di Rudy Salvagnini

Due amici che hanno in comune la passione per il motociclismo, decidono di fare, assieme alle loro mogli, una vacanza invernale nel Colorado a bordo di un attrezzatissimo furgone-roulotte. Una notte sono testimoni di un sacrificio umano, compiuto durante un sabba, e fuggono a stento dalla caccia dei celebranti che si sono accorti di loro.

Da quel momento inizia una fuga disperata, costellata di incidenti inspiegabili, nella quale tutti coloro ai quali chiedono aiuto sembrano essere agenti del male. L’angoscia claustrofobica (sebbene il film sia girato quasi tutto in esterni sulle lunghe autostrade americane) giunge al culmine quando parecchie auto si mettono a speronare il camioncino in un drammatico carosello al quale i personaggi sfuggono per miracolo. Finirà male per loro, con una svolta un po’ troppo sbrigativa.

Eccellente thriller sociologico, "In corsa col diavolo" riprende in forma fantascientifica gli spunti di un famoso film con Fonda, "Easy Rider", sostituendo gli hippies di quello con i borghesi integrati di questo e testimoniando dello smarrimento da parte della borghesia americana di fronte ad una società violenta della quale sono responsabili e vittime. Elementi di "Rosemary’s Baby" (la costante ambiguità degli "estranei", inquietanti entità sconosciute), "Duel" (l’inseguimento sull'autostrada e la metafora di base) e "La notte dei morti viventi" (gli abitanti come malefici demoni, con riferimento in ambedue i casi agli abitanti del Texas, lo stato più reazionario dagli USA) si fondono perfettamente dando al film una carica inquietante che la regia un po’ sbrigativa di Starrett non sminuisce.

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