicazioni dell'ambiente, implicazioni che tuttavia il lettore non è chiamato a subire passivamente, ma che anzi con un minimo di conoscenze in materia possono essere perfettamente previste: ovviamente questo riduce la trama ad un puro scheletro narrativo, che rispetta doverosamente, e dichiaratamente, i cànoni della FS avventurosa. "Alzò lo sguardo sul viso grigio-verde di Pelio, e gli prese la mano spessa tra le sue. Forse aveva perso molte cose preziose, ma non era una stupida. E sapeva riconoscere un lieto fine, quando ne incontrava uno": così medita la protagonista nelle ultime righe del romanzo. Se poi si mette nel conto il fatto che la protagonista è una ragazza dall'aspetto decisamente tozzo, che però su Giri, dove gli indigeni sono pure loro decisamente tarchiati, tanto da farla apparire come un'esotica ninfetta … beh, ogni tanto capitano cose come queste.
L'importante è stare al gioco.
Chiude il fascicolo, infine, una discreta sezione informativa. Intervista a Vinge, scaffale librario, un articolo di Catani su "Lo scrittore di sf e le idee", l'ennesimo discorsetto sul "nome della fantascienza" ( ... che palle), firmato stavolta da Delio Zinoni, ed un racconto di Renato Pestriniero ("Autocidio", che pur non essendo scadente come certe cose lette recentemente su queste stesse pagine, bello non è) completato da un'intervista condotta da Nicoletta Vallorani.
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