Intervista a Luigi Menghini
Filiberto Bassani e Piero Bassi
Alto, magro e castano, Luigi Menghini è venuto a trovarci in occasione del "Mary Shelley". Ne abbiamo approfittato per questa veloce intervista. (A Padova il romanzo di Menghini non era però ancora uscito)
D. - Innanzi tutto parlaci dell'autore di REAZIONE A CATENA
R. - Sono un po' imbarazzato a parlare dell'autore, visto che sono io. Potrei iniziare raccontando il primo contatto che ho avuto con la fantascienza, dato che si è trattato di un momento determinante per il successivo approccio alla scrittura. Quando frequentavo l'istituto tecnico - sono perito elettronico - avevo un metodo di studio che mi costringeva, da ottobre a giugno, a non toccare più un libro al di fuori di quelli scolastici. Per recuperare il tempo perduto, nei tre mesi di vacanze, leggevo a velocità frenetica tutto quello che c’era di stampato nel raggio di cento metri. E il padrone di casa di dove abitavo allora possedeva la collezione completa di Urania. ho cominciato a portarmi via scatoloni interi alla volta, facendomi fuori, senza esagerazioni, una media di due volumi al giorno.
In pratica, nel giro di tre anni, mi sono fatto un capoccione enorme sulla fantascienza, tanto che ad un certo punto mi è venuto quasi spontaneo il fatto di sostituire me stesso ai libri che leggevo. Ed è così che ho iniziato a scrivere.
Ho partecipato ad un premio letterario nel mio istituto e sono arrivato secondo. Devo dire però che c'è stata un po' di mafia in quel secondo posto: ero in quinta e si sa, gli studenti di quinta sono considerati esperti...
Comunque da allora in avanti ho continuato a scrivere, ma non pensavo proprio di pubblicare qualcosa.
REAZIONE A CATENA risale a sette od otto anni fa: la prima bozza l’ho buttata giù su un blocco notes, nel tempo lasciatomi libero dal lavoro alla RAI. Lavoravo e lavoro tutto era alla RAI di Torino.
Scrivevo, buttavo giù perchè non c'è niente da fare, quando uno entra nel giro della fantasia, il meccanismo non si ferma più. Ho cominciato decine di romanzi, anche se spesso non li ho portati a termine.
D. - Cominciavi sempre romanzi, o hai scritto anche dei racconti?
R. - La mia prima opera completa è stata un racconto, dal titolo "Lo chiameremo Andrea". Era un racconto umoristico.
D. - È stato tratto un film, da quel racconto?
R. - No, no… magari! Non c'entra niente col film… purtroppo.
La storia era più o meno questa: una società futura, come la vedevo allora (ed ero molto giovane); benessere, organizzazione, tutto va bene. Il protagonista, un impiegato tranquillo, quale avrei potuto essere io stesso, raggiunge il massimo cui può aspirare una persona: la casa propria, una bella moglie, elettrodomestici a non finire, tra i quali un robot personale, Andrea per l'appunto, con il compito di impedirgli di correre rischi, di ammalarsi, ecc. ecc…
Un tema vecchio, come si vede. Alla fine, comunque l'uomo si ribella, distrugge il robot e decide di avere un figlio, cui dare lo stesso nome.
Dopo un secondo racconto, il cui titolo era "Giuda", è iniziata la mia propensione per opere di maggior mole: il racconto breve, non so per quale motivo, lo trovo una limitazione. La difficoltà, nello scrivere storie di una certa lunghezza, è certamente la mancanza di tempo. Mi è accaduto di frequente di iniziare con un'idea che mi sembrava buona; poi il lavoro, lo studio,- tra l'altro non ho ancora finito di studiare, mi laureerò il prossimo anno - mi hanno impedito di continuare.
D. - In che cosa ti laurei?
R. - Lettere. Eh, si, l'elettronica non era per me, devo ammetterlo.
Come stavo dicendo, ho continuato a buttar giù storie che non finivano mai, finchè sette od otto anni fa è uscito quel primo lavoro di grosse dimensioni che è REAZIONE A CATENA.
