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Due romanzi di Samuel R. Delany


di Giuseppe Lippi


Quando parliamo di Delany facciamo di solito mente locale alla più recente evoluzione della fantascienza americana; è bene tuttavia valutare quest’autore al di là di ogni contesto prestabilito, poiché ci sembra che la sua personalità e le doti che dimostra lo distanzino notevolmente anche dai più giovani colleghi, quelle nuove leve della SF tra le quali evidentemente si è formato.

Nel quadro di una comune ricerca di una nuova dimensione (sia letteraria che umana) nella quale far rivivere le passate esperienze della science fiction, approfondendole e sollevandole dall'ambito angusto del luogo comune, Samuel R. Delany ha vissuto la propria esperienza con coscienza assai più vasta di altri colleghi; si è instradato già dal primo romanzo, I gioielli di Aptor (1) (che è anche il primo di cui ci occupiamo qui), in una particolare ricerca di un nuovo sence of wonder, e l'ha definito in modo assai diverso da quello tradizionale: le sue meraviglie sono meraviglie letterarie, il fascino del racconto, verrebbe da dire, è quasi indipendente dalla trama del racconto, e risiede piuttosto nella sua tecnica. Il lettore di fantascienza fino a ieri abituato al distacco narrativo, alle descrizioni "cinematografiche", qui si trova di colpo coinvolto in una girandola di emozioni che quasi escono dalla pagina e si imprimono in rilievo nella sua mente.

I gioielli di Aptor è un romanzo nel quale ravvisiamo già tutti gli interessi e le possibilità del nostro, e una sua lettura retrospettiva (conoscendo ad esempio Nova o Babel 17 o Einstein perduto) non può che giovargli; in primo luogo vi troviamo un'accoppiata che, sia pure attraverso qualche metamorfosi, rimarrà molto cara a Delany: dei due o tre protagonisti, uno rappresenta l'azione, la forza o l’astuzia (ma non nel senso che si potrebbe credere, di caratterizzazione macchiettistica; Delany vuole sottolineare un carattere, una disposizione, che sono in fondo una delle strade per arrivare alla scoperta delle nuove meraviglie cui è interessato), l'altro è il poeta (e in Nova, con più accortezza, il poeta diviene l'intellettuale in senso compiuto); come dire appunto due vie differenti ma convergenti, mediante le quali è possibile avviarsi alla scoperta di nuovi mondi; nello spazio, certo, ma anche in noi, poiché chi è ancora capace di entusiasmo, chi sa meravigliarsi, ha trovato infine la fonte di tutte le possibili conquiste umane.

Ecco dunque in che cosa consiste il particolare sense of wonder di Delany, interiorizzato ed "estetico"; che, nei Gioielli, si fonde con un altro tipico aspetto del mondo delanyano: quello favoloso, e diciamo noi per precisione, fiabesco.

Nei Gioielli siamo in un clima inequivocabilmente fantasy; ma è azzardato usare questa etichetta perché non c'è nessun elemento che possa indurre a paragonare il romanzo con la fantasia eroica classica (genere di avventura in "esterni" e di prodezze a livello incosciente per antonomasia), né col fantastico tout court. In questo senso almeno vorremmo giustificare la nostra definizione di fiabesco (visto che qui non siamo propriamente né in science fiction né in fantasy); e cioè considerando che nei Gioielli non soltanto gli eventi dichiaratamente straordinari sono tali, ma lo è al limite, lo stesso contesto nel quale si svolgono, ossia il mondo che ne è teatro; il che è quanto avviene precisamente nelle fiabe, un tipo di letteratura proprio per questo, a nostro avviso, non fantastico. Questa discriminante e certo soggettiva nel giudizio che contiene implicito, però se giustamente intesa può aiutare a comprendere lo spirito dell'opera.

Tutto ciò, dalla ricerca di nuove meraviglie dell’uomo, al gusto di un sapore favoloso, è attuato da Delany in piena coscienza; è la tecnica (naturalmente non in senso riduttivo) attraverso cui si esprime il suo mondo; un mondo speranzoso, stupefacente, irrequieto ("zingaresco", verrebbe da concludere) anche se, nei Gioielli ancora troppo impulsivo e sfrenato.

