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George R.R. Martin


di Massimo Gaggi


"I miei racconti ambientati in un Medioevo fantastico non vanno interpretati come un'allegoria della modernità. E poi, quando ho cominciato a scrivere la mia saga, nel 1991, la sensibilità per i problemi dell'ambiente era molto ridotta. Ma è lecito leggere nella minaccia dei White Walkers, gli "estranei" relegati oltre la Barriera di ghiaccio che separa le terre occidentali di Westeros dal grande Nord gelido e selvaggio, un monito per l'enorme sottovalutazione di questioni essenziali per il futuro del genere umano come quella del global warming".

Da decenni George R. R. Martin trascina milioni di fan nei viaggi fantastici delle sue Cronache del ghiaccio e del fuoco.

Uno straordinario successo letterario divenuto un fenomeno planetario con la trasposizione televisiva della saga realizzata da Hbo: la serie Game of Thrones (Il Trono di Spade nella versione italiana), trasmessa in 170 Paesi, è il programma più visto della storia della tv.

Moderno oracolo, l'autore è seguito da un popolo di fedeli costantemente impegnati - in circoli, convention, eventi pubblici e privati - a cercare di ricostruire i pezzi mancanti nella sua narrazione: in loro c'è adorazione ma anche ansia e un po’ di risentimento perché la conclusione della saga, con la pubblicazione degli ultimi due libri, continua a slittare.

«La Lettura» incontra Martin a New York, insieme con alcuni giornalisti di altre testate internazionali, martedì 20 novembre, giorno della pubblicazione del suo nuovo libro, Fuoco e sangue (edito in Italia da Mondadori). Giacca, camicia e pantaloni neri, il solito berretto da portuale calcato sulla fronte, l’autore risponde su tutto: il rapporto con i personaggi dell'universo narrativo che ha creato e le sue idee politiche, il rapporto con il successo e quello con il denaro, la gioia di scrivere e la fatica di scrivere. E anche le difficoltà incontrate nella stesura di The Winds of Winter, l'attesissimo sesto libro della saga. Così è arrivato prima un libro diverso: questo.

Fuoco e sangue racconta il mondo della dinastia dei Targaryen, la Casa regnante nei 300 anni precedenti gli eventi narrati nella saga delle Cronache. Un'opera di fantasia costruita con lo stile, la precisione e la ricchezza di dettagli di un libro di storia scritto con un linguaggio popolare: «Un libro non facile da completare, ma più facile di The Winds of Winter che non è un racconto, ma la narrazione estremamente complessa di dodici storie diverse che si intrecciano in vari modi, ognuna con i suoi protagonisti, amici, avversari, amanti», spiega l'autore. Che, però, sentendo la pressione di un pubblico esasperato dall'attesa, dal momento che sono passati oltre sette anni dalla pubblicazione dell'ultimo volume della saga, ora promette di chiudersi in una baita di montagna in un luogo segreto per completare la stesura del penultimo libro delle Cronache. Incurante del fatto che nel frattempo, il prossimo aprile, Hbo trasmetterà le puntate della serie finale della sua versione della saga. Con una conclusione della battaglia per la conquista del trono dei Sette Regni di Westeros dopo decenni di scontri sanguinosi e agguati, inevitabilmente diverso da quello che Martin non ha ancora scritto.

L'ambientazione fantastica dei suoi romanzi ricorda quella del «Signore degli Anelli». Ma mentre nel mondo di Tolkien, con il Bene e il Male nettamente divisi, incontriamo re buoni che governano con saggezza per decenni, le «Cronache» sono piene di personaggi dai comportamenti meno nitidi, più contraddittori. Un monito contro gli eccessi di idealismo di chi, come molti liberal, guarda alla politica come a un'arte nobile? Vengono in mente le parole di un ministro socialista del mio Paese, l'Italia: anni fa Rino Formica replicava a chi gli contestava uno scarso idealismo che la politica è sangue e merda.

