L'utopia "ambigua" di Ursula Le Guin
di Mario Coglitore
In Italia la letteratura di fantascienza non ha mai trovato, come del resto altri generi di scrittura, un ampio consenso tra gli esponenti della cosiddetta "cultura ufficiale", Anzi l'impressione che se ne ricava e che questo tipo di interesse riscuota al massimo qualche risatina ironica, quando non addirittura uno scuotimento significativo della testa.
È anche vero che molte delle pubblicazioni sul tema (indispensabile citare la ormai famosa collana URANIA della Mondadori) non sempre riescono a soddisfare le aspettative di chi legge e, a dirla tutta, molto spesso lasciano a desiderare sia nella forma che nei contenuti. Il prolificare, specialmente negli Stati Uniti, di medi e piccoli scrittori ha vertiginosamente alzato il livello di produzione, talvolta a scapito della qualità, Comunque sia, gli Stati Uniti restano, in un certo senso, la patria degli scrittori di fantascienza più noti degli ultimi 40 anni.
Che cosa sia esattamente la fantascienza (che mi ostino a chiamare letteratura, proprio per riconoscerle il ruolo che indubbiamente le spetta) non è facile da dire. Considerata da molti alla stregua di un sottoprodotto prettamente popolare e quasi fumettistico, la fantascienza annovera in realtà tra i suoi cultori personaggi di tutto rilievo ed è certamente divenuta ormai uno tra i generi letterari più diffusi dei nostri tempi (torno a dire, nel bene e nel male, come in tutte le cose).
"Radicate come sono nei fatti della vita contemporanea, le fantasie di un moderno scrittore di fantascienza, anche se di seconda categoria, sono incomparabilmente più ricche, coraggiose e strane delle immaginazioni utopistiche o millenarie del passato." 1
Questa frase di Aldous Huxley, certamente uno dei maggiori utopisti del nostro secolo, definisce abbastanza bene, credo, il mondo psicologico ed ideologico di chi scrive fantascienza.
Non sempre, tuttavia, si è trattato di fantasie radicate nei fatti del quotidiano: dobbiamo distinguere, perlomeno, alcuni dei diversi rami in cui si sono collocate le narrazioni degli scrittori del fantastico. 2
La fantascienza (che da adesso in poi chiamerò FS per questioni di brevità) ha fatto incursioni, a volte rapide a volte meno, un po' ovunque nello spazio e nel tempo con estrapolazioni politiche, geologiche, astronomiche ed ambientazioni tra le più varie.
Molto spesso sono state create intere nuove complicatissime civiltà, descritte nei minimi particolari; in altri casi si è trattato di uno sguardo a ridosso del nostro immediato futuro e del futuro del pianeta, in altri ancora del nostro lontano passato e di civiltà che ci hanno preceduto. Insomma lo spettro dei racconti possibili è davvero immenso ed investe l'intero arco della fantasia umana, che proprio perché tale non ha limiti.
Come ha osservato Miriam Allen de Ford, la FS " ... tratta di improbabili possibilità, gioca con la fantasia riguardo a plausibili impossibilità." 3 E non ci può essere definizione migliore, credo. La FS lavora all'interno del più vasto ambito della fantasia e la fantasia è a sua volta compresa nell'ancora più grande orizzonte costituito dalla letteratura. Con buona pace insomma dei detrattori di questo genere letterario, si può affermare che la FS rappresenta un sottogruppo, per così dire, della letteratura di fantasia e in quella trova, quasi certamente, la sua ispirazione fondamentale: e, per definirne ancora i contorni con maggior precisione, la fantasia che progredisce con il progredire dei tempi; la fantasia che si aggiorna e che riflette sui mondo che la circonda (come giustamente ha detto Huxley) e su quello che la circonderà.
