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Quel delitto sotto la pioggia


di Giovanni Grazzini


Il regista italiano Mario Bava, scomparso nel 1980, amava firmare talvolta i suoi film John Old per farli prendere più sul serio dal pubblico esterofilo. Suo figlio Lamberto Bava, che segue le orme paterne anche nel preferire il genere horror, si ribattezza giustamente John Old jr per questo Morirai a mezzanotte che fa onore alla famiglia. Non perché sia un capolavoro ma perché è uno di quei soddisfacenti prodotti di media qualità, realizzati con ineccepibili doti professionali, dei quali il cinema italiano ha grande bisogno.

Chi non ama il «giallo» può fante a meno. Gli appassionati del genere troveranno invece spunti di curiosità in una catena di delitti, aperta in omaggio a Hitchcock con un omicidio sotto la doccia, di cui soltanto nell'ultima scena si viene a capo.

Siamo ad Ascoli Piceno, e la prima a cadere sotto i colpi di un punteruolo è una moglie fedifraga. Molte però saranno le altre vittime: un'innocente infermiera, un poliziotto del quale c'era ragione di sospettare, una commessa, due studentesse, prese di mira da qualcuno che cambia arma (dal punteruolo passa al coltellaccio) ma non le scarpe di gomma con cui sopraggiunge nei luoghi pìù impensati.

Com'è suo dovere, il film fa di tutto per confonderei le idee. Nella canonica ora e mezzo di spettacolo ci offre varie piste, la più suggestiva delle quali è che un maniaco sessuale, creduto morto da tempo, sia invece tornato a terrorizzare la città. Né sarà da trascurare la circostanza che una professoressa universitaria di criminologia abbia affidato ai suoi allievi una tesi proprio su quel mostro. Altre ipotesi legittime portano allo stesso ispettore inquirente, a un suo giovane aiutante e, a un giudice istruttore, ma fatto si è che alla resa dei conti pochi in sala avevano indovinato l'assassino: una scena sleale del film (in cui l'omicida intravede il mostro) aveva messo fuori strada chi all'inizio aveva intuito che c'era di mezzo la follia.

Morirai a mezzanotte - in realtà qui si muore a tutte le ore - è diretto da Lamberto Bava con la freddezza necessaria a tenere il pubblico sul filo del rasoio. Ha dialoghi piatti, un montaggio che talvolta spezza la suspense, e attori non tutti di prima fila.

Ma non consente distrazioni, e le ambientazioni sono assai curate, si tratti d'un teatro in disarmo, d'un museo di storia naturale, d'un laboratorio per le autopsie, d'un vecchio albergo disabitato o d'una spiaggia invernale avvolta nella nebbia. soprattutto sul finire le incongruenze spingono al sorriso insieme ai cocktail di sangue e pomodoro, e tuttavia c'è sempre qualche spettatore che si lascia sfuggire un gridolino di paura. L'humour nero, con implicito inchino a Simenon, si rifugia nella pipa del Maigret di turno, recapitata al legittimo possessore con un brandello di carne umana.

Foto e musica ad ho: di Gianlorenzo Battaglia e Simonetti.






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