Recensione di Giangiacomo Gandolfi a "Il canto di Kali"
Ghiotta occasione (dal punto di vista economico) per recuperare un romanzo che ha fatto molto parlare la stampa, se ve lo siete perduti in prima edizione.
Simmons, Simmons, Simmons: si dirà - ancora lui! Dopo averlo visto variamente osannare o crocifiggere su queste pagine, ad opera dei più diversi recensori, è venuto il momento di riparlarne con più serenità: si tratta di un grosso nome o di un grosso bluff?
La risposta, come capita spesso, si trova a metà strada (forse leggermente più vicina all’opzione A); questo americano è uno che lo scrivere ce l'ha nel sangue, ma non è certo un rivoluzionario, né nel campo della fantascienza né in quello dell'horror. Io parlerei più di un valido artigiano, nell'accezione positiva del termine, che ha scritto cose egregie, cose dignitose, e di tanto in tanto anche qualche bidonata. Certo, Hyperion era un grande libro, un'operazione ambiziosa, ma si trattava più di una sintesi audace che di una rivoluzione del genere.
Passiamo ora a Il Canto di Kali, che viene presentato come un tentativo di ricreare nel mondo moderno atmosfere e paure del thriller soprannaturale. È un bell'esempio di horror moderno, certamente, e si fa leggere d'un fiato. L'approccio nel descrivere Calcutta e la cultura indiana, saggiamente, è quello di ammettere la fascinazione, ma anche l'estraneità, l’incapacità di comprensione; questo non è il resoconto di orrori esotici, di morbosità turistiche, ma il grido d'impotenza e dolore nei confronti di un abisso che esiste tra due culture, un monologo tutto americano sulla solitudine e la inadeguatezza del mondo "civilizzato" di fronte alla complessità di costumi, mentalità, religione e filosofia di vita dei tre quarti di questo pianeta, irriducibili alla "ragione" occidentale. Vista come metafora di questo abisso, la vicenda acquista profondità, commuove e "funziona" ottimamente dal punto di vista narrativo, più che se la si interpreta in termini di allegoria del "Male Assoluto".
Resta da segnalare, oltre all'atmosfera cupa e al senso di tragedia incombente (che con grande intelligenza e sobrietà non avrà nulla di soprannaturale, ma anzi accrescerà il senso di amarezza con il suo carattere squallido e quotidiano), l'indimenticabile racconto dello studente Muktanandaji, vero e proprio tour de force letterario che ricorda le pagine più agghiaccianti dei racconti di Kipling.
Da acquistare senza esitazioni.
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