A questo punto, il passo che la separa dall'Utopia è relativamente breve, per tutta una serie di motivi. Per prima cosa si può rilevare, sui piano della storia dei due generi, il progressivo inaridimento del filone utopico e la crescente diffusione della FS, che ha fatto quasi da contrappunto 4; in secondo luogo, poi, le affinità, per così dire, che avvicinano i due generi: il carattere alternativo delle situazioni proposte rispetto alla realtà presente e la loro caratteristica di anticipazione di ciò che accadrà o potrebbe accadere nel futuro, sia esso vicino o lontano; le descrizioni particolareggiate e minuziose di nuovi sistemi di civiltà, ma anche di dominio e di controllo, esasperando spesso aspetti della tecnologia e della scienza che appartengono al quotidiano dello scrittore e che vengono proiettati nel tempo immaginario in cui si svolge la narrazione; infine la dimensione psicologica che viene espressa e che racchiude le ansie, le speranze ed i timori dell'uomo sugli imprevedibili sviluppi (politici, scientifici, ecologici) dell'evoluzione del pianeta e dei suoi abitanti, e non di rado dell'intero universo.
Certo la FS non è solo utopia, ma anche controutopia, se accettiamo delle distinzioni anche all'interno del genere utopico. Saremmo quasi di fronte, quindi, non soltanto a due espressioni letterarie strettamente affini, ma addirittura, ed è la tesi di Darko Suvin, ad un terreno comune, in cui la FS costituirebbe il genere e l’utopia il sottogenere. Ma le distinzioni, spesso, sono così sottili ed impercettibili da non consentire una classificazione precisa delle narrazioni e dei loro contenuti.
L'esigenza della classificazione, inoltre, è sempre indice, a mio avviso, di estrema insicurezza da un lato e dall'altro della necessita di avere sempre e comunque tutto sotto controllo, nel proprio ordinato schedario. E se c'è una cosa che non si può fare, è quella di mettere le briglie alla fantasia. Il mondo dell'immaginario, svincolato com'è da ogni possibile quadro di riferimento, veicola istanze tra loro non solo diverse, ma anche antitetiche, impossibili, inspiegabili e quant'altro mai.
Esso e creazione, raramente spiegazione; ed è per questo che è estremamente difficile analizzare i testi che di questo immaginario sono popolati. Tuttavia, ci si può sempre provare. La mia lettura del romanzo della Le Guin, di cui parleremo, parte appunto da queste premesse.
Inizierò da alcune considerazioni di carattere storico. I reietti dell'altro pianeta è stato pubblicato in America nel 1974 e l'anno successivo ha ottenuto due dei massimi riconoscimenti attribuiti ai romanzi di FS, il premio Hugo ed il premio Nebula, rispettivamente dalla critica e dai lettori.
Pesava ancora sugli Stati Uniti la cappa di piombo rappresentata dal conflitto vietnamita e gli anni della contestazione di Berkley, per quanto fenomeno assai circoscritto, avevano lasciato il loro segno. Inoltre i rapporti con l'Unione Sovietica non erano certamente all'insegna della distensione. Il periodo a cavallo tra gli anni '60 e '70 rappresenta anche per l'America un momento di riflessione sullo stato del proprio sistema economico e sociale e della propria posizione all'interno del sistema capitalistico mondiale. Anche Ursula Le Guin, figlia tra l'altro, ed è bene non dimenticarlo, di uno dei più noti antropologi americani del Novecento, partecipa probabilmente alle angosce del proprio tempo e ne percepisce con chiarezza le contraddizioni. La situazione dell'uomo contemporaneo e della civiltà più in generale, allo studio della quale suo padre aveva dedicate una vita intera, ma anche dei complessi rapporti con il sistema di valori e di credenze della società industriale e le sue stridenti contraddizioni spingevano ad una necessaria serie di considerazioni e, soprattutto, di riconsiderazioni. L'inizio della storia è già metafora dell'eterno conflitto che può esistere tra i popoli, del talvolta irriducibile distacco tra due culture:
C'era un muro. Non pareva importante. Era fatto di ciottoli uniti senza pretese, con un po' di malta. Gli adulti potevano guardare senza sforzo al di là del muro, e anche i bambini non avevano difficolta di scavalcarlo. Dove incontrava la strada, invece di avere un cancello degenerava in una pura geometria, una linea, un'idea di confine. Ma l’idea era reale. E importante. Da sette generazioni non c'era nulla di più importante, al mondo, di quel muro. Come ogni altro muro, anch'esso era ambiguo, bifronte. Quel che stava al suo interno e quel che stava al suo esterno dipendevano dal lato da cui lo si osservava.
