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Due giorni "after"


di Leonardo Autera


Nel filone avveniristico del dopo guerra atomica, suggerito dagli esemplari americani al cinema italiano di bassa serie, dovremmo tener conto anche di questo Rush, se il sottoprodotto non fosse tanto povero di idee e di mezzi da risultare pressoché inconsistente. Si pretende, tuttavia che la trama si svolga dieci anni dopo il conflitto nucleare in un mondo ridotto dalle radiazioni ad immane rovina.

C'è però il folle Yor che, sopravvissuto all'inquinamento atmosferico in un labirinto di grotte, ha approfittato dell'occasione per edificarvi un proprio regno, e con tanto di esercito, ha schiavizzato altri superstiti, più o meno contaminati, costringendoli a coltivare ortaggio in apposite serre.

Ma c'è anche un giovane ardimentoso, Rush appunto, che vagando all'esterno si accorge che ormai l'inquinamento dell'aria sta per finire, che le piante possono ricominciare a spuntare nel deserto e che dunque la vita può riprendere normalmente sul pianeta Terra. Quando anch’egli viene catturato dagli uomini di Yor, riesce a far serpeggiare fra gli schiavi la speranza di libertà e poi fugge nuovamente in un bosco (la cui vegetazione, tanto per rilevare una delle molte incongruenze, è oltremodo lussureggiante) dove, braccato dai soldati, si trasforma in un guerrigliero alla maniera di "Rambo", e stermina metodicamente gli inseguitori uno dopo l’altro. Non gli resta, alla fine, che affrontare in duello Yor in persona e il gioco è fatto.

Troppo facile rilevare il ridicolo di queste situazioni, immaginate e sceneggiate da Tito Carpi in funzione esclusiva di ambienti spogli e bell'e fatti, (cave e gallerie abbandonate, vecchi serbatoi di gas in disuso, serre d'orticoltura, un boschetto di media montagna) e messe in opera da Anthony Richmond (Tonino Ricci per l'anagrafe) con incredibile sbadataggine. Per non dire degli interpreti, che un'espressione non la concedono nemmeno per sbaglio.






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