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L'occhio onniscente della macchina


di Giangiacomo Gandolfi


(piccola guida alla lettura di "The difference engine")


È davvero curioso notare quanto scarso sia stato il clamore sollevato da un libro complesso e stimolante come "La macchina della realtà" di William Gibson e Bruce Sterling, per giunta in un momento di grande successo editoriale del cyberpunk come questo. I giornali ne hanno parlato quasi "en passant" (vedi ad es. l'articolo di R. Monè su Repubblica del 13 settembre 1992), mentre le riviste letterarie lo hanno citato distrattamente, spesso a sproposito e per dovere di cronaca, se non lo hanno addirittura ignorato completamente; ci sembra giunto il momento, a quasi un anno dalla pubblicazione italiana (e a tre dall'uscita sul mercato anglosassone), di spezzare questa cappa di maligno silenzio.

Cominciamo col dire che a parere di chi scrive i motivi di questa scarsa attenzione sono fondamentalmente tre.

Il primo è l'oggettiva difficoltà dell'opera, sia a livello di lettura sia a livello interpretativo. Per essere apprezzato appieno infatti, il testo richiederebbe vaste conoscenze sia in ambito letterario che in campo storico, filosofico e scientifico, nonché svariate riletture per districare il vertiginoso groviglio di livelli, riferimenti e citazioni che lo percorrono dall'inizio alla fine.

Il secondo motivo è che "La macchina della realtà" ("The difference engine" nell'originale) rappresenta chiaramente un superamento dell’esperienza cyberpunk come d'altronde ammettono gli stessi autori, ed è evidente che mettere la parola fine a un business così remunerativo proprio nel momento in cui in Italia la cosa comincia a tirare veramente, deve essere sembrato a parecchi un gesto suicida.

Meglio far passare questa ulteriore evoluzione del genere il più possibile inosservata...

Infine, il motivo probabilmente principale: la fantascienza, al pari di horror e fumetti, è sempre stato e sempre resterà un genere da botteghino, poco o nulla rilevante dal punto di vista artistico, da recensire a campionamento, tanto un libro vale l'altro ...

Ci si accuserà forse di petulanza o paranoia, ma a noi questa continua a sembrare la corrente di pensiero nascosta e dominante a dispetto dei critici di grido che ogni tanto gettano un'occhiata distratta e onnicomprensiva allo "stato di salute" del genere.

Così il lettore dell'ultima fatica di Gibson e Sterling, che avrebbe davvero bisogno di una guida alla lettura, di qualche parola sugli autori e sulle loro tematiche, viene abbandonato alla deriva, sovrastato da un mare di riferimenti e da una fitta ragnatela di estrapolazioni storiche e tecnologiche. Se non fosse per l'entusiasmo e la buona volontà di qualche fanzine (dobbiamo qui doverosamente citare l'inestimabile numero 122/123, di Intercom, puntuale ed informato sul tema), il disgraziato acquirente dovrebbe affidarsi esclusivamente alla propria cultura, alla propria curiosità e voglia di indagare, eventualmente a qualche pubblicazione in lingua. Inglese.

Detto questo, teniamo fa precisare che in realtà "The difference engine" non può essere definito un capolavoro, nè un romanzo pienamente riuscito, ma è un'opera di passaggio da studiare, costruita ambiziosamente e densa di idee stimolanti, tappa sicuramente fondamentale per la fantascienza contemporanea. Il caso ci sembra vagamente affine a quello, ben più pubblicizzato, de "Il pendolo di Foucault" di Umberto Eco: di questo romanzo condivide la straordinaria fascinazione e la feconda complessità dei concetti, espressi attraverso una forma popolare (l’intreccio spionistico ), ma ricchi di riferimenti alla cultura "alta", sia di stampo umanistico che scientifico. (1) Inoltre, come "Il pendolo di Foucault", "La macchina della realtà" risente di un'eccessiva macchinosità, presenta notevoli cadute di tensione nella trama e qualche volta fallisce nel delineare psicologicamente i personaggi.

La nostra intenzione è quella di fornire in queste pagine una sorta di guida alla lettura che faccia emergere le linee principali della speculazione, gli assi che, sostengono la narrazione, distinguendone i diversi livelli e le varie ramificazioni. Lungi dal tentare un'esegesi completa del romanzo, che richiederebbe d'altronde ben altro spazio, speriamo di fornire qui gli strumenti basilari per una successiva esplorazione del testo, poichè pensiamo che l'opera meriti di essere analizzata a fondo, anche tenendo conto dei limiti già citati.

