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Una favola per Redford


di Giovanna Grassi


Robert Redford resta immutabile, facendosi beffe con energia ed entusiasmo dei suoi prossimi 79 anni. Ambientalista appassionato, acceso democratico, regista, attore di 76 film, produttore (di una prossima serie televisiva dedicata all'American West).

Ora sarà il simpatico signor Meacham, falegname che crede ai draghi, in Pete's Dragon (Il drago invisibile; in uscita il 10 agosto), diretto da David Lowery.

«Un film per bambini, ma necessario anche agli adulti. Il drago invisibile riporta il senso del meraviglioso, il magic, come lo definisco io, la magia; è un sentimento che conservo sempre, anche se so che non incontrerò nei boschi un drago con occhi di fuoco, come accade a Pete nel film».

Pensa che la tecnologia abbia messo al muro il potere dell'immaginazione?

«Certo questo senso del "magico" lo stiamo perdendo sempre di più. Non solo con la tecnologia, ma per i tempi in cui viviamo. L'uomo dovrebbe chiedersi ogni giorno il perché di nuove guerre, conflitti razziali, disparità apparentemente inconciliabili di natura religiosa, economica, classista.

L'immaginazione resta, per me, il tratto più importante della natura umana».

Cosa si ripromette iniziando ogni nuova giornata?

«Considero importantissima, nella vita, nel cinema, nella letteratura, nella quotidianità, la capacità di esistere e agire con lo spirito di un narratore, storytelling è una delle parole che preferisco».

Alcuni polemizzano da sempre con i film Disney, li ritengono diseducativi ...

«Bambi e Fantasia sono film che ancora oggi amo e rivedo con i miei nipotini. Rispondo affermando che anch'io sono cresciuto con i film Disney in una Santa Monica che non era di cemento come oggi. C'erano vallate di aranceti, fiori dovunque. Ho sentito la necessità di fuggire da una Los Angeles dove non mi ritrovavo e di stabilire un rapporto con la natura, fondamentale per me e non solo come ambientalista».

Viaggiare, come quando studente scopriva Firenze, che tanto ama, le piace sempre?

Viaggiare è una attività formativa e girare questo film in Nuova Zelanda è stato come ritrovare la mia infanzia quando non c'erano tv, radio, macchine ovunque e neppure freeways nella Los Angeles dove sono cresciuto».

L'angoscia il mondo pessimista di oggi?

«Mi inquieta un'America alle soglie delle elezioni che è incerta, senza più identità. Si è perso anche il rispetto della natura, ed è arduo continuare a credere al sogno americano e a una presidenza in grado di risolvere tutto».

Le capita spesso di avere nostalgia per il passato?

«No, vivo nel presente e mi ritengo un privilegiato perché negli anni Settanta ho vissuto il cinema americano più interessante. Ma non sono un elitario. Ad esempio mi sono divertito quando ho fatto Captain America».

Come fa i conti con il potere della tv?

«Sto producendo una serie tv sulla storia del West americano, credo al potere didascalico e formativo della tv e ho voluto in ogni modo creare il Channel Sundance. Raramente oggi i padri mettono a letto i figli raccontando loro storie.

Spero che, anche vedendo Il drago invisibile, al pubblico senza età venga voglia di rileggere Peter Pan e Rudyard Kipling.

Non solo le cronache di Wall Street e quelle più dark».

Progetti futuri?

«Da anni desidero girare di nuovo un film con Jane Fonda e questo accadrà in autunno.

Sarà una bella storia di relazioni fra di persone mature, che hanno vissuto il tempo delle ideologie e poi quello della crisi delle ideologie e oggi si trovano in quello della violenza dilagante, che nasce a mio parere proprio da una società dove tanti individui hanno crisi di identità, quindi di valori, di sicurezze, di paure per la diversità».






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