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Un'apocalisse. Ma non si piange


di Tullio Kezich


Apocalisse, ora: e proprio nella notte di Capodanno. Al numero 1043 della Cassia, comprensorio «Le Isole», due palazzine abitate da un'umanità festaiola, pervertita e squallida. Alla fine (non è un mistero) per la scemenza dinamitarda di un drogato salteranno in aria e moriranno (quasi) ovviamente illacrimati. Sulla pagina, ripubblicato da Mondadori con il titolo del film, il racconto di Niccolò Ammaniti si direbbe proprio scritto per il cinema; e non a caso il film che ne ha fedelmente tratto Marco Risi è molto migliore. Le stereotipe figurette del libro prendono sangue e carne attraverso una scelta di attori perfetta, tanto che bisognerebbe nominarli tutti. Ma sono trentasei, e come si fa? Il bombarolo Max Mazzotta regge con contagiosa inquietudine il filo conduttore; Monica Bellucci, elegante anche nel nudo, ci sta benissimo; Maria Monti in versione «viale del tramonto» sembra un disegno di Grosz; lo sfacciato e tremulo Alessandro Haber in guepière è come al solito impagabile; Gualtiero Trecchia alla testa dei tifosi sembra pescato allo stadio.

Ma il mio Oscar personale va al terzetto dei ladri: Ricky Memphis, Natale Tuili e soprattutto un pastoso, solenne e sinistro Giorgio Tirabassi. Lodevolissimo il lavoro di tutti i collaboratori, che si riconducono alla mano risoluta e ultraprofessionale di Marco Risi, uno dei pochi registi nostri da spendere a livello internazionale.

E allora cosa manca per fare di questo film La dolce vita del 2000? Forse il limite sta nel fatto che Risi junior sembra più figlio di Germi che del papà Dino, incline al sogghigno più che al sorriso. Marco è un realista e si ritrova a disagio quando deve gestire i fantasmi, quell'enorme caldaia da fiaba e i morti ammazzati in precipitosa sequenza surreale. Ma il vero discorso è che 'l'indignazione del regista, come quella dello scrittore, è tutta di testa, non nasce da un coinvolgimento profondo.






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