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Messaggi in bottiglia inviati da Vonnegut a un mondo impazzito


di Maria Sebregondi


Abracadabra potrebbe essere l'equivalente italiano dell'espressione Hocus Pocus che dà il titolo all’ultimo corrosivo romanzo di Kurt Vonnegut junior. Lo scenario è subito traumaticamente chiaro: siamo nel 2001, in un'America agonizzante svenduta ai giapponesi, l'indicibile è lì, a portata di mano - come sempre dopo Auschwitz, Dresda, Hiroshima- e nessuna palingenesi millenaristica è avvenuta. La formula magico-ritualistica con il suo corredo di imbrogli e turlupinature troverà un preciso riferimento nel corso della lettura, ma è da subito piena di suggestioni sullo strano, sfigurato rapporto tra parole e cose. Curioso è che la sua probabile etimologia sia una deformazione dell'espressione religiosa Hoc est corpus. Ed effettivamente questo romanzo crudo, impietoso, traboccante di invenzioni e di ironia descrive un corpo, il corpo individuale e sociale, l'umanità e il suo pianeta, filtrati dallo sguardo mobilissimo e geniale, irresistibilmente umoristico e indubitabilmente depresso del suo autore. E quel che il lettore si trova a percorrere è un corpo smembrato, un'umanità e una storia frantumate, a brandelli come il testo che gli viene proposto. Vonnegut, infatti si presenta come redattore di un libro che l'autore, certo Eugene Debs Hartke, non disponendo di fogli ad hoc, ha scritto con il lapis su tutto quello che gli capitava, pezzi di carta di ogni genere, retro di biglietti, carta da pacchi. I diversi brani, di lunghezza variabile, a volte anche di un solo rigo, corrispondono al singoli pezzetti di carta. Ciascuno di essi diventa così una specie di messaggio nella bottiglia e da un ritmo sincopato alla lettura, come se il testo fosse un brano di musica jazz, pieno di variazioni e improvvisazioni. Difficile riassumere come, avendo per un verso questo desiderio e per un altro essendo stato accettato nell’Università del Michigan, sia invece finito all'Accademia di West Point, e poi in sequenza: combattente in Vietnam, reduce sgradito con moglie e suocera fuori di senno, docente in un improbabile college per dislessici, insegnante di ergastolani nel super-carcere di Athena, direttore dello stesso carcere dopo la Grande Evasione e ora estensore della propria stralunata biografia in una biblioteca di 800,000 volumi che nessuno ha mai letto né leggerà mai, in attesa di essere processato per insurrezione armata contro lo stato. A ogni pezzetto di carta corrisponde un piccolo agguato del destino. Non c'è un principio regolatore, non c'è un ordine, il destino coincide con la casualità e il caos, La dislessia degli studenti del Tarkington College è la dislessia del mondo, un mondo impossibile a leggersi. Pur arrivando magari a decifrarne i singoli segni, è la loro sequenza che risulta incomprensibile. Il libro dell'universo, se pure c'è, non è fruibile. In questo caos Vonnegut è però, per parte sua, generosissimo di segni e che distribuisce a piene mani in immagini, personaggi, storie, ognuno dei quali apre potenzialmente un nuovo punto di fuga.

Straordinaria ed esilarante la quantità di invenzioni che Vonnegut riesce a produrre in un grande gioco dell'intelligenza. A lettura finita, estraendo foglietti dalla memoria, vengono fuori in ordine sparso: una mongolfiera a forma di castello; una rivista porno, La giarrettiera nera, su cui è pubblicato un racconto di fantascienza che costituisce la summa filosofica del narratore, un Esercito di Occupazione Giapponese in Doppio Petto. E ancora, tra i foglietti di un solo rigo, quello con su scritto "Che imbarazzante. essere umani!".






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