Osservato da un lato il muro recingeva un campo spoglio, di una sessantina di acri, chiamato Porto di Anarres. Il campo comprendeva un paio di grosse gru, una piazzola di atterraggio per i razzi, tre magazzini, una rimessa per gli autocarri e un dormitorio. Il dormitorio aveva un aspetto duraturo, severo, melanconico. Non si vedevano giardini, né bambini: era chiaro che non vi abitava nessuno, che chi arrivava non si fermava a lungo. In effetti si trattava di una zona di quarantena. Il muro chiudeva al suo interno non soltanto il campo di atterraggio, ma anche le navi che scendevano dallo spazio, gli uomini che giungevano con le navi, i mondi da cui provenivano e, complessivamente, il resto dell'universo. Chiudeva nel suo interno l'universo e lasciava fuori Anarres, libera.
Osservato dall'altro lato, il muro chiudeva Anarres. Al suo interno c'era tutto il pianeta: un grande campo di prigionia, isolato dagli altri mondi e dogli altri uomini, in quarantena. 5
Il muro. Una linea di mattoni sovrapposti che segna la frattura incolmabile tra due gruppi che hanno la stessa matrice etnica, ma una profonda diversità nel modo di vivere. La barriera che tiene lontane le contraddizioni di un'origine che si vorrebbe negata.
Anarres e Urras sono due pianeti che ruotano l'uno intorno all'altro, due pianeti gemelli che sono l'uno la luna dell'altro (quindi nei rispettivi cieli notturni brillano a ricordarsi reciprocamente la loro inevitabile esistenza).
Anarres, quasi desertico, aveva sempre scarsamente favorito gli insediamenti umani fino a quando non giunsero a colonizzarlo i seguaci di Odo, la grande e saggia leader della rivolta contro la società del benessere di Urras. Gli Odoniani lentamente creano su Anarres, un pianeta difficile e dal clima insidioso, una società libera, anche se di sopravvivenza, una fratellanza totalmente lontana dai principi ispiratori della civiltà che è rimasta su Urras: nessun diritto di proprietà, nessun governo, nessuna autorità. Le necessità della vita quotidiana e l'espletamento del lavoro che serve a mantenere in vita il gruppo sono egualmente ripartiti fra tutti.
Shevek vive su Anarres e del suo popolo condivide idee ed aspirazioni. Ma è anche scienziato, per la precisione straordinario matematico e uomo di grande coerenza e passione. Egli decide, un giorno, di accettare l'invito degli scienziati urrasiani e di raggiungere il pianeta proibito per uno scambio di esperienze e conoscenza. La sua gente non è però facilmente disposta ad avallare questa scelta, questo tradimento consumato ai danni della stessa legge di Odo. Urras è la rappresentazione, nell'inconscio collettivo degli Odoniani, di tutto ciò che è disapprovazione, odio, diffidenza: Urras è il simbolo della violenza e dell'oppressione dei proprietari.
Tuttavia Shevek è profondamente convinto della necessita del contatto, del superamento di ogni possibile barriera, non per negare i valori del proprio mondo quanto per ricercare ad ogni costo il senso di una fratellanza universale, per offrire agli umani di Urras la possibilità di una scelta diversa, l'esistenza di una società povera ma felice.
