Recensione di Marcello Bonati a "La saga di Earthsea"
Ci troviamo di fronte, con questa trilogia, ad un avvenimento letterario di tutto rilievo, una saga fantastica come da tempo non se ne vedevano.
Elemento che subito balza agli occhi, è che si tratta di un juveniles, ovvero di una storia in cui i protagonisti sono ragazzi, più o meno in età adolescenziale, e che effettivamente, il "succo" delle storie riguardi i cosidetti "riti di passaggio" dall’adolescenza alla maturità.
In una società come la nostra, in cui tali riti sono andati gradualmente ma completamente sparendo, forse questi testi possono risultare un poco difficili; a questo riguardo bisogna ricordare che l’autrice e una delle poche che immetta a piene mani nella sua opera elementi della civiltà orientale, il che è molto rischiaratore per quanto detto prima.
Il primo, "Il mago di Earthsea", racconta la storia " (…)'della maturazione di Ged, giovane adolescente, della sua iniziazione alla pratica della magia" (1), mentre il secondo "Le tombe di Atuan", narra di un periodo successivo, in cui Ged è già arcimago, e della storia di una fanciulla; , certa Tenar che Ged incontra durante il suo tentativo di recuperare la parte mancate di un anello magico. In questo secondo romanzo viene alla luce (scusate il gioco di parole), un tema classico per la nostra autrice, quello tutto orientale dell'equilibrio fra la luce e a tenebra. già così bene esposto nel suo famoso "La mano sinistra delle tenebre" (The Left Hand of Darkness, 1969) (2); infatti L'iniziazione di Tenar avviene in un "mondo" nel quale tale equilibrio è stato frantumato, a favore delle forze delle tenebre, e sarà proprio la presenza di Ged a permetterle di "superare" la prova.
Il terzo e ultimo romanzo, "La spiaggia più lontana", narra del periodo della piena maturità' di Ged, e del suo viaggio, assieme al giovane Arren, sul mare del mondo di Earthsea, alla ricerca della causa della progressiva sparizione della magia; ed è quindi proprio la storia dell'iniziazione di questo Arren, in cui si può notare una specie di situazione quasi speculare con quella del primo romanzo, con Ged non più dalla parte dell'allievo, ma da quella del maestro.
Qui ritroviamo la migliore tradizione delle avventure epiche; il viaggio, la "recherche", e lo scontro finale tra le forze del bene e quelle del male.
Tutti e tre i romanzi sono narrati con una prosa cristallina, come ben dice Pergameno, scorrevole, che, senza ricorrere a eccessivi colpi di scena "clamorosi" riesce a mantenere un certo climax, atmosfera unitaria che amalgama queste opere, per altro scritte nell'arco di ben cinque anni (stando ai copyright).
Se in un certo senso si potrebbe benissimo dire che questa trilogia e decisamente atipica all'interno dell'intera produzione della Le Guin, tuttavia, come abbiamo già visto, si possono trovare alcuni collegamenti con altre sue opere.
Un altro è quello con "I reietti dell'altro pianeta" (The Dispossessed; an ambiguous Utopia, 1974) (3), ovvero la sensazione generale di un certo tipo di nostalgia nei riguardi di un mondo meno meccanicizzato e più magico, in cui le forze individuali dell'essere abbiano maggiore possibilità di esplicitarsi; là ciò era espresso con una metafora dello scontro-confronto tra la società anarchica di Anarres e quella industrializzata di Urras, mentre qui con la fiaba della magia come arte dell’equilibrio contro l'avanzare del caos, visto come squilibrio delle forze naturali a favore delle forze del male, delle tenebre, della volontà di potenza fine a se stessa.
In conclusione, si un iuveniles, ma con contenuti e tematiche altamente culturali.
Ottime, come sempre, le presentazioni di Pergameno e le traduzioni della Rambelli.
NOTE BIBLIOGRAFICHE E RIFERIMENTI
(1) cfr il già citato "Il mago di Earthsea" Fantacollana Nord n. 27.
(2) cfr "La mano sinistra delle tenebre" Slan n. 9 ed. Libra.
(3) cfr "I reietti dell’altro pianeta" S. F. narrativa d'anticipazione n. 6 NORD
TESTI VARI
"Donne del mistero" di Giuseppe Lippi, Aliens n. 3 1980 pag. 62 ("Il mago di Earthsea")
"Intervista con Ursula K. Le Guin" di Jonathan Ward, Robot n. 6 1976 pag. 38
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