Recensione di Gilberto Coletto a "L'ombra del torturatore"
Fra tanti noiosissimi volumi che ci propina a valanga la narrativa americana (non dico soltanto di fantascienza), e che siamo costretti a subire irretiti da una sviante e insolente pubblicità, ecco finalmente un lavoro di fantasy che non solo può soddisfare l'esigente lettore italiano, ma ha l'eleganza di linguaggio e dà le emozioni di un vero capolavoro letterario. Capita raramente nella letteratura al di fuori della poesia che l’autore si mostri senza riserve allo scoperto e liberi i terrori che ha dentro di sè come ha fatto Gene Wolfe ne "L'ombra del torturatore”; perchè sono soprattutto questi momenti di verità che avvince di un'opera, massimamente di un'opera di dichiarata invenzione.
Severian è un giovane apprendista della corporazione dei Torturatori, cresciuto nella decrepita Cittadella dai muri di metallo dentro la sconfinata e imperitura città di Nessus dalle mura nere alte fino al sole.
Ed è la saga di questo uomo, e del suo mestiere crudele, che arriverà al trono dell'impero di Urth che Gene Wolfe (che si presenta in veste di traduttore di queste memorie future, accorgimento che spesso hanno adottato gli scrittori di vicende storiche) si impegna a portare avanti per quattro libri, in un ciclo denominato "Il libro del Nuovo Sole". La pubblicazione della traduzione del secondo di essi, L'ARTIGLIO DEL CONCILIATORE, (Premio Nebula 1982), è già annunciata dall'editrice Nord, entro l'anno.
L'atmosfera del romanzo è angosciosa e sempre come sospesa tra il cinismo e l’innocenza da mantenere un attenzione trepidante nella lettura, specialmente nella prima parte dove si sviluppa quasi completamente l’idea dei torturatori e dell’ambiente cupo, claustrale delle segrete in cui vivono, le macabre feste, i giochi nella necropoli, e il rapporto con le loro vittime.
Un racconto su una genia di torturatori era già stato scritto da C. A. Smith, "L'isola dei torturatori" ("Gli isolani di Uccastrog avevano ideato innumerevoli tormenti, bizzarri e sottili, per affliggere e straziare i cinque sensi; e essi potevano torturare il cervello, spingendolo a cose peggiori della follia: e potevano sottrarre i tesori più cari del ricordo lasciando al loro posto sozzure indicibili" - Zotique, Editrice Nord, 1977).
Nel mondo di Wolfe dai costumi e regrettezza medievali, un mondo di "sudiciume e di fiori”, questa sopravvissuta corporazione di torturatori ha l'unico dovere di ubbidire a uno sconosciuto volere che come implacabile destino fa incontrare il carnefice e la vittima, il castigo e la colpa. Il tema fa ricordare a questo punto uno dei più agghiaccianti racconti che siano stati scritti: "Nella colonia penale" di Franz Kafka. Gene Wolfe ne accenna li raccappricciante apparato, di tortura. Anche la Casa Assoluta che non appare agli occhi di tutti è un castello kafkiano.
Tra alcune parabole enigmatiche la simbologia contenuta nel libro è riportabile alle nostre condizioni. "Ora ho viaggiato molto lontano dalla nostra terra", dice a un certo momento il narratore, "ma ho sempre constatato che il modello della nostra corporazione è ripetuto insensatamente nella comunità di ogni mestiere e quindi sono tutti torturatori come noi: il compratore per il mercante; il nemico della Repubblica per il soldato; il governato per il governatore; l’uomo per la donna..."
Benchè la preoccupazione di ogni autore americano sia di condire di parole l'idea originale per raggiungere un determinato numero di pagine (imposto dal formato editoriale) anche nelle descrizioni riempitive di questo scritto a mosaico come nei paragrafi dei "Giardini botanici" o "La Commedia", la vicenda mantiene la vivacità e l'ispirazione di un alto livello creativo che raramente scade in retorica.
Il termine "romantico", nel suo primitivo significato, è indicatissimo per questo stile tra il truculento da recita scespiriana e il favoloso, e "L'ombra del torturatore" è da considerare una delle opere migliori di questo "nuovo romanticismo".
Severian, l'uomo che dà la morte, appare alle volte come l'arcangelo Gabriele del Libro di Henoc al quale si rivolge lo sparuto gruppo di persone che l'attende fuori della prigione del condannato supplicandolo di far soffrire nella punizione quegli uomini ladri, assassini, rapitori.
Infine, in un saggio gratuito, Gene Wolfe si sbizzarrisce a paragonare le due arti, quella del carnefice e quella dello scrittore: "Me ne intendo poco di materia letteraria; ma ho imparato via via, e mi accorgo che quest'arte non è diversa dalla mia quanto si potrebbe immaginare." "…deve aggiungere all'esecuzione qualche elemento, per quanto minuscolo, che sia interamente suo, e che non ripeterà più. Soltanto così può sentirsi un artista libero."
Un libro del genere lo si aspettava per affermare le qualità e le caratteristiche della letteratura fantastica.
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