Attraverso un modulo narrativo di indubbia efficacia la Le Guin alterna un capitolo dedicato alla descrizione del viaggio e del soggiorno su Urras di Shevek ed capitolo che rievoca la vita dello scienziato su Anarres fin dall'infanzia. Il lettore può così assistere alla progressiva formazione dell'uomo Shevek, mentre già lo vede muoversi, come adulto, nel complicato sistema di vita urrasiano (complicato per Shevek, beninteso, perché in realtà la società di Urras è facilmente riconoscibile: è quella in cui noi occidentali viviamo ogni giorno). La società di Urras, in sostanza, è un dato, è un modello che si dà praticamente per scontato; la società di Anarres, al contrario, viene descritta nei dettagli e con un'attenzione particolare alla psicologia dei suoi componenti. Anche se già dall'inizio l'ideologia anarresiana è rivelata dalle parole della donna che accudisce, insieme ad altri, il piccolo Shevek:
Il bambino magro si drizzò in piedi. Il suo viso era illuminato dal sole e distorto dalla rabbia. Il pannolino minacciava di cadere. - Mio! - esclamo con voce acuta, penetrante. -Mio, sole!
- No, non è tuo - disse la donna senza un occhio, con la pacatezza di chi enuncia una profonda certezza. - Non c'è niente di tuo. Ogni cosa è da usare. Da dividere con gli altri. Se non sei disposto a dividerla, non puoi neppure usarla. – 6
Un ragionamento che fila, non c'è dubbio. Un modo esemplare di abituarsi a non considerare il possesso come qualcosa di irrinunciabile e di legittimo. Su Anarres l'avere non ha alcuna importanza, perché tutto in partenza e diviso con gli altri. Anche la sessualità è una libera disposizione del proprio corpo ed è un'esperienza che non prevede un'esclusività totale da parte di nessuno: l'accoppiamento può tranquillamente avvenire con più partners senza che questo debba generare alcuno scandalo. E lo stesso diritto di libera scelta appartiene alla coppia che desideri avere un rapporto stabile e duraturo (senza matrimonio naturalmente, dato che anche quest'ultimo è considerato una situazione di possesso da respingere).
La società di Anarres cerca continuamente di non cedere alle lusinghe delle strutture di potere che inevitabilmente seguono alla predisposizione di ben determinati rapporti di forze: per questo ogni cosa appartiene alla collettività ed è la collettività a venire sempre per prima.
La distribuzione delle risorse poggia sui criteri dell'uguaglianza assoluta ed è abolito qualsiasi privilegio personale. Ogni individuo su Anarres è persona a sè, perfettamente responsabile delle proprie azioni; il potere è abolito. E che cosa sia il potere secondo l'autrice lo si ricava da una frase messa in bocca ad un urrasiano durante un colloquio con Shevek:
Non intendo sottovalutare le sue capacità, Shevek, Dio sa, ma lei non si accorge che la sua abitudine di accostarsi a ciascun individuo come a una persona, un individuo a sè, non funziona qui, non può funzionare? Lei deve comprendere i poteri che stanno alle spalle dei singoli individui. 7
Il potere stà alle spalle degli uomini su Urras. Anche nello Stato di Thu, retto da un partito unico nazionale che ha centralizzato ogni attività istituzionale. Il potere di cui è intrisa la struttura sociale di Urras genera soltanto violenze e disuguaglianze che turbano profondamente l'animo di Shevek. Tuttavia quello stesso potere alimenta pericolose lusinghe e tentazioni alle quali lo stesso protagonista finisce quasi per soggiacere: l'incontro con Vea, affascinante e ricca seduttrice, interessata più di ogni altra cosa a dimostrare a sé stessa la sua abilità nel catturare l’attenzione degli uomini ed incuriosita dalle stranezze del visitatore anarresiano, è tutto un susseguirsi di schermaglie e di sottili giochi di parole che trascinano Shevek all'interno di un modo di pensare che non appartiene assolutamente al suo essere.