Cominceremo col delineare la struttura narrativa, per poi evidenziare i filoni di idee che scorrono sotterranei nel testo, in un'analisi generale dell'estrapolazione tecnico-storica. Per concludere, considereremo alcuni argomenti di discussione che riguardano più direttamente l'interpretazione dell'opera.


1. STRUTTURA NARRATIVA


La prima osservazione, quella più epidermica, immediata, è che il racconto si articola in cinque iterazioni e un modus invece che nei consueti capitoli. Questa struttura, come vedremo fra poco, allude al livello più profondo della narrazione ed offre al lettore un indizio enigmatico, un messaggio fra le righe rafforzato dal senso di stringente necessità che permea le vicende a dispetto della loro apparente caoticità.

Il sostantivo "iterazione" indica, nella accezione letteraria del termine, una ripetizione, ma richiama alla mente anche il concetto di percorso, cammino obbligato (dal latino "iter"). Qualcosa di meccanico, che riecheggia l"engine" del titolo ...

In contrasto con questa prima impressione, nulla è meccanico o prevedibile nel delinearsi della vicenda.

L'intreccio spionistico che costituisce l'ossatura esterna del romanzo, saremmo tentati di chiamarlo "esoscheletro", si dipana secondo geometrie contorte ed oscure: le iterazioni seguono ora le peripezie dei personaggi, ora il travagliato cammino di una serie di fantomatiche "schede perforate" per computer, in una Inghilterra vittoriana grottesca è deformata, tecnologica e inquinata.

L'assunto fondamentale della narrazione, permetteteci di ricordarlo, è che Lord Babbage abbia effettivamente realizzato, nei primi anni del secolo scorso, quella che orgogliosamente aveva battezzato "macchina analitica" (2) e cioè un progenitore meccanico dei nostri computer, ispirato al celebre telaio Jacquard. Il mondo che ne viene fuori è un prematuro inferno tecnologico che con poche varianti rispetto alla realtà che conosciamo, trascina l'uomo sull'orlo del baratro, tra sussulti rivoluzionari ed intuizioni scientifiche ironicamente arcaicizzate.

La prima iterazione segue le vicende di Sybil Gerard, prostituta e figlia di un capo luddita giustiziato anni prima (siamo nel 1855). La donna viene reclutata da tal Mick Radley, spia ed esperto di Macchine che lavora per l'ex Presidente dello Stato Libero del Texas, ma la sua avventura dura sole poche pagine: l'ambiguo benefattore viene ucciso per questioni politiche, lasciandola sola con la pesante eredità del fatidico pacchetto di schede perforate da lui realizzate.

Seconda iterazione: scomparsa come una meteora Sybil Gerard, entra in gioco il paleontologo Edward Mallory, che, tornato in Inghilterra dopo una spedizioni scientifica nel "selvaggio Wyoming", da cui ha vittoriosamente riportato il primo scheletro di dinosauro della storia, entra rocambolescamente in possesso di un'altra serie di schede, copia delle precedenti. Per la precisione, a mettergliele fra le mani è la grande matematica Lady Ada, figlia del Primo Ministro Radicale, Lord Byron (si, è proprio lui, George Gordon Byron).

Nella terza e quarta iterazione Mallory deve difendere se stesso e le misteriose schede dai complotti di un fantomatico Capitan Swing (personaggio vagamente Stevensoniano) avanguardia delle rivoluzione in Inghilterra, anarchico e luddita, convinto di avere a che fare con un sistema preziosissimo e infallibile per il gioco d'azzardo.

Laurence Oliphant, giornalista, viaggiatore e spia inglese, è colui intorno al quale ruota la quinta ed ultima iterazione che scioglie vari enigmi e accumula coincidenze incredibili tra i vari personaggi, in una rete di connessioni che diviene sempre più fitta ed oscura. Sarà lui a rintracciare infine Sybil Gerard a Parigi e a scoprire che le schede in suo possesso sono state lette dal "Grand Napoleon", la potentissima Macchina costruita dai francesi, generando in essa una sorta di follia, un danneggiamento sconcertante ...

