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x 80 anni di amore e horror


di Giuseppina Manin


Il 3 novembre saranno 80 anni. Pupi Avati, come li festeggerà?

«Con il premio Jacques Le Goff che riceverò all'Università di Bologna per i miei studi storici. E poi cena in famiglia».

Dopo tanti riconoscimenti di cinema, uno per la storia.

«Due passioni parallele che convivono nei miei film. Perché la storia, maiuscola o minuscola, si intreccia sempre con le vicende degli uomini. Anche le più private».

Anche le più terribili, come nel suo nuovo film, «Il signor diavolo», un horror ambientato nel profondo Veneto anni 50, dove la religione si mescola alla superstizione e regna la Dc.

«Una storia diabolica, il cui finale ha spaventato persino me che l'ho scritta. Ho girato a Comacchio tra canali, nebbie, paludi. Luoghi devastati dall'alluvione del novembre '51, che spazzò via case e campagne. Con i cimiteri allagati e le bare che galleggiavano per le strade. Una catastrofe naturale che nel film rischia di trasformarsi in catastrofe politica per via di un delitto inaudito. Con la gente che si aggrappa a Dio e al Diavolo».

Lei è noto per commedie che parlano di gite scolastiche, regali di Natale, ragazze dal cuore grande ... Un Pupi sorridente che ne nasconde uno luciferino.

«Il mio primo film è stato Balsamus, l'uomo di Satana. E ora, 50 anni dopo, il diavolo torna da protagonista. E nel mezzo c'è stata anche La casa delle finestre che ridono. Stavolta però è anche peggio, è una storia di bambini posseduti, capaci di compiere azioni terribili ... Il diavolo non mi dà tregua. Alla fine è diventato un compagno di viaggio, a cui cerco di dare credito visto che nessuno lo considera più».

In che senso?

«Ormai è una figura cancellata. Non solo dai laici ma dalla Chiesa stessa. Non ricordo un'omelia dove sia citato. E questo è davvero diabolico perché toglie di mezzo anche Dio, visto che il sommo bene non può esistere senza il sommo male. Ma forse le due realtà coincidono, siamo impastati di entrambe».

Lei ha fama di cattolico, ma all'Eterno ci crede?

«Lo inseguo da sempre ma mi sfugge. Vado in chiesa ogni giorno per pregare Dio di esistere. Di darmi una prova per dar senso alla vita. Non voglio che tutto finisca qui.

Continuo a spiare la realtà alla disperata ricerca di un indizio. Come Carlo, il bambino de Il signor diavolo, pronto a vendersi l'anima per richiamare l'amico scomparso e ricevere da lui quel segno promessogli sul letto di morte».

Un bambino che è nato come lei il 3 novembre 1938 ...

«L'ossessione di Carlo è la mia. Non dimenticare i morti, non essere dimenticato. A casa dei miei c'erano 25 foto in cornicette dorate, una sorta di albero genealogico. Le ho portate da me, via via ho aggiunto foto di altri morti, amici, parenti ... Adesso sono 150 appesi alla parete. Ogni sera prima di dormire vado a salutarli. Leggo i loro nomi uno a uno per farli esistere ancora.

Nella cultura contadina la notte di Capodanno nelle stalle si diceva il rosario dei morti, elencando quelli che se n'erano andati nel corso dell'anno. Vivi e morti tutti insieme. Lo spiritismo è la versione horror di tutto questo».

Rituali magici, poetici, spaventosi.

«Come quelli dei bambini. Da vecchi si torna all'infanzia, stesse paure, stesse fragilità ... Si piange, si ride più spesso, si è più capaci di progettare cose irragionevoli» .

Se i segni non arrivano, per cosa vale la pena vivere?

«Per l'amore. Quello con mia moglie dura da 54 anni. Lei era bellissima io bruttacchiotto, l'ho corteggiata quattro anni, mi ha detto si per sfinimento. Le ho fatto mille promesse, tutte tradite. Ci siamo amati, lasciati, ripresi. Nei suoi occhi vedo la mia vita, da quando vendevo surgelati a quando suonavo il jazz ... Tutto in quello sguardo. Tante storie d'amore finiscono perché non si ha il coraggio di andare avanti e scoprire quanto straordinarie possono diventare. Adesso ci amiamo più dell'inizio, più di 30 o 40 anni fa. Bisogna crederci all'amore. Sarà il tema del mio prossimo film, Lei mi parla ancora, tratto dal libro di Giuseppe Sgarbi. Protagonista Johnny Dorelli, 83 anni. Bisogna essere vicini alla morte per poterla sfidare. Per opporre al suo crudele "mai più" un folle "per sempre"».






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