Combattuto tra la consapevolezza del fascino traditore di Vea e la forte attrazione fisica nei confronti della donna lo scienziato finirà per cedere in modo impacciato e grossolano al desiderio e verrà respinto dalla bella ammaliatrice che aveva già comunque raggiunto il suo scopo, quello cioè di saturare il proprio irrefrenabile narcisismo.
Questo mondo, popolato di spie e di politicanti, pronti soltanto a fare di Shevek un sicuro investimento per i loro profitti è così vicino al nostro da far pensare senza possibilità di errore ad una trasfigurazione letterale della situazione della nostra civiltà, del vorticoso procedere del sistema di valori della società industrializzata dell'Occidente. Ma su Urras la rivolta cova ancora. E Shevek la incontra: lui il simbolo del pianeta libero da qualsiasi oppressione marcia con il popolo in sommossa e canta lo stesso "Inno della Resurrezione" che duecento anni prima la sua gente aveva cantato forse in quelle stesse strade, marciando verso un nuovo domani. Egli incarna in quel momento lo spirito che guida la folla in tumulto, così come Odo molto tempo prima, aveva fatto. E parla come Odo aveva parlato:
Non potete prendere ciò che non avete dato. E dovete dare voi. stessi. Non potete comprare la Rivoluzione. Non potere fare la Rivoluzione. Potete soltanto essere la Rivoluzione. È nel vostro spirito, oppure non è in alcun luogo. 8
Poi gli spari e l'assalto degli elicotteri della polizia, dell'ordine che ristabilisce sè stesso. Shevek fugge nel caos che segue alla repressione cruenta e con un uomo moribondo, uno sconosciuto ferito mortalmente a cui ha prestato soccorso, si rifugia in una vecchia cantina. Lì, per alcune ore, ritrova il contatto con l'Altro che aveva irrimediabilmente perduro durante il suo soggiorno sul pianeta del proprietari. Soltanto allora può riabbracciare la dimensione totale del rapporto con il proprio simile. anche se estraneo, anche se figlio di un’altra terra, e assistere impotente agli ultimi momenti di vita di chi non conoscerà mai la libertà per la quale ha voluto morire.
Ora Shevek è solo e braccato, traditore due volte: la prima quando, centro la volontà dei suoi, ha lasciato Anarres per raggiungere il pianeta rivale e la seconda adesso quando incoraggia la ribellione del popolo contro gli sfruttatori di Urras che pure lo avevano accolto con grandi onori.
Ma è proprio I 'ultimo incontro che lo scienziato si appresta a fare che rimette in gioco contemporaneamente tutto il senso del racconto della Le Guin e congiunge le due estremità di una catena immaginaria che la narrazione sembrava voler lasciare spezzata. È l'ambasciata terrestre della capitale, in cui ha avuto luogo la rivolta così drasticamente repressa, che accoglie il fuggitivo e se ne rende garante di fronte al governo dello stato di A-lo.
La terra: pianeta lontano nello spazio e ormai quasi dimenticato, se non fosse per il prestigioso passato di culla della razza umana. Un mondo, nelle parole dell'Ambasciatore (o meglio ambasciatrice, perché si tratta dell’ennesimo personaggio femminile), in rovina, distrutto dagli appetiti violenti di uomini senza scrupoli.
Non rimangono più foreste sulla mia terra. L'aria è grigia, il cielo è grigio, fa sempre caldo. È abitabile, è ancora abitabile, ma non come questo mondo. Questo è un mondo vivo, un’armonia. Il mio è una dissonanza. Voi Odoniani avere scelto un deserto; noi Terrestri abbiamo fatto un deserto... 9
E saranno proprio i Terresti a permettere a Shevek il rientro su Anarres in compagnia di un loro rappresentante incaricato di contattare il popolo odoniano e di allacciare con questo un legame duraturo.