L'ultima sezione, il Modus, è una raccolta di materiali diversi (3) che getta nuova luce sulla vicenda e la struttura stessa dell'ucronia, e si conclude con una visione bellissima e agghiacciante, di difficile interpretazione.

È questo il momento finale, decisivo, in cui d'un colpo si svela l'ossatura nascosta del romanzo, il livello più profondo di lettura che regge concettualmente tutta l'opera. L'Occhio attraverso il quale sono seguiti avvenimenti e personaggi è l'Occhio della Macchina, lo sguardo freddo e impersonale dell'Intelligenza Artificiale che nasce e scopre se stessa, in un fatidico processo innestato dalle schede di Mick Radley ed Ada Byron.

Le iterazioni non sono altro che "strani anelli", come quelli ipotizzati da Douglas Hofstadter nel suo ormai classico, "Gôdel, Escher, Bach", i cui meccanismi di retroazione costituiscono il logico percorso dell'Entità Meccanica verso l'autocoscienza (4).

In retrospettiva il romanzo si frantuma in migliaia di schegge colorate che riflettono una solida unità sottostante, ineffabile ed elusiva:

"Nel centro di questa Città, una cosa cresce, un albero autocatalitico, quasi vivo, che si nutre attraverso le radici del pensiero nella decomposizione delle immagini da lui stesso scartate, e si ramifica, attraverso miriadi di lampeggianti propaggini, su, su, verso la luce nascosta della visione.

Morendo per nascere,

La luce è forte,

la luce è chiara;

l'Occhio alla fine deve vedere se stesso

Me stesso ... Io vedo;

Io vedo,

Io vedo

Io

!"

Attraverso i processi della visione e della Memoria, si crea il Pensiero, giunge al culmine l'atroce miracolo della vita, e rimane come un denso di sgomento, di desolazione ...

Questo è l'evidente motivo per cui il romanzo non ha protagonisti: semplicemente non può averne. L'Unità si poteva raggiungere solo attraverso la Molteplicità, solo rendendo un fantasma l'individualità. (5)


2. ESTRAPOLAZIONE TECNICO-STORICA


Ma a che livello è arrivata la tecnologia circa vent'anni dopo la creazione della Macchina? E qual’è lo scenario storico dopo le realizzazioni di Lord Babbage?

È possibile ricostruire molto di questo mondo deformato, attraverso mille piccoli indizi, accenni e citazioni. E il risultato di questa sintesi è senz'altro sconcertante ...

In Gran Bretagna, dopo le rivolte luddite dei primi decenni dell'ottocento, Lord Wellington è rapidamente scomparso dalla scena e il potere è nelle mani di un'oligarchia tecnocratica che ha favorito un'accelerazione esponenziale dello sviluppo industriale, con drammatiche ripercussioni a livello ambientale (inquinamento da carbone).

Lord Byron è a capo del governo e guida i Radicali Industriali: la sua influenza è fortissima, sia in Europa che in America. Il Giappone comincia ad affacciarsi alla ribalta dei paesi industrializzati, con circa un secolo d'anticipo, e la Francia coltiva sciovinisticamente la propria "grandeure", creando Macchine d'avanguardia e addestrando abili computatori.

La situazione in America è decisamente più complessa: l"Union Jack" appare assai instabile e minacciato. Messico e ribelli del Texas premono a sud e New York ospita la "Comune di Manhattan", organizzata dal signor Marx in persona e finanziata da Lord Engels, industriale manifatturiero simpatizzante delle teorie comunarde, mentre Samuel Coleridge e il Reverendo Wordsworth hanno fondato il cosiddetto "Falansterio di Susquehanna", ove si pratica il libero amore e si segue l'utopistica dottrina Pantisocratica.

La tecnologia meccanica (quella elettrica è già nell'aria, sempre ad opera di Babbage) ha nel frattempo fatto passi da gigante in Occidente:' "gurhey" a vapore, audio grafi e macchine per cucire portatili; nuove, vertiginose prospettive scientifiche si affacciano all'orizzonte: applicazioni di medicina magnetica, ad esempio, frenologia assistita da calcolatore, e addirittura una rozza forma di computer grafica, la chinotropia ...

