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Fantastico, fantasy e fantascienza nella riflessione critica di Ursula K. Le Guin


di Massimo Del Pizzo


Qualche dubbio è legittimo: se, noi, gli adulti, non fossimo altro, per l'incapacità di immaginare, che turbatori, supremi disturbatori e insopportabili intrusi in quel sistema fantastico del mondo in cui i bambini sembrano poter essere i soli protagonisti?

Tale sospetto dovrebbe costantemente abitare le nostre menti e aprire uno specchio sul viso di quegli altri - perduti - noi stessi che sono i bambini, affinchè possiamo vedere, nel riflesso, non più l'inutile e consolante realtà delle cose vere, ma la misteriosa, inquietante verità del fantastico.

L'angoscia di una simile perdita d'infanzia è presente in pagine di scrittori diversi, attraversate, consciamente o no, dal medesimo dubbio: Jules Verne, Antoine de Saint-Exupery, Anna Maria Ortese, per esempio. L'accostamento di nomi non e programmatico, né prelude a ulteriori indagini comparative, del resto impossibili e non utili; tuttavia, una certa qual casualità della citazione permette almeno di individuare una sfera generale della letteratura, di tutta la letteratura, dove e inevitabile pagare ancora un tributo di sogni per quello che Michel Serres chiama il «cadavere amaro» del fanciullo che ogni adulto si porta dentro.

E questa volta, è in alcune importanti pagine critiche di Ursula Le Guin che il problema trova una convinta riaffermazione:

"Arrivo così alla mia difesa personale degli usi dell'immaginazione, in particolar modo nella narrativa, e in modo ancor più particolare nelle fiabe, nelle leggende, nei racconti fantastici, nella fantascienza e nel resto dell'ala folle. Io credo che la maturità non significhi superare, ma crescere: che un adulto non sia un bambino che ha cessato di vivere ma bambino che è sopravvissuto. Credo che tutte le facoltà migliori di un essere umano maturo esistano nel bambino e che, se tali facoltà sono incoraggiate nella giovinezza, agiranno in modo buono e saggio nell'adulto, ma, se saranno represse e negate nel bambino, storpieranno la personalità dell'adulto e ne arresteranno lo sviluppo. Infine, credo che una delle qualità più profondamente umane, e umanitarie, tra queste, sia il potere dell'immaginazione: cosicchè è nostro gradito dovere, come bibliotecari, come insegnanti, genitori, scrittori, o semplicemente adulti, incoraggiarla a crescere liberamente, a fiorire come il verde alloro, dandole il nutrimento più buono, quello assolutamente più buono e più puro che possa assorbire.

E mai, in alcuna circostanza, dobbiamo ridurla al silenzio, schernirla, o insinuare che sia puerile, falsa o non da uomini.

Perché il fantastico è vero, naturalmente.

Non è reale, ma è vero. I bambini lo sanno.

Anche i grandi lo sanno, ed e proprio per questo che molti di loro hanno paura del fantastico. Sanno che la sua verità è una sfida, e persino una minaccia, a tutto ciò che è falso, che è fasullo, inutile e volgare nella vita che si sono lasciati costringere a vivere. Hanno paura dei draghi perché hanno paura della libertà”.

Questa citazione è presa da Perché gli americani hanno paura dei draghi?, uno degli scritti che apre l'antologia di saggi di Ursula Le Guin, Il linguaggio della notte. Saggi di fantasy e fantascienza presentata, nel maggio scorso, dagli Editori Riuniti nella Collana Universale Letteratura nella traduzione di Anna Scacchi, e con introduzione di Susan Wood.

Quegli scritti erano stati pubblicati, a partire dal Settanta, su riviste, o come introduzioni a romanzi, o anche come conferenze; riuniscono, nel loro insieme, una vera poetica del fantastico, così come, Le Guin lo ha praticato nella sua lunga carriera di scrittrice.

I motivi di interesse della raccolta sono molteplici. Le Guin appartiene alla schiera di quegli scrittori-critici che, nel campo della fantascienza, portano la riflessione sul proprio lavoro parallelamente alla invenzione linguistica e alla pratica della scrittura romanzesca. Come Ursula Le Guin, Brian Aldiss, Damon Knight, Stanislaw Lem, per esempio, rappresentano il doppio impegno possibile dello scrittore quando quest'ultimo agisca sia sul piano dell'analisi – o psicanalisi - che su quello della libera creazione.

