recensione di Enrico Barbierato a "Musica per vecchi animali"
La vicenda, di per sè abbastanza confusa, è ambientata in un futuro prossimo dove il governo italiano è stato rovesciato dall'esercito (un'allusione a "Gladio"?). Un professore stravagante (Dario Fo), Lee (Paolo Rossi), un meccanico appassionato di Kung Fu alla ricerca di una donna a cui vuole donare un pegno d'amore ed una ragazzina insofferente dei genitori (Viola Simoncioni) fuggono dalla periferia di una grande città, ansiosi di intraprendere il solito viaggio iniziatico.
Inseguiti dalla Polizia e da uno psicopatico, trovano rifugio nel sotterraneo della metropolitana, incontrando bizzarri personaggi. Dopo non poche difficoltà, Lee troverà la donna dei suoi sogni, la ragazzina verrà trascinata via dai gendarmi e il professore morirà in una stanza d'ospedale, vedendo se stesso di fronte ad un muro scrostato, le cui crepe, a turno, gli rammentano i volti dei suoi ex studenti.
Mentre assistevo alla proiezione, il totale sconcerto ha lasciato il posto ad un senso di ira mista a frustrazione. Ira perchè il pubblico, in sala, prorompeva in continui "Oh!" di meraviglia e stupore, beandosi di immagini, discorsi e situazioni che trovava nuovi, anarchici, originali e brillanti, segno che, nel nostro paese, la gente legge poco e male.
Basterebbe sfogliare qualcosa di Sheckley, di Goulart, di Tenn, di Vonnegut o di Sladek per intuire che Benni, noto scrittore, non ha inventato proprio nulla (la scena del sotterraneo, copiata alla meno peggio da "1997: fuga da New York" e "Blade runner", la potete rivivere in "I soldati di catrame" di Serge Brussolo - Les foetus d'acier, Urania 1081, 1988 - con ben altra intensità e forza descrittiva): vivacchia dell'ignoranza altrui che, essendo abissale può garantirgli almeno un altro ventennio di rendita.
Evidentissima, poi è l'inesperienza di Benni regista: del primo tempo non rimane nemmeno il ricordo, la sceneggiatura si basa esclusivamente sul livello artistico (alto) di Paolo Rossi e Dario Fo; del resto, è meglio tacere. Si intuisce che Benni vuol difendere a tutti i costi qualcosa: l'impegno politico, la sinistra, il '68, il '77, la lotta di classe… Ma il minestrone che ne viene fuori non sa di nulla.
Sugli stessi temi, altri registi hanno le idee più chiare: si pensi a Salvatores, a Moretti o Luchetti (impossibile citarli tutti, ma sono cosi tanti che travolgono Benni).
"Tuttolibri", l'inserto settimanale di cultura della Stampa di Torino, spesso paragona il Nostro a Vonnegut e Dick: a questi livelli ognuno può accostare Marina Lante Della Rovere a Boccaccio perchè entrambi discorrono di argomenti scabrosi, o Proust a Julian May visto che ambedue hanno scritto dei cicli. Spingendo la metafora, accosterei Benni a quella cricca di scribacchini inglesi (Tom Clancy, Le Carrè…) che da una catena di montaggio hanno sfornato libri miliardari ma totalmente avulsi dalla realtà, mettendo in primo piano tra le beghe della CIA e del KGB il solito agente segreto inglese bellissimo, intelligentissimo e donnaiolo (riportato, sempre meno fedelmente, da uno stanco Michael Caine o da un perplesso Sean Connery) dimenticando che dal dopoguerra in poi le superpotenze hanno lasciato l'Inghilterra ai suoi sogni.
Del resto, in Italia la cultura viaggia su canali ben precisi (Tuttolibri, Maurizio Costanzo Show, Sorrisi e Canzoni, ecc.) di cui non è nemmeno troppo arduo impadronirsi.
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