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Payne e la realtà lillipuzziana: idea originale che non graffia


di Paolo Mereghetti


Riducete tutto ad altezza Lilliput, ma i problemi dell'America (e dell'umanità) non diventeranno di certo più piccoli. Questo ci dice il regista americano con sangue greco . nelle vene Alexander Payne, che non ha mai sposato fino in fondo i miti della terra che l'ha visto nascere e di cui ha sempre dato un ritratto amaro e disincantato. Come fa anche in Downsizing (in italiano miniaturizzazione), con più ambizioni «filosofiche» dei film precedenti (Nebraska, del 2013, e il precedente Paradiso amaro, del 2011) ma con meno capacità di graffiare e disturbare. Lo spunto di partenza per il titolo che ha aperto la 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia è l'invenzione di un gruppo di scienziati norvegesi, capaci di ridurre 2.744 volte le cellule umane: un uomo di un metro e ottanta si rimpicciolisce fino a 12,9 centimetri riducendo di conseguenza spazio abitativo, consumi, cibo ma anche bisogno di soldi e capacità di inquinamento. Una pacchia, che finirà per tentare un bel po’ di persone, tra cui l'osteopata Paul Safranek, che però al risveglio dal processo di miniaturizzazione scopre che l'amata moglie Audry non l'ha voluto seguire. Trovandosi così costretto a iniziare da solo la sua nuova mini-vita, in una specie di bolla ecologica protetta e riservata, dove però non tutto andrà come nelle previsioni. L'idea è decisamente originale (in passato la miniaturizzazione umana era spesso vista come un incubo, qui è una risorsa) e Payne sa costruire con Jim Taylor una sceneggiatura che evita i momenti di stanca, così come la sua regia sa tenere perfettamente in equilibrio il tono del film, tra dramma e commedia, commozione e ironia. Ma quello che scopre alla fine è che la povertà e le classi non spariranno nemmeno nel mondo fatato di Leisureland ("la terra del dolce far niente" si potrebbe tradurre il nome della dorata enclave che ospita i piccolissimi umani), che l'umanità preferisce scappare piuttosto che affrontare i problemi che crea e che l'unica salvezza è (forse) l'amore.

Parole un po’ troppo generiche che per una volta nemmeno il protagonista Matt Damon riesce a riempire di autentica e contagiosa energia vitale.






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