È quindi l’autrice stessa, e noi tutti che stiamo leggendo, a volere che Shevek possa ritornare al suo mondo, a desiderare di saperne di più su questa gente senza potere e senza autorità che vive di ciò che può offrire un pianeta desertico ed inospitale ma straordinariamente libero, come mai lo sono stati gli umani.
Questo riferimento alla Terra, che viene inserito alla fine del racconto, è il modulo letterario che serve quindi a ricongiungere lettore e narrazione e quasi ad annullare la distanza temporale che ci separa dai fatti descritti. Inoltre l’intera faccenda costituisce un altro tassello della storia complessivamente narrata nell'opera della Le Guin, un ciclo di racconti ambientati in epoche diverse ma collegati tra loro da un filo comune.
Certo, rispetto agli altri, questo libro ha la prerogativa di toccare degli argomenti molto vicini ai problemi del nostro tempo e, alla fine. ha ben poca importanza che la vicenda si svolga in un altro sistema solare distante chissà quanti milioni di chilometri dal nostro, tanta è l'aderenza con la realtà del mondo che ci circonda. I reietti dell'altro pianeta è una bellissima metafora della nostra contemporaneità e delle drammatiche contraddizioni della nostra storia (recente e merio recente).
Un’utopia razionale. per così dire, viene proposta da Ursula Le Guin che non manca mai di rilevare i contrasti e le difficoltà di entrambi i due gruppi sociali. Un’utopia che è anche dimensione dello spirito; l’aspirazione segreta di ciascuno di noi alla realizzazione di un ideale di vita migliore, incarnato nel romanzo da Shevek, al tempo stesso uomo, scienziato e rivoluzionario, emblematico leader che porta in se non tanto un carisma personale, quanto quello di un intero popolo che ha votato la propria esistenza al compimento del sogno della liberazione totale, dell'annullamento di ogni barriera con l'Altro.
Tuttavia anche su Anarres l’involuzione dell'ideale odoniano è sempre possibile (e quasi inscritto, forse, nella storia di ogni ideale) e l'avversione per il viaggio che intende compiere Shevek dà la dimensione precisa della paura di ogni forma di contatto non soltanto con gli urrasiani ma anche con le altre forme di vita intelligente. L'utopia di Ado, che vuole trascendere la storia e porsi rigorosamente al di là della politica e della ricerca del potere (ricerca incarnata su Anarres dalla figura molto controversa di Sabul, scienziato anziano che tenta di frenare, e qualche volta di sfruttare, la genialità creativa di Shevek), può essere cancellata dall'irrigidirsi delle strutture sociali di Anarres destinate all'organizzazione della vita del collettivo. Bedap, amico intimo di Shevek, tormentato da un'omosessualità che, nonostante tutto, lo fa sentire diverso (ed è oggettivamente diverso, intuitivo e aspramente critico, come forse lo possono essere soltanto coloro che vivono una condizione di emarginazione) e la coscienza delle contraddizioni della società di Anarres; l'unico a sostenere che la propria collettività sta scivolando inevitabilmente verso quel potere così tenuto.
No. Noi non abbiamo governo e non abbiamo leggi, giusto. Ma per quel che posso vedere, le idee non sono mai state controllate dalle leggi e dal governo, neppure su Urras. Se lo fossero state, come avrebbe potuto, Odo, sviluppare le sue?
Come avrebbe potuto, l'Odonianesimo, divenire un movimento mondiale? Gli archisti cercarono di cancellarlo con la forza, ma non ci riuscirono. Non puoi schiacciare le idee cercando di reprimerle.
