Ma erano tutti già morti prima
di Daniele Del Giudice
Che cos'è oggi l'America nel nostro immaginario? Probabilmente molte cose, che non corrispondono più ad alcun luogo. L'America sembra essere un colore di fondo nella pubblicità europea, che è il vero esperanto realizzato; un certo tipo di tonalità pastello e di contorni netti in cui proiettiamo i nostri desideri di contemporaneità, di compattezza e di leggerezza, usando l'America come rimbalzo attraverso l'Atlantico. Forse per questo restiamo sempre sorpresi quando dalla letteratura americana continuano ad arrivare racconti di misurata follia e di fallimento. Ciò in cui si fallisce è la possibilità di sentirsi "io" in una società molto indifferenziata; e in fondo il naturalismo di Irwin Shaw, la riflessività stranita di Salinger, l'ironia di Philip Roth o la malinconia di Bernard Malamud ci hanno narrato sempre una medesima storia: qualcuno, che avrebbe avuto tutte le carte in regola per farcela, non ce l’ha fatta, oppure qualcuno che non aveva particolari aspirazioni, ma non aveva nemmeno alcuna colpa, è finito male.
Perlopiù si ritiene che "egregio" significhi insigne, eccellente oppure (egregious in inglese) madornale, tremendo asociale. Ma la sua storia è assai più interessante. Etimologicamente significa "fuori del gregge": e il Grande Tiratore, figura centrale dell'ultimo romanzo di Kurt Vonnegut, ha appunto tali caratteri. Un colpo casuale, sparato a dodici anni e che raggiunge in mezzo agli occhi una signora a otto isolati di distanza, spiega il suo appellativo e l’origine della sua separatezza. Cresce a Midland City, che è l'esatto opposto di Shangri-La, il mitico paese di Orizzonte perduto: qui, nell'Himalaya, nessuno moriva (anzi, si rimaneva miracolosamente giovani), mentre nella cittadina dell'Ohio son morti tutti per una bomba al neutrone. In realtà, ciò che Vonnegut racconta è come fossero già morti prima, annichiliti da una loro "nientità", da un loro speciale fallimento; e forse il Grande Tiratore è sopravvissuto agli altri perché ha trasformato i caratteri comuni in intenzione, nella volontà di essere "neutro", azzerato, non irrelato ad alcunché.
La diversità che gli scrittori della beat generation affidavano ancora a un potenziamento romantico dell'«io» è dunque qui il risultato di una sottrazione. Ma come in Dissipatio H.G. di Guido Morselli, cioè come tutte le storie in cui rimane un solo individuo e tutto il resto scompare, l'operazione ha un senso opposto: il mondo sopravvive ed è l'individuo a venir meno.
Questa dissipazione è stata narrata nei primi decenni del Novecento europeo come tragedia dell’interiorità, non più corroborata da un’idea metafisica delle cose, mentre nel romanzo americano sceglie più spesso la via della commedia e del comico, affidando a un riferimento sociale, a un "sogno" quasi mai realizzato, l’'irriducibile disimmetria dell'individuo. Eppure, in un modo e nell'altro, sentiamo che le cose, tra Mondo e Io, si sono fatte molto più sottili e sfumate, più complesse; che certi vuoti sono stati già riempiti, come i calchi dei corpi sepolti dalla lava a Pompei ed Ercolano, e che è questo mutamento che vorremmo leggere o raccontare nei romanzi.
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