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Il bambino giustiziere


di Giovanni Grazzini


Il bambino? Un animaletto feroce e infernale, diceva il nostro Renard. E, in Piccoli fuochi, ecco a noi Tommasino, anni quattro o cinque, che all'asilo scarabocchia disegni, pende dalle labbra della maestra quand'essa racconta le fiabe, e a casa, guardando la TV, resta soprattutto colpito da scene d'incendio. Tommaso ha mamma e papà, ma né l'una né l'altro pur volendogli un gran bene possono stargli molto vicino. E lui s'è inventato tre compagni di giochi: un Re brontolone, un vecchio Drago in disarmo, un Alieno a forma di robot. Che incoraggiano la sua vocazione di piccolo piromane e alimentano le sue paure.

Qualcosa cambia, nell'universo del bambino, quando Mara entra in casa come domestica. È sui diciot'anni, fa il bagno nuda dinanzi a lui, gli ha arrestato il sangue succhiandogli una ferita al ginocchio. Inutilmente il Re, il Drago e l'Alieno cercano di spodestarla. Tommaso le si affeziona con crescente curiosità, s'addormenta volentieri nel suo letto, e quando la scopre fra le braccia di uno sconosciuto avverte i morsi della gelosia. Per Tommasino è un periodo cruciale: impara a dire bugie, si chiede che cosa sia Dio, e in odio al ragazzaccio che gli sottrae la “fidanzata” fa lo sciopero della fame, per cui finisce in clinica.

Una notte, sobillato dai Tre, sogna di scappare. Dove va il nostro caro angioletto? A dar fuoco all'infame che fa piangere Mara. E quando arriva un disco volante, rinunzia a imbarcarsi col Re, il Drago e l'Alieno. Ha scelto Mara, ha scelto la Donna ...

Scritto dallo stesso regista Peter Del Monte, che lo ha sceneggiato con Giovanni Pascutto, Piccoli fuochi rappresenta l'altra faccia del cinema italiano: quella nascosta alle platee che danno la palma ai comici, abitata da autori che coltivano il sogno di un cinema intimista, fantastico e spiritoso ma anche percorso di sotterranee emozioni, incline alla favola sepolta nel quotidiano. Come tale Piccoli fuochi è un film sensibile e intelligente, il quale conferma la finezza d'animo e il buon mestiere di Peter Del Monte (Irene Irene, L'altra donna, Piso pisello, Invito al viaggio). Il primo incontro di Tommasino con la femminilità, l'alba della sua sessualità, l'emergere in lui di domande alle quali la vita dovrà dare risposta, sono detti dal racconto con molto garbo. L'invenzione e la caratterizzazione dei Tre personaggi nei quali confluiscono gli echi della novellistica classica e della fantascienza, l'allusione all'influsso che sul bambino può avere esercitato la Tv, l'accenno alla responsabilità dei suoi genitori, il disegno di Mara (una ragazza di oggi con qualche macchia alle spalle) e del teppista dal quale tenta di staccarsi, e finalmente i modi con cui il bambino esprime i propri conflitti, vanno a credito di Del Monte, insieme a Comencini il nostro più attento lettore della psicologia infantile.

Ciò che meno persuade è il divario fra la prima e la seconda parte del film. Parliamo della struttura narrativa, non dell'integrazione fra realtà e proiezione dell'inconscio, efficacemente realizzata da Del Monte lungo tutto il film per combinare i confusi turbamenti di Tommaso con i suoi comportamenti teneri e dispettosi.

A un certo punto la linea limpida del racconto s’intorbida.

C'è un interrogatorio di Mara, trasportata al commissariato, di cui non è chiara la ragione, a meno che non appartenga anch'esso alle fantasie del bambino (la ragazza non può essere coinvolta nella morte del fidanzato, perché l'omicidio appartiene ai sogni liberatori di Tommaso, né succhiargli il ginocchio può bastare a incolparla di corruzione di minorenne…).

E c'è sul finale un transfert, per cui ora tocca a Mara vedere, il Drago, il cui senso simbolico sfugge. Anche per ciò un film nel quale si contano molti momenti felici - basti citare la rappresentazione di Dio (che per il Re è una moneta, per il Drago il fuoco, per l'Alieno una scatola da non aprire) - stenta a dischiudersi interamente in apologo per grandi, e non si sa quanto sia adatto ai bambini. La mano e l'occhio di Del Monte sono maturi, simpatica è la sua immaginazione visiva, ma qua e là sono gracili le motivazioni del racconto.

Vi rimediano in parte la fotografia di Tonino Nardi, la scenografia di Uberto Bertacca, i costumi di Giana Gissi, e i due protagonisti: una Valeria Golino la quale ha i numeri per confidare più nel propri volto che nell'esibizione del proprio pube, e il piccolo jugoslavo Dino Jaksic che interpreta gli stupori e i crucci dell'infanzia con adeguato musetto. Il bel viso della maestra d'asilo è grata prerogativa di Daniela Giordano.






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