di Maurizio Porro

Tratto dal romanzo «Totò il buono» di Zavattini, il capolavoro di De Sica «Miracolo a Milano» uscì nel '51, dopo «Ladri di biciclette» (Oscar) e prima di «Umberto D.», come alternativa favolistica al neorealismo classico, con una forte lezione morale nell'immaginare un Paese dove «buongiorno!» doveva davvero voler dire buongiorno. I suoi barboni anticipano di poco quelli brechtiani dell'«Opera da tre soldi», De Sica ha il coraggio di elargire, con un film che sfugge ai generi, il gusto di un buonismo ante litteram, in un'epoca in cui il potere vedeva invece nel volo finale degli spazzini un'unica destinazione, il comunismo.

Palma d'oro a Cannes, il film scontentò in Italia destra e sinistra, ed ebbe Dario Fo tra i giovani tecnici degli effetti speciali del finale in Piazza.

Ora grazie allo sforzo congiunto dell'Associazione amici di De Sica e della SEA aeroporti di Milano, che ha contribuito con 120 mila euro, il film riappare in restauro digitale nella città che fu il suo set naturale e nebbioso. Nel cast nomi nobili del teatro: la Gramatica e Stoppa, oltre a Barnabò, Carena, Brunella Bovo, la giovane ballerina Alba Amova, Riento e Golisano, il protagonista. Incassi bassi fino al '59 centottanta milioni, ma imperitura fama nel mondo. Milano vive di rendita cinematografica-mente per questo ritratto grottesco ma attuale che anticipa di 9 anni «Rocco e i suoi fratelli» di Visconti, altro capolavoro che rinnova l'epopea milanese degli umiliati e offesi.

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