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Fenomeno horror


di Giovanna Grassi


Il pagliaccio più inquietante non solo del cinema, ma anche delle letteratura, è tornato a sorridere. E in una manciata di giorni, il suo ghigno malefico ha trasformato It, nuovo adattamento del bestseller di Stephen King, in un film da record: la pellicola diretta da Andy Muschietti ha superato i 500 milioni di dollari di incasso ai botteghini di tutto il mondo, diventando, in tre settimane, l'horror con gli incassi più alti di tutti i tempi, battendo il primato che per 44 anni si era tenuto stretto L'Esorcista, fermo a quota 441 milioni.

«Il nostro non è solo un horror - racconta Bill Skarsgard, che è poi il nuovo clown Pennywise -. È un racconto drammatico, un telaio di emozioni che si concentra su quel delicato passaggio dall'infanzia a una prima età adulta».

Skarsgard è nato in Svezia nel 1990 e fa parte di una famiglia di attori: lo sono alcuni dei suoi fratelli (Alexander e Gustaf) e suo padre, Stellan Skarsgard, lo Sputafuoco nella saga de I pirati dei Caraibi e presto di nuovo al cinema nel ruolo dell'ex tennista Lennart Bergelin, allenatore di Borg nel film Borg/McEnroe. Prima di questo colossale successo, Bill invece era apparso in diversi film, tra cui Atomic Blonde con Charlize Theron e serie tv come Hemlock Grove.

«Molti dei miei lavori - racconta - sono tratti da libri di successo ... It è speciale per il suo autore, che amo da sempre. Questo è uno dei suoi romanzi più completi e non solo perché affronta i problemi dei ragazzi e la loro formazione, ma perché sa analizzare la società che ci circonda. Ci insegna che l'occulto, in fondo, è presente nelle nostre esistenze».

Più che un interprete, un fan: «In effetti sapevo già tutto del romanzo prima di essere scelto per il ruolo e da sempre mi considero letteralmente affascinato dalle presenze demoniache che nel film, come nel libro, segnano il quotidiano di una cittadina dell'America profonda. Certo, prima di interpretare questo lavoro ho visto e studiato anche la mini-serie con Tim Curry nei panni di Pennywise». Le prime critiche al film sono state molto buone. Il New York Times ha parlato del «clown più cattivo di tutti i tempi che torna ad uccidere nel Maine», facendo presente come «paura e umorismo sono ben fusi e gli attori sono tutti bravi, a cominciare da Bill Skarsgard», mentre il Los Angeles Times lo ha elogiato, facendo presente però che «qualcosa dell'inquietante horror di King è andato perduto nella ricerca degli aspetti visuali».

«Sono stato felice di leggere che ho portato freschezza e incisività al clown che rappresenta le trappole ignote del male», riprende l'attore. «Sì, come tutti gli altri del cast spero di interpretare un seguito di questo film, che in controluce affronta anche i temi del razzismo e della discriminazione nei suoi 135 minuti. Intanto ho notato che la giacca gialla indossata dal ragazzino protagonista è stata subito amata dai più giovani: ne vedo tante in giro, la sera. E anche il palloncino simbolo del mio pagliaccio è già ovunque».

Tra i messaggi che legge nel film, cita quello che riguarda «la gente che finge di non vedere, che non interviene quando vede scomparire, risucchiato da un tombino, un ragazzino. A volte ci sono cose che scegliamo di cancellare perché non vogliamo prenderci responsabilità. Il libro di King, pubblicato nel 1986, si fa divorare nelle sue 1300 pagine e non c'è niente che appaia datato».

Per quanto riguarda la sua interpretazione, spiega: «Ho molto lavorato per rendere il mio clown, che è al tempo stesso il principe e il demone delle paure dell'immaginario collettivo, multiforme. I ragazzini del cosiddetto Club dei perdenti hanno ciascuno un ruolo preciso, ci aiutano a diventare attivi: a lottare, a vivere con loro. Si narra anche una storia di amicizia che regala ulteriori emozioni. Emozioni che, a mio parere, rendono questo migliore di altri racconti di King portati al cinema. Da Carrie a La zona morta, da Le notti di Salem a The mist (La nebbia) tratto dalla raccolta Scheletri, che sempre rileggo».

E così, da attore-fan, secondo Skarsgard è impossibile non essere grati «a Stephen King per tutto ciò che ci ha dato. Ha raccontato i mostri che esistono all'interno e all'esterno della società e della psiche e, facendolo, ci ha aiutato a sentirci meno soli».






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