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Una strega tra incubo e estasi


di Giovanni Grazzini


Cose da pazzi, cose da innamorati. Ossia la gaudiosa fuga nell'irrealtà da parte del giovane psichiatra Davide, sposato e con figli ma invaghitosi d'una Maddalena incriminata per il tentato omicidio d'un cacciatore. Invaghitosi è dir poco. Piuttosto attratto dalla virtù segreta di quella ragazza, che dicendosi nata 1'8 gennaio 1630 afferma la propria natura stregonesca coll'essere sopravvissuta sino ad oggi, sempre in cerca d'un uomo che le si consegni totalmente nel momento in cui per la prima volta la possiede.

Incaricato di compiere una perizia per accertare la salute mentale di Maddalena, chiusa nell'ospedale d'un'antica cittadina, Davide passa dagli incontri con la donna a sogni angosciosi in cui la vede torturata e inquisita, mentre in piazza del Duomo il locale medico condotto accompagna, suonando il violino, una scena di teatro di strada dove un gruppo di giovani mima un frenetico sabba. Sempre più conquistato da lei, Davide si rifiuta di considerarla una pazza.

Per lui Maddalena è soltanto una bugiarda, dunque un'artista che vive in un suo universo fantastico, tanto più emozionante di quello governato dalla mediocrità della ragione. D'altronde la donna s'incarna di volta in volta in una demoniaca creatura del Seicento, e in una ragazza di oggi, che balla e fa vita di spiaggia.

Incapace di restare vicino a sua moglie (ha consegnato a Maddalena il proprio anello nuziale), Davide ora si vede al centro d'un sabba, protagonista d'un gioco di reciproche seduzioni che ha tutte le movenze d'un balletto d'invasati. E quando gli psichiatri sono riuniti per il consulto difende a spada tratta la donna, che racconta di avere fra l'altro incontrato Napoleone, poi trasformatosi in un pupazzo di neve.

Finché si arriva alla notte fatale. Quella in cui Davide svergina Maddalena, come lei da tempo desiderava, senza però che né l'uno né l'altra poi trovino quiete. La donna, infatti, si prepara a dichiararsi vittima d'un mostro che l'ha violentata, e Davide torna a vederla condotta al rogo per commercio col Maligno.

Sicché, nella speranza di distruggerla, lui stesso accende la catasta di legna. Per essere finalmente felice dovrà invece aspettare che Maddalena, tra il fuggi-fuggi degli astanti terrorizzati, scenda incolume dal rogo. Allora, scambiatisi sorrisi di complicità, i due si abbandonano festosi a un coreografico sabba ...

Reduce dal «Diavolo in corpo» e dall'«Enrico IV», Bellocchio dunque prosegue la sua ricerca in cui psichiatria e psicoanalisi danno la mano allo spettacolo, con i consueti riferimenti figurativi all'acqua, per una sempre più attenta esplorazione dell'inconscio. Oggi, però, va decisamente alle radici della conoscenza affermando che la scintilla della verità scocca nel momento dell'orgasmo.

"Mi dai la vita" mormora Davide a Maddalena nell'attimo supremo dove si capisce perché quel medico sacrifichi alla fantasia la professione e la famiglia, e a suo modo sia pronto per un'ipotesi di nuovo assetto sociale: al di là d'un banale caso d'isteria sessuale, il film mette in scena la conquista della libertà e il mistero della creatività, riassunti nella visione d'una danza collettiva, d'un prendersi, d'un lasciarsi e rincorrersi che esalta la plasticità del corpo e suggerisce, nell'apparente disordine, una vitale armonia.

Nonostante qualche difetto (il maggiore è nella lunghezza del sabba che chiude il primo tempo, il minore è in certe eccessive lentezze e nella talvolta malferma struttura narrativa), il film non passa certamente inosservato.

È insolito nel panorama del cinema italiano, e mosso in un'aura di magia che lo rende in più punti allarmante. Marco Bellocchio (al quale si è affiancata per la sceneggiatura Francesca Pirani) ha realizzato nei momenti migliori una sintesi singolare fra l’incubo e l’estasi, fra le memorie della storia della pittura, la cronaca sanitaria, gli echi mitologici.

Il linguaggio delle immagini, già tanto privilegiato per la rappresentazione dell'inconscio, si fa convincente strumento ideologico, ma anche chi non volesse lasciarsi persuadere dalla metafora di Bellocchio sull'arricchimento procurato dalla libertà sessuale avrebbe da provare più d'una emozione: per l'elaborata architettura visiva, per lo sdoppiarsi dell'azione fra sogno e realtà (ciascuno con una sua diversa ma coerente veste formale), per il rapporto strettissimo con la musica, firmata da Carlo Crivelli, lo stesso di "Diavolo in corpo", qui da elogiare senza riserve per come ha saputo associare suoni striduli e dissonanze a stati d'animo e a percorsi mentali.

Lodi non minori acquistano Giuseppe Lanci, la cui fotografia si mantiene di prima qualità lungo tutta la ricca gamma di situazioni, e Giantito Burchiellaro il quale ha messo bene a frutto la splendida piazza del Duomo di Massa Marittima e certi ruderi, nonché riesumato efficacemente il Seicento dell'Inquisizione.

Quanto agli interpreti, possiamo non gradire sino in fondo quel tanto di fauno melenso che è in Daniel Ezralow, il ballerino americano il quale esordì sullo schermo con "Un complicato intrigo" della Wertmuller e ora fa Davide con molta buona volontà, ma dobbiamo applaudire la freschezza e intensità con cui recita la carnale Beatrice Dalle, strega e zitella.

Il nostro Omero Antonutti è un arguto Mefistofele, e Corinne Touzet, la moglie di Davide, offre momenti assai sinceri. Avvertenza ai guardoni: poco o niente di scabroso…






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