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Viaggio horror tra pregiudizi per sfuggire ai ricatti familiari


di Paolo Mereghetti


Piccola premessa critico-biografica: non ho una particolare passione per i film horror. Non trovo nessun piacere negli squarciamenti, nel sangue che zampilla, nelle torture o simili e probabilmente mi immedesimo troppo in quello che vedo sullo schermo (io «credo» al cinema!) per non trovare faticosa la tensione parossistica che certe storie creano. Soprattutto quelle che sembrano giocare con le attese dello spettatore esagerando in catastrofi gratuite e angosce prefabbricate. Se horror dev'essere allora preferisco quello «quotidiano» dove è la vita di tutti i giorni a farei conti con qualcosa di imprevisto e imponderabile. Come era stato per l'ottimo Scappa - Get Out e come è per questo Thelma.

Il nome del titolo è quello di una ragazza di provincia (Eili Harboe) che, dopo una scena iniziale di cui capiremo il senso solo alla fine (perché il padre ha puntato il fucile su di lei bambina e non sul cerbiatto che doveva cacciare), vediamo arrivare a Oslo per seguire i corsi di biologia. Ha lasciato i genitori fin eccessivamente apprensivi a casa e affronta la vita universitaria da sola. Un attacco simil-epilettico in biblioteca diventa l'occasione per fare amicizia con chi l'ha soccorsa, la giovane Anja (Kaya Wilkins), e per iniziare a frequentare i coetanei. Scoprendo così che la riservatezza dimostrata fino ad allora è la conseguenza di un'educazione rigidamente religiosa, che le nega molte delle «trasgressioni» tipiche dell'età, a cominciare dal fumo e dall'alcol. E soprattutto dall'accettazione dei propri sentimenti, che la spingono verso Anja.

Già nel precedente (e non completamente riuscito) Segreti di famiglia Joachim Trier aveva dimostrato una bella sensibilità nello scavare dentro i sensi fili colpa repressi o rimossi. Qui, tornato a un livello produttivo meno impegnativo e sicuramente più libero, riesce a dosare con maggior controllo l'intreccio tra il realismo della narrazione e l'invenzione simbolica.

Anzi, tutto prende forza proprio dalla «confusione» di questi due piani, che spesso costringono lo spettatore a mettere in discussione l'immediatezza di quello che sta vedendo, così da trasportarlo dentro le angosce di una giovane costretta a fare i conti con un'educazione fondata sul senso del peccato e il bisogno di redenzione.

L'idea forte della sceneggiatura (del regista e di Eskil Vogt) è quella di trasformare in una specie di potere paranormale il percorso di espiazione religioso, che chiede di «allontanare da sé» l'amaro calice del peccato. Così, per evitare le tentazioni, Thelma scopre la capacità di «cancellare» le cause di quelle tentazioni stesse, a cominciare da Anja e dalla sua scoperta di un amore non «ortodosso». Almeno per gli insegnamenti che ha ricevuto. Naturalmente nel film le cose non sono tutte così lineari. La consapevolezza di sé e delle proprie «caratteristiche» passa attraverso vari stadi, dal gusto giovanilistico dell'eccesso e della provocazione blasfema al rigore scientifico della medicina (come esclude che Thelma sia epilettica?) al confronto fantasmatico con i desideri repressi, ma quello che rischiava di essere una specie di rifacimento in chiave nordica di Carrie, lo sguardo di Satana diventa invece un viaggio verso la propria presa di coscienza.

All'inizio ricordavo Scappa - Get Out, ma se nel film di Jordan Peele la tensione nasceva dalla scoperta che il mondo non era quello che poteva sembrare, in Thelma la suspense è piuttosto la conseguenza di una lotta tra ragione e pregiudizi, tra verità e «bugie» (come il destino della nonna, creduta morta). Se c'è qualcosa di orrorifico è la scoperta dei ricatti che la famiglia ha buttato addosso alla giovane Thelma, accusata di «essere lei stessa causa degli avvenimenti», una frase che nella sua ambiguità (il padre la usa per incolparla di alcuni desideri inconsci: il film lascia giustamente il dubbio) è però molto significativa di un atteggiamento verso la vita che deve scegliere tra essere rinunciatario (e lasciare agli altri di decidere sugli «avvenimenti» ) o decidere di prendere in mano la propria vita e i propri sentimenti. E comportarsi di conseguenza.






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