Lino Aldani - intervista
di Francesco Bellisà
1) Profilo biografico e attuale occupazione (nell'ambito della fantascienza).
Sono nato il 29 marzo 1926, l'anno in cui è nata la fantascienza, con qualche giorno d'anticipo sul previsto, forse perché ancora nel grembo materno, immerso nel liquido amniotico, le mie sensibili antenne captavano, oltre oceano, il frastuono delle rotative indaffarate nella stampa del primo numero di "Amazing Stories".
Il mio curriculum: autodidatta, operaio (conservo ancora le buste paga di quando prendevo novanta lire al giorno), impiegato di banca, esercente basista, maestro elementare, insegnante di filosofia in un liceo serale e di matematica nella scuola dell' obbligo. Attualmente agricoltore.
Da sedici anni autore di sf, ma solo a tempo perso e solo quando mi punge vaghezza.
2) Scopi e politica perseguiti nella conduzione delle vostre collane (riviste, fenzines ecc.).
Nel 1963, insieme con Massimo Lo Jacono, ho fondato e diretto “Futuro", l’unica rivista riservata alla sf italiana. Per un commento a questa iniziativa valgono le note redatte da Riccardo Valla in appendice alla "Fantascienza" di Sadoul.
3) Il punto sulla situazione della fantascienza (generale).
Credo che possa bastare una sola parola: INFLAZIONE.
4) L'autore giovane, a vostro giudizio, più promettente.
La mia risposta è circoscritta all'ambito della sf italiana. Nove anni or sono, rilasciando un'intervista a "Telespazio" puntai su tre nomi: Prosperi, Miglieruolo e Curtoni. Non credo di essere stato cattivo profeta, considerato che oggi questi tre autori intorno ai trent’anni fanno parte del nostro piccolo establishemant. Vorrei aggiungere i nomi di Vittorio Catani e Gianni Montanari, che con il suo romanzo "La sepoltura" ha mostrato enormi possibilità nel campo del realismo fantastico.
5) La fantascienza é un ghetto?
Non rispondo: la domanda non pone una questione, ma agita uno pseudoproblema.
6) Quali sono secondo lei gli autori che possono fare crescere qualitativamente la fantascienza? O che lo hanno già fatto?
Gli autori europei, e quelli tra gli englo-americani, che hanno fatto proprio il modulo europeo, quello cioè di una sf interiore (vedi Ballard) e speculativa, con a sostegno un solido background culturale. Tra gli italiani credo sia sufficiente citare un nome: Maurizio Viano.
7) Come spiegate il fatto che, dopo il '70, il panorama degli scrittori italiani si è sempre più rarefatto, e che i nomi che girano in fondo sono sempre gli stessi?
Forse tutto è dipeso da noi autori della vecchia guardia. Se il mercato italiano ci avesse consentito di raccogliere quel successo che forse meritavamo, un successo che abbiamo dovuto guadagnare all’estero, non so... Una mezza strada l'abbiamo aperta, ma riconosco che era piena di trappole e di spine e di delusioni.
C'è poi un'altra considerazione: i giovani d'oggi sono grafomani o sono pigri. Dio ci scampi dai primi, ma i secondi potrebbero anche indurire un poco il loro carattere e non scoraggiarsi al primo insuccesso, che quasi sempre é dovuto ad un inesistente privato tirocinio. D'accordo che i Leopardi, i Radiguet, i Moravia e gli Alain-Fournier sono possibili anche nella sf, ma la precocità é sempre un' eccezione, e i giovanissimi, mi sembra, troppo spesso dimenticano che prima di poter scrive una pagina decente occorre averne scritte e cestinate almeno mille.
8) In che misura le varie fanzines possono collaborare ad una ripresa della sf italiana?
In misura notevolissima:
a) ospitando gli scritti validi dei giovani esordienti.
b) dando spazio alle sperimentazioni degli autori italiani già collaudati, anticipando brani di romanzi in preparazione, richiedendo interviste ecc.
c) criticando senza mezzi termini la cattiva produzione straniera; anche quando è firmata da nomi altisonanti. I fans non debbono essere amebe che ingoiano tutto, ma piuttosto appassionati pronti ad esprimere un giudizio più competente e maturo. Diversamente finiscono con l’avallare l'alibi degli editori e dei curatori di collane: pubblichiamo scemenze perché il pubblico così pretende.
Porto un esempio: “L'uomo del buco”, di Larry Niven, premio Hugo 1975, è una stucchevole castroneria. Ebbene, bisogna trovare il coraggio di dirlo.
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