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Un cartoon senza originalità (e cita troppi classici fantasy)


di Paolo Mereghetti


Il matrimonio Pixar-Disney non sempre da i frutti desiderati, soprattutto quando si tratta di percorrere strade nuove.

Se Ratatouille, WALL.E e Up si potevano ancora segnare a carico di una Pixar pre-Disney (anche se usciti dopo l'acquisizione da parte dello studio fondato da papà Walt), solo Inside Out e Coco si possono considerare dei veri successi.

Non si può certo dire lo stesso di Il viaggio di Arfo e all'elenco delle delusioni, o quasi, bisogna aggiungere anche questo Onward - Oltre la magia, diretto da Dan Scan, un regista che si era formato - non sarà un caso - alla scuola Disney delle storie «forti», dove la strada era già bella e tracciata (aveva lavorato a un bel po' di sequel: Tarzan 2, Il gobbo di Notre Dame II, La carica dei 101 II, Pocahontas H, La sirenetta II). Anche perché quando si era misurato alla regia con Monsters University non aveva lasciato certo un gran ricordo.

Non si mette in discussione il livello dell'animazione, sempre di ottima fattura, con punte di eccellenza nel mostro formato da detriti e muri. scrostati del finale. Ma piuttosto la poca complessità dei personaggi, la loro unidimensionalità, la scarsa originalità del character design (da parte di una società che ha saputo rendere indimenticabile persino una forchetta di plastica)>, oltre a una sceneggiatura che sembra più preoccupata di citare (o copiare?) da altri film piuttosto che misurarsi con il nuovo.

E sì che lo spunto di partenza sembrava promettente, visto che un mondo più o meno come il nostro, in tutto e per tutto simile a quello contemporaneo, con autostrade trafficate, casette unifamiliari e scuole accoglienti, e abitato da elfi, centauri e mostri vari, con ali, magari un occhio solo e a volte anche una coda. Sono i discendenti di generazioni di mostri e maghi che nel passato sapevano usare la magia ma che con i secoli ne hanno dimenticato più o meno il funzionamento.

Al massimo sono diventati fan sfegatati dei giochi di ruolo, come Barley Lightfoot, il fratello maggiore (e un po' troppo impiccione) dell'adolescente Ian, elfo liceale privo di fiducia in se stesso. Che per il suo sedicesimo compleanno riceve dalla madre Laurel il regalo che il padre Wilden - morto quando lui era talmente piccolo da non poterlo ricordare - gli aveva lasciato per questo anniversario: un bastone magico e una pietra grazie alla quale Ian potrebbe far rivivere per ventiquattro ore proprio il padre mai conosciuto.

Ma quando prova a lanciare l'incantesimo la pietra fatata si disintegra lasciando la ricostruzione del corpo di Wilden a metà: dai piedi solo fino alla cintola. Bisogna assolutamente trovare un'altra pietra magica per concludere la “ricostruzione” e con l'entusiasmo degli appassionati di magia (che però ha frequentato solo nei giochi), Barley trascina Ian in un viaggio verso l'ignoto, portandosi dietro il mezzo corpo del padre e soprattutto tutte le paure e i dubbi che il neo-sedicenne ha rispetto alle sue attitudini e abilità di mago.

A questo punto potrebbe iniziare l'avventura, dove la fiaba è destinata inevitabilmente (come solitamente e di prammatica nei film realizzati per un pubblico tra l'infantile e il preadolescente) a intrecciarsi con il romanzo di formazione.

L'ambizione evidente è quella di smarcarsi dalle trappole retoriche di una pedagogia vista troppe volte (sulla latitanza dei genitori e le loro scelte più o meno conservative: qui la madre apprensiva che insegue i due figli temendo si mettano nei guai o il patrigno poliziotto che vorrebbe fermarli) a favore di un nuovo approccio al tema della crescita e all'elaborazione del lutto (non più la centralità paterna ma il ruolo del fratello maggiore, tanto più evidente dopo che nella prima parte Barley sembrava solo un ingombrante bambinone).

Tutto però perde interesse e mordente di fronte a uno script (del regista insieme con Keith Bunin e Jason Headley) che sembra capace solo di rimasticare situazioni già viste, da Weekend con il morto ad Harry Potter, da Indiana Jones (addirittura a rischio plagio) a Ritorno al futuro, mentre il tema della riscoperta della magia perde ogni possibile interesse. Ammesso che l'avesse mai avuto.






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