Puoi schiacciarle soltanto ignorandole. Rifiutandoti di pensare, rifiutandoti di cambiare. E questo è precisamente ciò che adesso fa la nostra società! Sabul si serve di te quando può, e quando non ti impedisce di pubblicare, di insegnare, perfino di lavorare. Giusto? In altre parole, egli ha del potere su di te. E da dove ottiene quel potere? Non da un'autorità investita, non ne esistono. Non dalla superiorità intellettuale, non l'ha. La ottiene dalla codardia innata della normale mente umana. La pubblica opinione! Questa è la struttura di potere di cui fa parte, ed egli sa come usarla. L'inconfessato, inconfessabile governo che comanda la società Odoniana soffocando le menti individuali! 10
La lezione di Bedap è spietata, ma Shevek sa che ha ragione. Non si può, non si deve tradire l'insegnamento odoniano e il riscatto possibile viene dalla scienza.
Una scienza che Shevek vuole donare a tutti (e che donerà anche ai terrestri): l'ANSIBLE, il comunicatore che annulla qualsiasi distanza di spazio e che consente un collegamento istantaneo, fino ad allora impossibile, tra mondi lontanissimi. Anche l'ANSIBLE è evidentemente una metafora, e il contatto istantaneo con chiunque, la trasmissione di idee e pensieri, il grande abbraccio tra civiltà distanti e incomparabilmente diverse.
È singolare che la spinta alla riflessione, in una società che ha abbandonato qualsiasi discriminante culturale e sessuale fra le persone, venga da un omosessuale, da chi possiede indiscutibilmente un’emotività ed una forza interiore diverse da quelle degli altri. La descrizione acuta della psicologia dei personaggi è senz'altro uno dei caratteri maggiormente incisivi della scrittura della Le Guin; il suo è un mondo popolato di uomini ben diversi dall'accezione del maschio che ha, ad esempio, la cultura occidentale e di donne straordinarie e semplici allo stesso tempo (o dalla femminilità distorta e rigidamente schematizzata, come nel caso di Vea).
È questo un tema che rimanda direttamente ad un precedente ed altrettanto noto romanzo della Le Guin, pubblicato negli Stati Uniti ne1 1969, La mano sinistra delle tenebre 11, che narra la storia di un pianeta alieno, Gethen, abitato da una straordinaria civiltà di ermafroditi e l'incontro tra uno di questi e l'inviato dell’Ecumene dei Mondi Conosciuti che dovrebbe indurre i Getheniani ad unirsi agli altri popoli della galassia. Questo uomo-donna, simbolo dell'unità assoluta dei due principi dell'universo, il maschile e il femminile, l'uno totale che racchiude in sé l'universo stesso, come sostengono le religioni orientali, condivide con l'inviato dell'Ecumene un'avventura singolare e ricchissima di umanità, con la messa in gioco di tutti i valori, i turbamenti, gli odi e l'amore di due esseri viventi così lontani per cultura e tradizioni, eppure alla fine così vicini nell'intima comprensione l'uno dell'altro.
Il femminile, il maschile, le loro diversità, i loro contatti, le strutture psicologiche che ne scaturiscono sono argomenti a cui Ursula Le Guin ha sempre prestato attenzione. Forse perché sono determinazioni importanti della nostra esistenza, questioni sulle quali non si riflette mai abbastanza. Una rivendicazione del modello femminile attraversa tutta la narrazione ne I reietti; modello che, a mio parere, giustamente si riafferma come quello più positivo. Lo stesso Shevek non è uomo secondo i canoni ai quali ci siamo abituati, è un personaggio profondamente femminile (una volta tanto senza sterili doppi sensi), dotato di una sensibilità che il codice maschile rifiuta continuamente in quanto segno di debolezza.
L'altro capo dell'unione totale, cui accennavo prima, con l'altro sesso è Takver, la compagna instancabile di Shevek, colei che capisce e non fa domande; la donna che non sacrifica la propria esistenza al maschio, perché ne ha una sua, e quindi colei che crede nel proprio uomo e nel proprio destino.