«Beh, è una cosa un po’ diversa dal sangue e fuoco del mio nuovo libro, ma è vero che i miei personaggi sono diversi, più umani, più pieni di passioni e contraddizioni di quelli di Tolkien. Lo ammiro e lui è stato per me una grande fonte d'ispirazione. Ma siamo molto diversi: lui un erudito monarchico. Io il figlio di uno scaricatore di porto cresciuto nella povertà dei quartieri operai e delle case popolari di Bayonne, New Jersey, Sono un progressista di idee liberal affascinato dalle storie medievali di re, cavalieri e città fortificate, ma che di certo non vuole tornare a quel mondo. I miei eroi politici sono John F. Kennedy e ì due Roosevelt: Franklin Delano e Theodore. E anche quando scrivo storie fantastiche, tengo conto della realtà: non esiste gente perfetta, re che governano con saggezza per cent'anni. Nella realtà, come nei miei romanzi, puoi trovare un malvagio che, conquistato il potere, si rivela un buon re, o eroi che diventano pessimi governanti.

Abbiamo anche stili di scrittura diversi: io entro più nei dettagli, Tolkien lascia molto sospeso a mezz'aria. Il suo mondo, ad esempio, è popolato di orchi che alla fine della storia non si capisce dove vadano a finire. Arriva il momento della loro redenzione? C'è un genocidio degli orchi? Non si sa».

La minaccia incombente che si cerca di contenere edificando un muro a qualcuno ricorda quello anti-immigra di Tramp. Che a volte ha pronunciato frasi che sembrano ispirate a passi celebri della sua storia.

«Non credo di aver ispirato Trump in alcun modo: Trump non legge libri. Per il resto può immaginare come la penso: sono figlio d'immigrati, la statua della Libertà è un simbolo nobile, ne sono fiero.

Quanto alla minaccia incombente, mi sono ispirato alla tendenza degli uomini a ignorare i grandi pericoli che si addensano all'orizzonte, assorbiti dalle piccole questioni della vita quotidiana. Pensi all'era di Tolkien, quella tra le due guerre mondiali. Se sfoglia i giornali degli anni Trenta vedrà che nell'era di Hitler e del nazismo dilagante l'attenzione era concentrata sulla disoccupazione, i tagli alla difesa per risanare il bilancio pubblico, l'estensione dell'assistenza sanitaria. Cose importanti, certo, ma i nazisti stavano per travolgere tutto. Oggi è la stessa cosa: ci preoccupiamo di altro, mentre dovremmo difenderei dai cambiamenti climatici che minacciano il genere umano. E dai nuovi nazisti. Credo che questa sensibilità, più che dalle mie idee politiche, venga dal modo nel quale mi sono avvicinato alla letteratura fantastica».

In che senso?.

«Quando ho incominciato ad occuparmi di fantascienza non ho puntato su filoni, come quello cyberpunk, che descrivono un futuro prossimo: il mondo tra dieci anni. Ho scelto il futuro remoto delle guerre dei mondi, le invasioni degli alieni che obbligano i popoli della Terra a coalizzarsi per respingere la minaccia esterna. Così nella mia testa non ci sono mai state differenze tra americani, cinesi o messicani. Racconto i muri, ma non li voglio. Le città fortificate mi affascinano ma sono roba di un'altra era, un'era feroce. Oggi vanno bene per il turismo».

Le «Cronache» e «Il Trono di Spade» televisivo narrano la battaglia per la conquista del potere a Westeros. In lotta soprattutto le case degli Stark e dei Lannister - che a molti hanno ricordato gli York e i Lancaster della Guerra delle Due Rose nell'Inghilterra del XV 'secolo - dopo la sconfitta della dinastia regnante dei Targaryen. Rispetto a questo, «Fuoco e sangue» è un prequel: un salto in dietro di trecento anni per raccontare la storia di questa casata che prende il potere nei Sette Regni anche grazie alla sua capacità di usare i draghi. Che a molti ricordano le guerre moderne, perfino il concetto di superiorità aerea; mentre altri ci vedono la metafora della bomba atomica.

