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Garrone stupisce con incubi e magie


di Emiliano Morreale


Il regista di "Gomorra" e "Reality", per chi non lo avesse capito, è in realtà uno dei nostri autori più visionari e, alla lettera, barocchi. E chi considerava Matteo Garrone un "neorealista" uscirà sorpreso dal suo ultimo film. Che è una fiaba, anzi il ritorno alla madre di tutte le fiabe europee, il secentesco "Cunto de li cunti" di Basile, un film che va in fondo alle ossessioni del regista.

Internazionale e italianissimo, infantile e colto (senza una sola citazione diretta, c'è dentro mezza storia del cinema e della pittura), avventuroso e anti-spettacolare: si veda, all'inizio, la meravigliosa uccisione del drago. Soprattutto, Garrone non ha l'atteggiamento aristocratico dell'autore che si mette a fare il genere, ammiccando al pubblico colto.

Non c'è altezzosa ironia verso la materia, né ansia di allegoria per dire: sì, è una fiaba, ma c'è ben altro ... No, Garrone si appassiona davvero alla propria storia e la prende sul serio; gli interessa una forza sorgiva del racconto che si torce magari verso l'horror, e dà sfogo al proprio talento pittorico mostrando però quanto la pittura sia stata, nei secoli, anche racconto.

La sua narrazione, d'altro canto, scavalca ogni morfologia della fiaba, ogni manualetto e schema dei personaggi, per andare alle radici del cunto, alla filastrocca e all'iperbole, al quotidiano che si fa magia, in un canto del divenire e della metamorfosi che è anche un viaggio nella mutevolezza del femminile con i quattro elementi che diventano protagonisti, con tanti animali enormi e minuscoli, morti e vivi, reali e fantastici. Un mondo in cui non ci sono psicologie, e il bello è qualcosa di sontuoso come lo sognano i poveri, è eccesso e quasi parodia, confina con l'osceno e il mostruoso.

Il film; girato tutto in luoghi reali, è anche uno stupefacente canto d'amore al paesaggio italiano. Un'Italia più sublime che quietamente bella, tutta forre, dirupi e gorghi. Accasata in questi luoghi, per qualche magia, la fiaba acquista verosimiglianza. E nonostante la confezione internazionale e le star, non ci stupiremmo se, da un momento all'altro, i personaggi si mettessero a parlare nella meravigliosa lingua di Basile.

Il racconto dei racconti sembra provenire da chissà dove, dall'alto di un immaginario senza tempo e dal profondo degli incubi di un grande regista. Un tentativo di re-incantamento del cinema che spiazza e stupisce.






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