Ho spedito il romanzo alla editrice Nord che ho scelto a caso, perché non conoscevo assolutamente niete delle case editrici e di come funziona il giro. Quelli della Nord l'hanno trovato buono, mi hanno mandato a chiamare. E adesso il libro esce.
Per me è un grosso colpo, una grandissima soddisfazione.
D. - Progetti per il futuro?
R. - Innanzi tutto il modo in cui si conclude REAZIONE A CATENA mi da la possibilità di continuare: la mia idea è quella di fare una trilogia, come Asimov. Non che io voglia paragonarmi ad Asimov, intendiamoci. Il mio romanzo si presta ad avere un seguito, perché la vicenda principale non finisce; termina una storia, un'avventura, ma ne incominciano altre, due o tre… dipende dalla fortuna che avrà il primo romanzo.
E poi, forse per il fatto che da anni lavoro nel campo dei calcolatori elettronici (prima nella progettazione, poi come programmatore) ha in mente di scrivere il capolavoro di questo genere di racconti. Ho già in mente alcune idee che prima o poi svilupperò…
D. - In pratica, tu hai sempre scritto per il piacere di scrivere, come afferma di fare Asimov. Pensavi di poter arrivare a pubblicare qualcosa?
R. - Assolutamente no. Non sapevo di Asimov e non voglio imitare il maestro, ma ho sempre scritto per il piacere mio e di qualche amico, anzi di qualche amica. I primi due raccontini me li ha letti una ragazza con cui allora uscivo. Un’altra storia l'ho scritta perché ci tenevo che mia moglie la leggesse. In pratica io ho sempre scritto… per le ragazze. Ho fatto anche fumetti…
D. - Disegni?
R. - Si, si! Disegno. Non sono bravissimo, però ho un certo stile ed una discreta velocità.
D. - Ci vogliono applicazione e tempo…
R. - Difatti ha mollato lì. Da quando ho iniziato a scrivere ho mollato. Ho fatto un fumetto completo, che non ho mai fatto vedere a nessuno, tranne che a pochi amici.
D. - E alle ragazze.
R. - E alle ragazze. Penso che una persona, quando fa qualcosa, abbia bisogno del consenso del prossimo. Deve avere qualcuno che gli dice bravo o cretino.
D. - La prima volta che hai inviato qualcosa ad un editore è stata con questo romanzo, alla Nord?
R. - Si. È stata una cosa… cosi, istintiva: non avevo mai letto niente della Nord.
D. - Avevi abbandonato la fantascienza dopo le velocissime letture di interi scatoloni di Urania?
R. - Certo. Dopo che mi sono iscritto all'università non ho più avuto tre mesi di vacanze. Lavoro, studio... non che abbia fatto una vita da monaco, intendiamoci, però, razionalmente, misuravo la mia disponibilità di tempo. Niente leggere. Ancora adesso devo dire che leggo pochissimo; tra poco, finiti gli studi, riprenderò perché mi piace leggere.
D. – Adesso che il pubblico dei tuoi lettori passerà da pochi amici alla marea dei lettori della Nord, cosa provi?
R. - Innanzi tutto, prima di venire qui non pensavo potessero esserci un rapporto con i lettori. Non pensavo che la fantascienza avesse un pubblico cosciente. C'è sempre un pubblico, ma è incosciente: uno va al cinema e non ha un rapporto con il regista; legge un libro ma difficilmente ha un rapporto con lo scrittore.
D. - La fantascienza è uno dei campi che offrono questa possibilità.
R. - Vi assicuro che questo non lo sapevo. Ho sempre vissuto un po' aimargini. Non pensavo di avere la possibilità di arrivare ad un contatto come quello che stò avendo qui a Padova.
D. - Un'ultima domanda. Come lavori: scrivi direttamente a macchina oppure a mano?
R. - Scrivo a mano ed ho un valido aiuto in mia moglie. È laureata anche lei in lettere, batte a macchina e mi da una mano anche nel trasformare le idee in narrazione.
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