Recensione di Giangiacomo Gandolfi a "Hyperion"
"Nella loggia della sua astronave color ebano, il console dell'Egemonia suonava, su uno Steinway antico ma ben conservato, il Preludio in Do Diesis Minore di Rachmaninov; in basso, tra le paludi enormi creature verdi simili a sauri si agitavano e mugghiavano."
Questo é l'incipit di uno dei più straordinari romanzi di fantascienza di questo ultimo scorcio di secolo, divenuto un classico nel giro di appena tre o quattro anni. Hyperion di Dan Simmons, vincitore di Hugo e Nebula nell'ottantanove, esaurito da tempo nella costosa edizione di Interno Giallo, torna opportunamente nelle librerie in edizione economica, per i tipi della Mondadori.
Ed è una ghiotta occasione per metterne in evidenza i pregi a mente fredda: denso, struggente, epico e fin troppo ambizioso, questo romanzo costituisce una sorta di felice sintesi dei temi affrontati dalla science-fiction da un secolo a questa parte. La sua struttura riflette bene la vastissima portata del progetto: si tratta di sette storie estremamente eterogenee, incastonate nella narrazione di un pellegrinaggio, disperato, secondo una tradizione che si può far risalire a Boccaccio e a Chaucer, se non alle Mille e una notte.
Filo unificante degli episodi e meta del pellegrinaggio stesso le Tombe del Tempo e la terribile, affascinante figura dello Shrike, divinità muta e spietata, di una crudeltà umanamente incomprensibile. Sullo sfondo, una guerra galattica tra i nomadi Ouster e l’Egemonia dell'Uomo, confederazione interplanetaria che ricorda il glorioso Impero di Asimov, l’Ekumene della Le Guin e tanti altri classici della Sf.
Ogni. racconto nel racconto, come già accennato, illumina un diverso volto di questa tradizione letteraria; si va dalla splendida fantateologia dell'episodio narrato dal prete, alla Space-Opera rivista e corretta dei ricordi del soldato. E ancora: la sociologia e la denuncia ecologica nel commovente racconto del console, il cyberpunk in quello dell'investigatrice, la spietata satira dei meccanismi editoriali e l'analisi del mondo dell'Arte in quello del poeta.
Ciò che stupisce di più in Simmons, é la sorprendente capacità di scivolare come un'anguilla imprendibile da un genere all'altro, sempre perfettamente a suo agio e in grado, tra l'altro, di fare razzia di premi ovunque diriga la penna. Ma anche, e forse soprattutto, la sua opera di rilettura consapevole del passato, fondamentale per far uscire la letteratura di genere dal cul de sac in cui inevitabilmente finisce per cacciarsi, magari contaminandola con materiali "alti", come testimonia l'ombra di Keats che aleggia onnipresente in tutto il romanzo.
Attendiamo ora l'edizione economica de La caduta di Hyperion, che conclude questa saga enciclopedica con un tocco di apocalittico pessimismo, e poi la nostra condizione di "beata orchitudine" sarà definitivamente assimilabile a un nirvana.
P.S. Consigliato caldamente a chi non digerisce Gibson e crede chela fantascienza sia defunta o non abbia più nulla da dire ...
P.P.S. Da confrontare con la piacevole ma gelida estrapolazione galattica della Fondazione di Asimov!
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