La FS di Calvino
di Roberta Silvietti
Tra le opere di Calvino, le più note sono quelle che troviamo immancabilmente nelle biblioteche scolastiche: "Il visconte dimezzato", "Il cavaliere inesistente", "Marcovaldo" ecc.. Il loro contenuto è "favolistico" per definizione, e il termine sembra precludere a priori ogni tentativo di impegno sociale. Al massimo ci si limita a indicare il simbolismo più trito della trama: il visconte dimezzato, il cavaliere che non c' è, il barone che vive sugli alberi divengono così facili immagini dell'uomo di oggi sradicato, dalle sue origini attraverso i meccanismi spietati del progresso. Bello, ma… è tutto qui? In realtà, sotto c'é molto di più. E tutti i significati profondi delle favole di Calvino trovano uno sbocco logicamente prevedibile e necessario nella "fantascienza". Metto "fantascienza" tra virgolette, perché i critici devono ancora decidere se tale etichetta, che evidentemente secondo loro esclude un tentativo di denuncia o di impegno sociale-politico è applicabile alle opere recenti di Calvino, contraddistinte da una metafora amara ma non priva dì speranza.
Nell’ultima raccolta prima dell'esperienza fantascietifica, "Marcovaldo", venivano alla luce i problemi metafisici che gravano sull'uomo allorché, tra i rumori del traffico e la giungla delle insegne luminose, riesce a intravedere sopra di sé il cielo stellato.
È una meraviglia che rasenta lo sgomento, eppure anche nell'angoscia di trovarsi di fronte al mistero dell’Universo, il sentimento che prevale è la gioia, la dolcezza di ritrovare per un secondo l'armonia del proprio essere incompleto con il cosmo. In "Marcovaldo" l'uomo è sconfitto dai ritmi della civiltà, la sua meraviglia nei confronti dell’Universo è offesa, schiacciata, soppressa e strumentalizzata dal consumismo: ma Calvino ha ormai compreso che l'esperienza umana sulla Terra è diventata troppo ristretta per i suoi intenti letterari; lo scrittore ligure vuole infatti rappresentare l’incomunicabilità tra gli esseri a partire dai primordi, vale a dire dalla formazione dell'Universo. Così nel 1965 nascono le "Cosmicomiche", È in questa raccolta di racconti che l'allegoria di Calvino supera i confini ristretti della storia dell'uomo e accetta il confronto e la partecipazione con le moderne teorie cosmogoniche. Il tema dell'incomunicabilità offre a Calvino la possibilità di sviluppare in ogni racconto un aspetto del rapporto travagliato e complesso tra l’essere e l'Universo. I racconti non sono legati tra loro che dal protagonista, Qfwfq, a volte uomo, a volte semplice spirito, a volte mollusco, e dall’ambientazione (il cosmo) che con Qfwfq intreccia rapporti di volta in volta tragici, sereni, sublimi. Lo spazio è l’ambientazione ideale anche per una narrazione che vuole essere realistica, cosa fondamentale per uno scrittore come Calvino, che nacque come scrittore neorealista, almeno come basi. Il silenzio e il buio assoluti divengono scenario non tanto di avventure fantastiche, ma di una progressiva presa di coscienza: vengono definite drammaticamente le distanze infinite e la solitudine sofferta dei primi grumi di materia cosciente emergenti dal caos dell'Universo in formazione. Su questo sfondo apocalittico si muovono i personaggi del racconto "Sul fare del giorno", spumeggianti ed euforici per il nuovo flusso di vita che li attraversa. È un’epopea e un dramma al tempo stesso: la materia si differenzia a poco a poco dal nulla, in cui era confusa e indistinta fino a quel momento. Gli esseri neoformati subiscono il flusso inarrestabile delle sensazioni, dei sentimenti, e subito si sentono smarriti, angosciati dalla sensazione di essere predestinati a un piano universale sconosciuto. Queste "creature" entrate nel vortice dell'esistenza guardano con perplessità (destinata a durare per l'eternità) e con pessimismo innati alla nuova forza della Ragione, che da ora in poi li guiderà. L'angoscia di essere state estirpate a forza dalla quiete del nulla è subito confermata dagli sconvolgimenti che hanno luogo negli abissi spaziali; il cosmo è un enorme calderone ribollente, i corpi celesti neoformati si sono definitivamente enucleati dal caos centrale originario… In altre parole, è nato il concetto di 'distanza', e quindi, il problema della comunicazione tra le creature. Questo problema, che costituisce il nocciolo di tutte le "Cosmicomiche", è trattato particolarmente nel racconto "Anni-luce", in cui il protagonista Qfwfg, che ha vissuto in prima persona il formarsi dei corpi celesti, l'accendersi della vita e del movimento, deve fare i conti con le nuove distanze e misure dell'Universo, che sembrano voler scoraggiare qualsiasi tentativo di comunicazione. L'uomo "illuminato" del XXI° secolo, ben cosciente dei propri difetti, delle proprie colpe, e conscio dell'esistenza della vita su altri mondi lontani milioni di anni luce, comincia a vergognarsi delle proprie azioni, comincia a nutrire un angoscioso timore di essere spiato e giudicato dagli abitanti di quei mondi lontani… ma non può acquisire questa certezza discolparsi dei propri errori, poiché attraverso gli anni luce si perde ogni messaggio, ogni comunicazione. È il dramma dell'uomo, che, per quanto si apra all'altro necessariamente si scontra con i limiti fisici, invalicabili impostigli dalla natura. Ma un tipo di incomunicabilità che si colloca più vicino a noi e per questo ci appare ancora più fatale é quella che affligge anche le creature dello stesso pianeta, gli esseri che vivono fianco a fianco sullo stesso fazzoletto di terra.
Calvino suppone che gli organi della vista umani si siano sviluppati in seguito alla presenza di un mollusco dalla splendida conchiglia: in altre parole, l’immagine di un oggetto dotato di bellezza e grazia sublimi hanno influenzato con la loro potenza benefica le cellule umane cosicchè, in un determinato punto e con determinate modalità genetiche, nell'uomo si è sviluppata la vista. Ma questo mollusco, che nei millenni ha acquisito una sempre maggiore coscienza di sè, parallelamente a un orgoglioso desiderio di comunicare all'uomo la propria importanza nel suo sviluppo, non sarà. mai in grado di instaurare un rapporto vero con gli esseri che lo circondano. Il mollusco giunge così alla tragica constatazione di essere solo, isolato, oggetto tutt'al più di sguardi ammirati. Gli uomini vedono grazie a questa stimolante immagine di bellezza, e non lo sapranno mai.
Le "Cosmicomiche" non nascono solo dall'interesse sempre vivo di Calvino per l'astronomia, la cosmogonia, la cibernetica ma anche da necessità più strettamente letterarie, quindi: "La scienza contemporanea non ci dà più immagini da rappresentare; il mondo che ci apre é al di là di ogni possibile immagine". (Il Caffé", aprile '54)). La concezione positivista, einsteniana dell’universo trova nella variabile essenza di Qfwfq la propria realizzazione: questa variabilità sta a indicare come l'interesse di Calvino sia sempre rivolto verso il ragionamento, la riflessione, il pensiero. L'argomento delle "Cosmicomiche" non é il fatto, ma l'idea. C'è chi dice che, proprio per questo, quella di Calvino non è da considerarsi fantascienza… Ma questo, naturalmente, dipende da quello che s'intende per fantascienza.
La data della pubblicazione precede di poco la grande impresa lunare, e l’esasperazione tecnologica già ben viva in quegli anni viene vista come una dolorosa aspirazione verso l’infinito. Non per nulla, Calvino stesso scriverà, sempre sul "Caffè” dell'aprire 1954: "Le Cosmicomiche” hanno dietro di sè soprattutto Leopardi… Lewis Carroll… Borges".