Il dibattito filosofico-scientifico che affiora qua e là alla superficie del romanzo, precorre in modo impressionante quello attuale. Troviamo feroci scontri sull'interpretazione da dare alle teorie darwiniane (l'evoluzione procede per microcambiamenti o attraverso cataclismi e violenti collassi del Sistema?) con gli Uniformisti e i Catastrofisti che si fronteggiano riecheggiando le idee di René Thom; un perenne contrasto di fondo tra i sostenitori dell'Ordine Deterministico e quelli del Caso; l'eterna "querelle" tra olismo e riduzionismo; l'intuizione nebulosa delle teorie di Prigogine su Caos e Complessità. Ed è sorprendente il discorso finale di Lady Ada Byron, da cui traspaiono congetture che anticipano di un secolo il famoso Teorema di Gôdel sull'incompletezza dei sistemi formali, nonchè un'acuta comprensione del concetto di autoreferenzialità:

"Se immaginiamo l'intero Sistema della Matematica come una grande Macchina per dimostrare Teoremi, allora dobbiamo dire, grazie al Modus (il programma da lei creato, N.D.A.), che una simile macchina "vive", e potrebbe in effetti "dimostrare" la sua vita, se potesse sviluppare la capacità di guardare se stessa. La Lente capace di una simile auto-analisi è di natura ancora sconosciuta; tuttavia sappiamo che esiste, poichè noi stessi la possediamo"

Serrato ed attuale è anche il confronto "ideologico' e politico che viene fuori dalle pagine del romanzo: non ci sono facili semplificazioni, nè prese di posizione nette e inequivocabili, siamo piuttosto di fronte ad una riflessione aperta, ad un "work in progress" che non ha nulla di definitivo.

Così lo scontro Ludditi-Industriali non può che terminare con una vittoria del Progresso (come rinunciare alle Macchine, d'altronde?); ma un Progresso ambiguo, in cui il controllo dell'informazione si va via via accentrando sempre più pericolosamente, e l'equilibrio ambientale è già irreparabilmente sconvolto.

I Radicali sono tecnici, "sapienti", e la loro conduzione del governo è logica e meritocratica, ma gli inevitabili segni di un’incombente degenerazione del Sistema gravano sull'impianto stesso dell'opera, come una maledizione atavica su qualunque forma di organizzazione politica l'uomo possa concepire.

Nulla è solo bianco o solo nero, come abbiamo detto: gli uomini di Lord Byron fermano i conservatori di Wellington, promuovono i sindacati e combattono la carestia in Irlanda negli anni '40, con navi di soccorso e una mobilitazione internazionale, ma spiano e uccidono come i loro avversari, spinti da una machiavellica necessità politica; i comunardi combattono per la redistribuzione dei mezzi di produzione e di informazione, ma sono ancora schiavisti, e le loro riunioni sono parodie di collettivi sessantottini:

"-Dottoressa Barton - dichiarò Pye - io non riconosco questi compagni. Si stanno comportando regressivamente, e io... io credo che debbano essere criticati!" (pag. 290)

Tutto ciò ha spinto alcuni critici, ad esempio John Clute di Interzone, ad accusare Gibson e Sterling di non esporsi mai completamente:

"(... ) per parlare di un argomento ci devono essere interlocutori, e in "The difference engine" non c'è dialettica, non ci sono scambi di voci [ ... ], non c'è protesta:"

Non siamo del tutto d'accordo con questa critica: le contrapposizioni teoriche ed ideologiche ci sono, come abbiamo visto, e se non sono completamente risolte è perchè gli autori sanno di non avere facili ricette da proporre. Il loro scopo era quello di far riflettere, di creare una simulazione di sviluppo industriale su basi informatiche in un contesto diverso dal nostro e di studiarne le possibili ripercussioni: beh, in questo il romanzo è perfettamente riuscito, ci sembra.

Quello che invece lascia perplessi anche noi, come vedremo fra breve, è la disarmonia tra i vari livelli della narrazione, che crea un malefico corto circuito, una sorta di possibile azzeramento di significato denso di suggestioni negative e pessimistiche.


3. PROBLEMI A MÒ DI CONCLOSIONE


Il nodo delicato nell'interpretazione dell'angosciosa visione finale sta proprio nel significato da attribuire alle iterazioni: si tratta di simulazioni storiche, o della Storia stessa?

