Dracula, clandestino romeno a Roma nel film voluto da Verdone
di Valerio Cappelli
Carlo Verdone si ritaglia una piccola parte, pizzetta alla moda, stivali a punta, è il commissario duro all'americana in «Zora la vampira», film da lui coprodotto in uscita venerdì, con Micaela Ramazzotti e altri volti poco noti.
Autori gli esordienti «Manetti Bros.», Marco e Antonio Manetti, due trentenni romani, cresciuti nell'unica casa popolare del rassicurante quartiere Prati, che sono partiti da una domanda non di tutti i giorni: «Se oggi Dracula venisse a Roma, che cosa succederebbe?», Risposta: «Sarebbe un clandestino romeno, quindi senza una lira. Tutt'al più si poteva permettere un garage al Prenestino».
E all'estrema periferia si è concepita la «filosofia» del film: «Si dice che gli immigrati vengono a succhiarci il sangue, come Dracula. Ma i peggiori vampiri sono quelli in giacca e cravatta». Dracula vede le ballerine della Carrà in tv e sbarca per succhiare sangue fresco, abbagliato dal varietà. Troverà invece, come gli albanesi del film «Lamerica», di Gianni Amelio, un'altra Italia.
Verdone, che film è? «Un fumetto, un horror, una favola piena dei colori dell'epoca che stiamo vivendo», Verdone ha preso tempo. Conosceva i Manetti bros. Dai tempi del loro videoclip su Alex Britti, ora li ha sotto contratto per scrivere assieme il suo prossimo film: «Sarà un fuoco d'artificio che chiuderà il primo tratto della mia carriera. Poi farò cinema di respiro europeo. Ho dato la mia esperienza, in cambio ho avuto energia e adrenalina. È costato 4 miliardi e mezzo. Non poco. Il. mio esordio, "Un sacco bello", prodotto da Sergio Leone, nel ‘78 costò 350 milioni».
Si parla di cultura hip-hop e di centri sociali. Piacerà, Verdone?
Dividerà il pubblico. È giusto così», Il film parla dei pregiudizi.
Ma vengono anche dai centri sociali. Gli autori dicono che non hanno dato il permesso per girare lì il film. «Hanno trovato caricaturali i personaggi, cattiva immagine. Se anche i centri sociali parlano di immagine, siamo messi male>».
È un sottoproletariato lontano dal «Piotta»: meno kitsch, più ideologizzato. La colonna sonora ha un peso importante, hip hop e centri sociali sono accomunati «dall'esigenza di sopravvivenza».
Il triangolo si chiude con la chiesa, che fa una bella figura. «I religiosi guardano all'immigrazione in modo più aperto di tanta sinistra».
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