Pitt viaggia nello spazio a va alla ricerca dell'io
di Maurizio Porro
Più Brad Pitt si allontana dalla Terra in stratosferica direzione degli anelli di Nettuno, più si avvicina al proprio io; alla propria identità, al proprio vuoto interiore e alle proprie domande inevase nel tempo, che diventa Tempo. E non a caso il coraggioso astronauta parte in tuta e malinconia, per cercare dove è finito o dove si è nascosto il padre scomparso 10 anni prima in missione e che è forse causa delle tempeste magnetiche che hanno colpito il figlio nell'elettrizzante inizio di un'avventura che ci porterà in luoghi sconosciuti del mondo.
Figlio di un presunto eroe, Clifford viaggia fino ai confini del sistema solare ma non riveliamo chi e cosa troverà perché fa parte della fatidica domanda se ci sia vita negli altri pianeti. È la prima missione fantascientifica di James Gray, personale autore dell'America anni 90 (Little Odessa, Padroni della notte): se in Civiltà perduta un padre partiva per l'Amazzonia, qui è un figlio che si dirige verso l'infinito e oltre.
Arduo girare uno sci-fi senza citare i grandi. momenti vissuti e Gray non può che confessare il debito verso Apocalypse now (Coppola & Conrad) e ovviamente 2001 Odissea nello spazio che muove il cinema e le stelle, confessando però di essersi emozionato anche con un film tedesco de1 1925 già senza forza di gravità.
Lo spazio in versione intimista, se non ci si chiama Kubrick (o Tarkovskij), è un problema, che subiva anche Gravity. Ora Ad Astra mette in rilievo nel suo andamento fantamonocorde, le «asperità» per coniugare due sistemi di cinema, due mondi paralleli, come dalla latina citazione del titolo ("per aspera ad astra").
Incastrato tra due ex space cowboy di Eastwocd, Sutherland e Tommy Lee Jones, il padre ritrovato, Brad Pitt fa un volo difficile dentro se stesso non sempre riuscendo ad esprimere il lato invisibile della storia, ricoperto da tute, tubi e caschi, forse non scontento di lasciarsi alle spalle Liv Tyler e famiglia.
Il primo film di Gray distopico e alle prese con una major (Fox), scritto con Ethan Gross, gli ruba una parte della sua personalità spigolosa che sapeva inerpicarsi tra molti generi, sempre col massimo comun divisore, qui ribadita, della massima disillusione verso il genere umano; che forse si trova meglio rintanato nello spazio. Ma nell'Odissea di Gray, Brad Pitt non è assolutamente Ulisse, è un uomo alle prese con qualcosa che lo sovrasta, esposto alla stupefatta meraviglia del silenzio spaziale, è un figlio che cerca il padre come nella tradizione del teatro e della letteratura americani e vuol chiedergli perché l'ha abbandonato.
Nella bellezza stratosferica del digitale ci perdiamo finchè lo spettacolo diventa cosmica stilizzazione della condizione umana e parte un urlo silenzioso che non arriva perché Pitt è solo un involucro perfetto.
Voto: 7
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