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Recensione di Giangiacomo Gandolfi a "La matrice spezzata"


La Sterling-mania dilagante non può che renderci orchescamente soddisfatti: ecco che la Nord ristampa un vecchio Cosmo Argento ormai introvabile, di enorme importanza per l'evoluzione (o meglio la protogenesi) del cyberpunk e della SF tutta. Si tratta in certo qual modo di un vero e proprio anello mancante tra la tradizione dell'avventura spaziale a sfondo filosofico (à la Stapledon, per intenderei) e la nuova ondata cibernetica inaugurata da Gibson: La Matrice Spezzata ha l'ambizione dell'affresco interplanetario vecchio stile, quanto la voglia bruciante, direi la lucida necessità, di affrontare tutto con un taglio nuovo, secondo l'emergente paradigma della complessità, applicato non solo all'evoluzione della specie umana, ma allo stesso stile, alle strutture narrative. Di qui una certa apparente mancanza di organicità (più che a un cut up ci si trova davanti ad un campionamento di eventi, talvolta arbitrario, ma sempre intelligente e ironicamente corrosivo) e un dispiegarsi di possibilità vertiginoso (ramificazione di ideologie, ripensamenti culturali, costante mutazione biologica).

Ciò che apparentemente è duale secondo i vecchi schemi della SF classica (ci cascava anche Asimov), diventa multiplo, informe, inafferrabile: la dialettica Mechanist - Plasmatori (tecnologia cibernetica versus manipolazione genetica) si risolve in un continuo proliferare di sottosistemi ibridi, un melting pot frattale che si può solo afferrare da prospettive parziali, solo intuire da uno dei tanti centri degli eventi. La stessa figura del protagonista ha un che di instabile, di cangiante: cambiano i suoi scopi, le sue motivazioni, ma non c'è nulla del Bildungsroman, non c'è vera e propria crescita, solo mutazione fisica e ambizione sfrenata, inestricabilmente legate a umanissimi gesti di curiosità, pietà, rancore, amore, cinismo, senso di responsabilità, nostalgia.

Certo, non tutto è perfetto in queste pagine: ci sono scivolate nella space opera (molto limitate, però), figure enigmatiche e psicologicamente non risolte, lunghi tratti di prosa piuttosto convenzionale, a volte immobile pur nel fluire caotico degli eventi, un fervore di cambiamento che lotta disperatamente per superare certi schemi difficili a morire ma che vi rimane di tanto in tanto invischiato. Non tutto è perfetto, però è sicuramente vitale, meditato, coraggioso, e soprattutto apre nuovi scenari mozzafiato nel panorama ormai asfittico della SF degli anni '80, coglie i semi di un cambiamento che non riguarda solo il futuro, ma, cosa forse ancora più importante, la nostra capacità di rappresentarcelo.






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