A noi sembra che l'ultima interpretazione sia quella più verosimile, a giudicare da molte piccole annotazioni che costellano il romanzo: ci troveremmo dunque di fronte ad un vertiginoso gioco di specchi tra livelli, in cui l'uomo genera l'Intelligenza Artificiale, da cui è a sua volta generato.

Qualunque forma di autocoscienza umana (Mallory muore di emorragia cerebrale quand'è sull'orlo della comprensione), qualunque speranza di libero arbitrio si perde in un labirinto di illusori riflessi ed emerge un tragico, assoluto nichilismo della meta-narrazione.

Che significato assumono i dibattiti, le teorie, l'umanità dei personaggi alla luce della rivelazione finale? Che senso ha parlare di "Necessità Storica" come fanno i comunardi, o di storia come completa casualità, secondo l'opinione di Mallory?

Quel che è certo è che esiste una strettissima parentela tra "The difference engine" e le precedenti opere dichiaratamente cyberpunk, un'affinità di tematiche innegabile e profonda, anche se la tecnica dell'ucronia allarga a dismisura le possibilità di analisi. Il rapporto uomo-macchina viene qui indagato ancora più a fondo (quant'’è lontana e limitata la speculazione asimoviana, in confronto!) e conduce a conclusioni metafisiche, enigmatiche, confondendo dickianamente i confini tra umano e artificiale.

Come sostiene Mirko Tavosanis su Intercom, un interessante lavoro che andrebbe ancora fatto sul testo è proprio quello di "collegarlo alle dinamiche del cyberpunk, ed alla chiusura del movimento".

Un ulteriore campo di indagine ancora aperto è quello della scelta dei personaggi storici, che non sembra per nulla casuale.

Occorrerebbe studiare caso per caso le modificazioni apportate e le possibili connessioni storiche, ideologiche e scientifiche con lo svolgimento delle vicende.

Come mai tanti letterati tra computatori, politici e chinotropisti? A parte l'evidente caso di Lord Byron, segnaliamo la presenza di John Keats e Teophile Gautier nelle vesti di esperti di Macchine, di Percy Bhisse Shelley trasformato in agitatore luddita (forse per il "Frankenstein" di sua moglie?), e ancora di Benjamin Disraeli, Thomas Huxley, Lord Galton e Lord Brunel, ingegnere che diventerà Primo Ministro alla morte di Byron.

E ancora, in che misura le teorie discusse si riflettono sulle vicende del mondo di Babbage? È possibile identificare un cataclisma entropico nella recrudescenza di smog (la "Puzza") che affligge Londra?

Fino a che punto alcuni episodi possono essere considerati significativi ed altri puri "divertissement" (come l'ironica scena di sesso vittoriano tra Mallory e una prostituta)? E cosa sono i "Sette peccati di Babilondra"?

Come si vede, molto c'è ancora da lavorare sul versante interpretativo, e necessitano altri contributi alla discussione del romanzo.

Qui a "Il Paradiso degli Orchi" saremo felici di pubblicarli...


NOTE:

(l) È innegabile, ad esempio, che Pynchon sia la musa oscura di ambedue le opere.

(2) La cosiddetta "Macchina Differenziale", assai più rozza e non dotata di memoria, riuscì invece a e costruirla.

(3) La tecnica è quella di John Brunner nel suo famoso "Stand on Zanzibar", a sua volta mutuata dai romanzi i Dos Passos

(4) Per una completa ed esauriente discussione non possiamo far altro che rimandarvi al libro citato.

(5) È divertente notare come gli autori giochino col concetto: Mallory paragona la gente in fuga da Londra a un gas di Boyle, e Oliphant di notte sogna "di un Occhio onnisciente, nelle cui infinite prospettive possa essere rivelato ogni mistero".



BIBLIOGRAFIA

-"Marx modello cyberpunk" di Renata Monè, la Repubblica 13/14-9-1992 pag. 34

-"Macchine Differenziali" di Mirko Tavosanis, Intercom 122/123 pag. 11

-"Viva?" di John Clute (originale su Interzone n. 43, gennaio ‘91), Intercom 122/123 pag. 16

-"The difference engine" di Glenn Grant (originale su Sf Eye n. 8, inverno ’91), Intercom 122/123 pag.18

-"GÔDEL ESCHER BACH un'eterna ghirlanda brillante", di Douglas Hofstadter, Adelphi Scientifica n. 6






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