L'universo della Le Guin abbraccia l'idea dell'assoluto, del ritorno all'Uno che si sostanzia nell'unione totale con l'Altro (e qui non ha molta importanza il sesso, che è un semplice accidente dell'evoluzione biologica, tutto sommato. I Getheniani infatti sono nello stesso momento uomini e donne, ed hanno anzi un ruolo interscambiabile), nella negazione del possesso come condizione dei rapporti tra le persone e del potere come regola della vita in comune. Un'utopia ambigua, appunto (come sottolinea il titolo originale), non solo nel senso di incerta, ma anche di doppia, continuamente riflessa in uno specchio immaginario (Urras e Anarres, ad esempio, eternamente contrapposti anche fisicamente) in cui la presenza dell'Altro è determinante per ogni futuro sviluppo.
Il nostro modello del cosmo deve essere inesauribile come il cosmo stesso.
Una complessità che comprenda non solo la durata, ma anche la creazione, non solo l'essere ma anche il divenire, non solo la geometria, ma anche l'etica. Non è la risposta ciò che cerchiamo, ma soltanto il modo corretto di formulare la domanda… 12
Una storia, secondo le parole di Shevek, destinata a riformularsi senza soluzione di continuità, una ricerca di armonia senza tempo sulla scorta di un'ideale utopico che prova faticosamente ad imporre sé stesso. Per questo Urras è inevitabilmente condannato: la macchina del potere è ormai inarrestabile.
È un monito, questo, rivolto anche alla nostra civiltà ed al suo lento declino nella follia tecnologica.
L'utopia di Anarres, e dei suoi instancabili coloni, purchè non ceda alle lusinghe del potere, alla seduzione dell'egoismo del possesso, è perlomeno la speranza, la solita speranza purtroppo, in un futuro migliore. Con un'unica certezza, quella del divenire, che sostanzia anche l'essere.
Il divenire senza l'essere non ha significato. L'essere senza il divenire è una grande noia ... Se la mente è capace di percepire il tempo in entrambi questi modi, allora una vera cronosofia dovrebbe fornire un campo nel quale la relazione tra i due aspetti o processi del tempo possa venire compresa. 13
Shevek, il mendicante, colui che non può portare altro se non la sua conoscenza, intraprende il viaggio nello specchio, Urras, e ritorna a casa, rientra in sé stesso, dopo aver donato qualcosa all'Altro.
Riposerò su Anarres questa notte - egli pensò - riposerò accanto a Takver. Mi piacerebbe aver portato la fotografia, la piccola pecora, per darla a Pilun.
Ma non aveva portato nulla. Le sue mani erano vuote, come sempre. 14
1. Cfr.. A. HUXLEY, Litelature and science, cit. in B. ALDISS, Un miliardo di anni, La storia della fantascienza dalle origini ad oggi, Milano, Delta, 1974.
2. A questo proposito introduco qui un'altra distinzione, Quando uso il termine fantastico, mi riferisco impropriamente al genere fantascientifico. In realtà la letteratura fantastica traduce quello che per gli anglosassoni e la fantasy, genere letterario a sfondo non scientifico, che identifica un tipo di avventure fiabesche ambientate in mondi immaginari, in cui sono all'opera magie e straordinari e potentissimi personaggi.
3. Cfr. M. ALLEN de FORD, cit. in Grande Enciclopedia della Fantascienza. Milano, Editoriale del Drago, 1982, Vol. XI, p. 295.
4. Cfr. V. VERRA, Utopia e antiutopia, "Fondamenti", n. 3 (1985), p. 145.
5. Cfr. U.K. LE GUIN, I reietti dell'altro pianeta (The Dispossessed: an ambiguous utopia), Milano, Editrice Nord, 1976, pp. 1-2.
6. Ibidem, p. 24.
7. Ibidem, p. 119.
8. Ibidem, p. 259.
9. Ibidem, p. 299.
10. Ibidem, p. 143-144.
11. Cfr. U.K. LE GUIN, La mano sinistra delle tenebre, Bologna, Libra editrice, 1971.
12. Cfr, LE GUIN, I reietti etc., cit., p. 196.
13.Ibidem, p. 194.
14. Ibidem, p. 333.
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