«Armi nucleari, bombardamenti a tappeto o quello che volete voi: i draghi nella mia narrazione sono una forza distruttiva. Danno ai Targaryen la capacità di distruggere, sterminare, conquistare, ma non quella di governare. Con il rischio di una proliferazione micidiale, come l’atomica passata da America e Russia a Paesi come Pakistan o Corea. Nel mio racconto, però, i Targaryen, oltre a quello dei draghi, hanno un altro vantaggio: una certa dose di poteri profetici. In alcuni momenti riescono a vedere il futuro, ma non sempre in modo perfetto, e non sempre interpretano nel modo giusto le loro visioni.

Anche nei suoi racconti, sicuramente più minuziosi e didascalici di quelli di Tolkien, ci sono spunti e suggestioni che non trovano una spiegazione precisa. Mostra la punta dell'iceberg per costringere il lettore a scavare sotto?

«È vero, in questo la mia tecnica è simile a quella di Tolkien: seminare qua e là indizi e misteri per costringere il lettore a ragionare e lasciar correre la fantasia. Cercare soluzioni o, almeno, costruire teorie plausibili».

Il lettore adesso soffre per l'attesa.

«Soffro anch'io. Avrei voluto completare The Winds of Winter anni fa. Ma, le ho detto, è un lavoro complesso: ci sono giorni in cui sei contento di quello che hai scritto ed altri nei quali sbatti la testa contro la tastiera. Pensi che non ne verrai mai fuori: notti nere nelle quali ti dici che dovresti cambiare nome e scomparire nell'Artico. Comunque, non è che in questi sette anni io sia stato in vacanza: ho scritto altri libri, curato programmi televisivi, coltivato le comunità dei fan».

Nel suo racconto ci sono donne umiliate e stuprate, ci sono prostitute. Ma le protagoniste femminili sono al centro della narrazione: spesso sono i personaggi più forti, come Cersei Lannister, la regina dei Sette Regni, o Daenerys Targaryen. Che immagine vuole dare delle donne? Cambierà la sua narrazione nell'era di #metoo?

«No, scrivo senza farmi condizionare dal genere o dall'etnia dei personaggi. Quelli femminili di rilievo nella saga sono almeno diciassette. Diciassette! Molto diversi tra loro».

Perché continua a scrivere con il sistema Wordstar 4.0, una tecnologia che risale alla metà degli anni Ottanta?

«Ho due computer: uno di ultima generazione per consultare le email e fare altre cose. Ma per scrivere, sì, uso il vecchio sistema: niente connessione internet, niente rischio di virus o di attacchi di hacker. Devono venire a casa mia e frugare nei cassetti per rubarmi i floppy disk, ma non succede».

La celebrità, la pressione dei fan, il denaro hanno cambiato le sue abitudini di lavoro?

«Sento la pressione, ma quando comincio a scrivere entro in una specie di trance: sono a Westeros con i miei personaggi, con Jon Snow e Daenerys, e tutto il resto scompare. Il denaro è importante, ma non decisivo. Per dieci anni, dal 1985 al 1995, ho lavorato a Hollywood. Prima mi sono occupato di produzioni come la versione televisiva de La bella e la bestia. Poi mi hanno chiesto di scrivere nuovi soggetti. Mi pagavano benissimo: in cinque anni ho guadagnato più che nel resto della mia vita. Ma sono stati per me gli anni più miserevoli: scrivevo sceneggiature che non diventavano produzioni. Scrivevo per quattro o cinque capi degli studios, mi mancava l'audience».

Ha parlato della sua infanzia a Bayonne, figlio di un portuale. Di origini italiane ...

«Sì, il cognome di mio nonno era Massacola. Ho indagato sui miei antenati e fornito il mio Dna. Non posso rivelare nulla perché su questo è stata costruita una puntata della nuova serie televisiva di Find Your Roots (trasmissione Usa che risale l'albero genealogico di personaggi celebri, ndr) che andrà in onda a gennaio. Ma le posso dire che ho avuto due grosse sorprese: non sono l'uomo che credevo di essere».






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