Si ribadisce così uno dei temi dominanti del dibattito sulla definizione dei ruoli e delle posizioni per quello che riguarda, la letteratura, e cioè la lettura, la scrittura, l’analisi critica possono essere attività complementari, e che quindi il lettore, lo scrittore e il critico possono completarsi vicendevolmente in un unico oggetto.

Questa problematica ha interessato da sempre la storia della critica letteraria: c'è da aggiunge qui che, la triplice attività creativa, il leggere, lo scrivere, il riflettere criticamente, ha una grande importanza proprio nel campo della letteratura fantascientifica. Lo scrittore professionista di fantascienza, infatti, rischi di trovarsi inserto in un contesto editoriale dove non sempre viene riconosciuta dignità letteraria, poetica, artistica a ciò che egli produce in termini di linguaggio. La stessa Le Guin in uno scritto del 1976 che chiude il volume, L'ascia di pietra e i buoi muschiati, letto al Convegno mondiale di fantascienza tenutosi a Melbourne nel 1975, ricorda come il genere fantascientifico abbia sempre dovuto sopportare un certo snobismo culturale e come abbia tuttavia conquistato uno spazio anche all'interno delle Università americane e inglesi quando sono cominciate a cadere quelle definizioni, evidentemente ancora piene di pregiudizi, che la volevano relegata nell'angolo della letteratura di evasione o di intrattenimento o anche di avventura, ma senza possibilità di appello per il riconoscimento di una specifica dignità culturale. Dunque, è utile che scrittore-critico possa costituire lucidamente il polo analitico della propria produzione, o anche di quella altrui nello stesso genere, e contribuire così, dall'interno, alla necessaria riconsiderazione estetica della fantascienza in particolare, e del fantastico in generale.

Nel breve discorso di accettazione del National Book Award, anch'esso inserito nel volume, Le Guin scrive:

«Al punto in cui siamo, il realismo è forse il mezzo meno adatto per comprendere o dipingere le incredibili realtà della nostra esistenza.

Uno scienziato che crea un mostro nel suo laboratorio; un bibliotecario nella biblioteca di Babele, un mago incapace di fare un incantesimo; un'astronave in difficoltà sulla via per Alfa Centauri: tutte queste possono essere metafore fedeli e profonde della condizione umana.

Il narratore fantastico, sia che utilizzi gli archetipi antichi del mito e della leggenda, o quelli più recenti della scienza e della tecnologia, può parlare non meno seriamente di un sociologo, e in modo di gran lunga più diretto, della vita umana come è vissuta, come potrebbe essere vissuta, come dovrebbe essere vissuta. Perché, dopo tutto, come hanno detto grandi scienziati, e come sanno tutti i bambini, è soprattutto attraverso l'immaginazione che conquistiamo la percezione, e la pietà, e la speranza».

In Ursula Le Guin, che si autodefinisce «scrittrice estremamente morale», l'impegno è per una ridefinizione del ruolo dello scrittore di fantascienza, il quale, prima ancora dei lettori, e dopo essere stato anch'egli lettore, abbia coscienza e prenda atto dell'importanza e della serietà della letteratura fantascientifica.

Il riferimento al mito e alla leggenda come fonti possibili per lo scrittore, porta verso un altro nucleo fondamentale interno al quale ruotano le idee di Le Guin, e cioè quello della letteratura nel suo rapporto con l'inconscio, con la radice profonda del materiale immaginario, della traduzione in linguaggio e quindi in immagine.

Nelle affermazioni di Le Guin si riconosce l’adesione alle teorie junghiane dell’inconscio collettivo. Una simile riflessione sui contenuti mitici e inconsci della letteratura è pertinente un po' a ogni discorso teorico sull'arte, ma è nella letteratura fantastica che essa trova riferimenti quanto mai singolari e significativi.

Le Guin, in particolare, sostiene che fantasy e fantascienza sono «rami diversi della stessa forma di scrittura» e che anzi la fantascienza altro non sia se non la forma moderna e «intellettualizzata» della fantasy. Tuttavia fantasy e fantascienza portano entrambe i caratteri fondamentali di quel Viaggio nel «Lontano spazio» e nelle «Terre Interiori» dove la ricerca e l'avventura sono spirituali e comuni a tutti.

È pure importante notare come Le Guin abbia spesso sottolineato la necessita, nella fantascienza, di una ricerca linguistica che permetta la traduzione dei processi della fantasia dell'immaginazione attraverso l'utilizzazione di forme verbali, di parole-simbolo, di magie lessicali che creino le «non-realtà meravigliose» necessarie non solo alla sopravvivenza, ma all'emancipazione dell'uomo.






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