Il vero Napoleone, borghese per amore
di Tullio Kezich
Supponiamo che Napoleone non sia morto a Sant'Elena il 5 maggio 1821, ma abbia astutamente ceduto il posto a un sosia: e se intanto il presunto scomparso, rientrato in Francia, si preparava a un nuovo volo dell'aquila? Non trovo nessun accenno in proposito nel gustoso «reportage» da Sant'Elena di Gian Luigi Melega, «L'isola più isola» (pubblicato dall'editore Scheiwiller).
Allargo le ricerche compulsando le quasi milleottocento pagine del «Dictionnaire Napoléon», ma neppure alla voce «Légendes napoléonienne» scopro la minima conferma dell'azzardata ipotesi.
Insomma, è proprio uno spunto originale quello di «The Death of Napoleon», romanzo di Simon Leys dal quale è tratto il film «I vestiti nuovi dell'Imperatore».
Dove il protagonista, clandestino a Parigi dopo la fuga dall'esilio, rinuncia ai sogni di gloria e sceglie un'esistenza borghese per amore di una vedovella.
Mi assicurano che nel libro lo sviluppo della situazione è piuttosto drammatico perché Napoleone tenta di ritrovare le tracce di suo figlio, il Re di Roma, e ne paga lo scotto. Sullo schermo, invece, prevale il tono ironico, molto azzeccato soprattutto nella scena in cui il grande soldato risolve la crisi del mercato dei meloni imponendo una strategia napoleonica alla schiera dei venditori.
«The Emperor’s New Clothes» è un felice esempio di ciò che potrebbe essere un tipo di cinema multinazionale di qualità da stimolare come alternativa a Hollywood.
Argomento francese, lingua inglese, regista canadese (il correttissimo Alan Taylor), attori prevalentemente britannici con l'eccezione della brava danese Iben Hjejle.
Ma forte è anche la componente italiana, non solo perché una parte delle riprese sono state effettuate a Torino e a Tarquinia.
Il produttore, infatti, è Uberto Pasolini, a sua volta reduce dal successo di «The Full Monty», mentre l'art director è Andrea Crisanti, l'operatore è Alessio Gelsini Torresi e, per finire, nei titoli di coda figurano molti nomi nostrani.
I valori del film non sarebbero comunque altrettanto evidenti senza la presenza di uno straordinario protagonista.
Pur non godendo di fama divistica, oggi Ian Holm si conferma a ogni prova uno degli attori più bravi del mondo.
Interpretando sia l'imperatore che l'impostore riesce a dimostrare come un grande eroe può anche essere un ingenuo; e questo è un vero e proprio contributo allo studio della psicologia bonapartista, tale che si potrebbe inserire nella prossima edizione del «Dictionnaire».
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