La riflessione, l'inquadramento di questo mondo in un contesto anche ideologicamente maturo, li troviamo pienamente in Nova (2), il secondo romanzo che qui esaminiamo e anche l'ultimo finora scritto da Delany. Un libro la cui complessità è giustamente sottolineata, e che non si esaurisce a nessuno dei vari livelli in cui può essere letto; è necessario coglierli tutti per averne il senso compiuto.

Un primo livello di lettura può essere rappresentato dalla "storia", e ognuno di noi lo inizia con l'occhio alla trama. In questo senso ci accorgiamo subito che c'è anche qui quella particolare tecnica "favolosa" di cui abbiamo parlato nei Gioielli; ma in Nova la troviamo applicata a un contesto tradizionalmente fantascientifico.

Un uomo, ricchissimo e giovane, è disposto a gettarsi nel centro di una "Nova", ed è anzi la cosa che più desidera al mondo. Altri due giovani. non meno ricchi e potenti di lui, intendono precederlo. La gara che si instaura ha del mostruoso, e mostruosa appare la stella che domina in sospeso su tutto il romanzo.

Sorge la domanda: perché tutto ciò? Passiamo allora ad un secondo livello di lettura (le spiegazioni sulla ricerca dell’Illyrion che nasce nel cuore delle Novae sono le più superficiali; anche se danno modo a Delany di descrivere una civiltà galattica, che ne dipende, organizzata con grande coerenza.

Lorq von Ray – come del resto i suoi avversari Prince e Ruby Red + è mosso non già da eroismo quanto invece da noia mortale, da una feroce routine cosmica. Nova non è come potrebbe sembrare, un romanzo epico, un’iliade galattica - se mai ve ne fosse bisogno. L'Iliade è epica perché Omero cantava il trionfo dell'aristocrazia achea, che era interessato a mostrare in luce eroica; mentre Delany vuol fare semmai il contrario: mostrare la decadenza di una plutocrazia cosmica, ormai sull'orlo del baratro.

In Nova il tono epico dipende dunque dall'abilità di Delany nel dipingere un affresco di vastissime proporzioni (narrative, poiché gli ambienti variano solo relativamente); c'è insomma un'epica fittizia, estetica: non certo ideologica. Ed è in questo che sussiste la struttura del libro, dando uno speciale spessore ai "fatti".

I personaggi positivi, Katin l'intellettuale e il Sorcio, lo zingaro Miccia Cyborg, non sono del resto eroici: sono figure liriche, e coscienti, la cui ricerca di valori (qui molto meglio evidenziata che nei Gioielli) possiede un fascino unico. Viene da dire che in essi non c'è bisogno di eroismo: è, fin troppo evidente che l'umanità futura è rappresentata da loro, che il domani è nelle loro mani.

A un terzo livello si può vedere questa opposizione di ceti e di personalità come lotta tra passato e futuro (il presente è la lotta), a un quarto sconfinare dallo stesso soggetto per avvicinarsi ai molteplici addentellati culturali, alle anticipazioni di felici intuizioni contemporanee che sono nel romanzo (come la idea di mito, magia e scienza fusi in un'unica nuova prospettiva).

Ad un ennesimo livello ancora, il problema della creazione artistica, dell'utilità di scrivere comunque un romanzo (successivamente parafrasata come novella ricerca del Graal), agita il libro ed è la prova migliore della coscienza vasta di Delany e del suo impegno.

Certo Nova è un'opera unica; e quanto i suoi insegnamenti valgano per lo sviluppo della science fiction è difficile dire. Del resto ci pare opportuno sottolineare che questa è una via percorribile da un talento come Delany, non da chiunque. Ma è una via aperta al domani della fantascienza, nel senso almeno che anche nel nostro "genere" sembra essersi aperto quel "buco nel cielo di carta" attraverso il quale filtra la coscienza.


(l)-I GIOIELLI DI APTOR (The Jewels of Aptor) - Fantacollana n. 1 - Editrice Nord - pag. 230 - lire 2200

(2)-NOVA (Nova) - Cosmo n. 22 - Editrice Nord - pag. 210 - lire 1500






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