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Il futuro apocalittico di Spielberg perso in citazioni senza identità


di Paolo Mereghetti


C'è una bella distanza - di stile, recitazione, temi - tra il recente The Post e il nuovo Ready Player One, ma più che interrogarsi sulle «incoerenze» d'autore di Spielberg (che si spiegano con l'evoluzione del mercato cinematografico americano e la perdita di forza contrattuale della generazione degli ex studenti dell'Ucla: Coppola tace, De Palma fatica, Lucas è in pensione ... ) può essere interessante cercare di rispondere ad alcune domande che il film solleva, a cominciare dal bagno di citazioni cinefile cui immerge lo spettatore.

Il film, tratto dall'omonimo romanzo di Ernest Cline (che ne ha firmato anche la sceneggiatura con Zak Penn) è ambientato nel 2045, quando l'alienazione e la povertà - si vive in case chiamate «cataste»: nomen omen - hanno spinto la stragrande maggioranza delle persone a cercare l'abbondanza in un mondo virtuale, quello del gioco Oasis. Che ha reso ricchissimo il suo inventore, James Halliday (Mark Rylance), ma gli deve aver lasciato non pochi sensi di colpa se alla sua morte ha deciso di cedere i diritti del suo gioco a chi riuscirà a portare a termine una micidiale gara di abilità, naturalmente virtuale. Tra i concorrenti, ci sono anche l'adolescente Wade (Tye Sheridan) e la coetanea Samantha (Olivia Cooke), che si conosceranno prima sotto forma di avatar - Parzival e Art3mis - e poi anche in carne e ossa, quando trovandosi in testa alla gara dovranno affrontare, con l'aiuto di altri tre amici, Haech (Lena Waithe), Daito (Win Morisaki), Daito (Win Morisaki) e Sho (Philip Zhao), il boss della multinazionale IOI, Nolan Sorrento (Ben Mendelsohn), intenzionato a vincere con ogni metodo la gara per avere il controllo di Oasis. Ma se Sorrento si paga schiere di collaboratori, Wade può contare solo sulla propria conoscenza della cultura pop degli anni Ottanta e Novanta, la stessa amatissima da Halliday e a cui si ispirano stratagemmi per vincere la gara.

Ed è qui che nasce la prima domanda perché la «cultura» che può far vincere al videogioco è per la stragrande maggioranza una cultura cinematografica, fatta di citazioni da Jurassic Park a La bambola assassina, da Ritorno al futuro a Tron, da Nightmare a Il gigante di ferro, da Breakfast Club a Una pazza giornata di vacanza.

Per non parlare di Shining cui è dedicato un'intera «puntata». Ma una tale massa di rimandi finisce per cancellare ogni senso: non si tratta più di riferimenti cinefili (che possiedono una loro dignità e autonomia) ma di anonime tessere destinate a perdere ogni identità nel tutto che compongono, proprio come in un puzzle.

Trasformando quei personaggi e quelle avventure da «citazioni» in una indistinta massa di mattoncini intercambiabili. Come coi pezzi Lego, per i quali l'uso fa sparire ogni gerarchia di valori.

Forse Spielberg credeva di fare un omaggio a un cinema che ha amato (e che l'ha visto protagonista) ma ha ottenuto solo di annullare l'identità e il valore di quel mondo per ridurlo a un puro giochino mnemonico: chi è quello e chi è quest'altro, mentre ciò che quei film e quelle storie dicevano e significavano svapora.

Ed è qui che nasce un'altra domanda: che cosa vuole dirci con questa storia? Qual’è il senso di Ready Player One? Se ce n'era uno in film come Il ponte delle spie o The Post era quello di costringere i protagonisti (e attraverso di loro gli spettatori) a interrogarsi sui limiti e le conseguenze delle loro scelte morali.

Forse l'avvocato James Donovan o l'editrice Kay Graham erano schiacciati dal «destino manifesto» che ha spesso accompagnato le scelte dell'America e degli americani, ma lo facevano chiedendosi - e chiedendoci - che cosa poteva essere giusto o sbagliato, qual era il valore e il senso delle loro azioni. Wade e i suoi amici queste domande nemmeno se le pongono: finiscono dentro un gioco più grande di loro, di cui solo Art3mis intuisce (forse) la portata politica, ma dove tutto sparisce ben presto nell'eterna sfida di Davide contro Golia. E alla fine l'unico margine di libertà sembra essere quello che per due giorni alla settimana si potrà far la corte alle proprie ragazze. Sai che conquista!






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