Numerosi elementi, quindi, stanno come substrato della produzione fantascientifica dello scrittore. La loro sintesi più completa la ritroviamo nel racconto “Un segno nello spazio", in cui la volontà di affermare la propria presenza nell'universo, l’elemento temporale, il principio dell'evoluzione perpetua della realtà sono fusi a testimoniare l'incapacità dell’essere di adeguarsi a ritmi cosmici, quindi a stabilire dei rapporti veri e precisi con l'ambiente. Calvino perciò affronta l'irrazionale, come al solito, riducendolo a morale e poesia. Per quanto. L’avventura spaziale delle "Cosmicomiche” non possa essere giudicata un'evasione dal piano dell'impegno culturale: la favolosità e la razionalità di Calvino, poli di un antico. dualismo, raggiungono così una sintesi perfetta. E anche il titolo dato alla raccolta è significativo: "comiche" ricorda l’impegno ironico e favoloso, l'aggettivo “cosmiche" suggerisce l'apertura. inevitabile e sconcertante verso l'infinito, che concede all’uomo orizzonti più vasti, imponendogli però contemporaneamente un'ulteriore coscienza dei propri limiti.
La successiva opera fantascientifica di Calvino, "Ti con zero" del 1967, vede un Calvino ormai sicuro del proprio linguaggio e dell’argomento che intende trattare, e questo impartisce all’impegno. razionale una fermezza che a tratti diverrà poco meno di una fredda determinazione. Alle componenti strettamente scientifiche già presenti nelle "Cosmicomiche”, si aggiungono qui riferimenti più vicini alla letteratura di fantascienze vera e propria. La realtà è esaminata nei suoi vari aspetti con un razionalismo matematico che non esclude un recupero dell’elemento fiabesco, soprattutto nei primi tre racconti della raccolta ("La molle Luna”, “L’origine degli uccelli”, "I cristalli"), in cui troviamo una natura affascinante e inquietante: una luna ribollente, una fauna inverosimile generata dai recessi dell’incubo, vallate di cristallo ecc.… A tratti viene a galla una sorta di virtuosismo stilistico che ricorda alcune opere precedenti dello scrittore. Ma la parte forse più interessante della raccolta è l'ultima, in cui troviamo in primo piano gli interrogativi del tempo e dello spazio, che offrono una serie infinita di risposte; ad esempio, nel racconto che dà il titolo alla raccolta, è immaginato il momento “zero" che un arciere che si vede balenare incontro un leone vive prima di scagliare la freccia. In quell'istante, si aprono infinite possibilità future, poiché al tempo zero tutto ciò che accade è reversibile, e nello stesso tempo i rapporti effettivi fra arciere e leone, restano invariati.
I due racconti "L'inseguimento" e "Il guidatore notturno" sono basati sullo stesso gioco delle possibilità offerte dal futuro. Ne "Il conte di Montecristo" il calcolo di tali possibilità si fa serratamente matematico, geometrico, e il racconto diviene un puzzle di situazioni assurde, in cui si avverte la viva influenza del grande scrittore argentino Jorge Luis Borges. "Il conte di Montecristo" ricorda in alcuni punti il suo racconto "La biblioteca di Babele”.
Appare chiaro, a questo punto, che Calvino, per uscire dagli schemi della letteratura tradizionale, ha scelto la via dell'assurdo; e nel compiere questo tentativo ha portato il discorso fantascientifico alle estreme conseguenze. Qualcuno potrebbe obiettare che lo scrittore è partito sul piano di un impegno sociale ben maggiore, ma secondo me queste due opere che si inseriscono nella letteratura fantascientifica italiana a un livello più che rispettabile indicano la precisa volontà di applicare il proprio impegno letterario a dei fermenti nuovi. Del resto Calvino si è sempre mantenuto un uomo di cultura vivo e aperto, e anche se nei primi anni del presente decennio ha originato polemiche l’accusa di isterilimento che gli è stata rivolta, in seguito, e fino ai nostri giorni, ha ampiamente riscattato quegli errori.
In ogni caso l’esperienza fantascientifica per lo scrittore
ligure ha rappresentato qualcosa di ben lontano da una divagazione, da una evasione: come sempre dovrebbe succedere, porsi in un’ottica
più vasta, in cui l’uomo viene restituito alla reale piccolezza rispetto ai grandi
eventi cosmici, è equivalso ad ampliare la visuale con la quale l’uomo guarda a sè stesso e alla civiltà che costruisce.
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